La corsa di Valentina Petrillo oltre ogni barriera

Venerdì 24 gennaio, sul palco del CSO Pedro, siede Valentina Petrillo, prima atleta olimpica transgender a gareggiare per l’Italia a livello internazionale e alle Paralimpiadi, per raccontare la sua storia. Ad accompagnarla, Francesca Masserdotti, psicoterapeuta della Polisportiva San Precario, sostenitrice dello sport come diritto universale. Ha condotto la discussione il Collettivo Squeert.

“Più veloce del tempo” (2024), edito da Capovolte Edizioni, è l’autobiografia della velocista italiana, che ci guida nel suo percorso di crescita, sia come individuo che come sportiva.Durante la presentazione, l’atleta ha affrontato i molteplici aspetti della sua vita che emergono nel libro: la corsa, il suo arrivo alle Paralimpiadi, l’espressione di genere, l’infanzia, la genitorialità legata al suo percorso, la forza della musica.

Transgender e ipovedente, Valentina ha ricevuto la diagnosi di Sindrome di Stargardt a 14 anni, trovandosi di fronte a uno dei primi ostacoli sul suo cammino. Ma nella corsa ha ritrovato la libertà tanto agognata.

«Ho sempre corso nella vita. Quando ero piccolina, correvo contro le mie paure.»

Correre è un gesto di vitalità ed energia, ed è proprio questo che Valentina cercava fin da bambina, ispirandosi al suo idolo Pietro Paolo Mennea, vincitore dei 200 metri alle Olimpiadi di Mosca il 28 luglio 1980. Quella data segna un punto di svolta: d’improvviso, la bambina di allora imprime nella mente un’immagine nitida del suo sogno—partecipare alle Olimpiadi, vestire la maglia della nazionale, vincere.

«Il mio sogno è essere invisibile.»

Non ha aspirato solo ai grandi palcoscenici. Per motivi ben diversi, ha sempre cercato una quotidianità a basso profilo, lontana dai riflettori e dagli sguardi giudicanti. Ma la curiosità altrui la perseguita, spesso filtrata attraverso lenti eteronormate. Essere osservata, analizzata, misurata nelle sue scelte di vita, nelle sue fattezze. Ciò che rivendica non è straordinario, ma semplicemente una vita come le altre, il diritto all’autodeterminazione senza dover pagare il prezzo di cattiverie e pregiudizi.

Il messaggio del suo libro è chiaro: non è solo un’autonarrazione, ma una testimonianza che vuole aprire spazi di dibattito sulle diversità. Raccontando la sua esperienza personale, Valentina illumina temi e problematiche che riguardano molte persone della comunità LGBTQIA+.
Durante la presentazione ritorna spesso una domanda: come si può normalizzare qualcosa che non si vede e non si conosce?Ecco il cuore del discorso: attenzionare, conoscere, ascoltare, condividere. Attraverso queste pagine intime, senza pretese didattiche, l’atleta racconta fatiche e dolori, ma anche la risolutezza necessaria per esprimere pienamente sé stessə.

Nessunə atletə transgender, prima di Valentina, aveva affrontato la scalata alle Paralimpiadi. Il viaggio verso Parigi 2024 è intrecciato a un percorso quotidiano di auto-riconoscimento e accettazione, dentro e fuori dalle piste di gara, in un contesto che non sempre accoglie ciò che la società definisce “diverso”.

Lo sport, infatti, è anche un’arena di disuguaglianze, un microcosmo dove le barriere non vengono solo superate, ma spesso imposte.

«Lo sport a volte può cambiare la storia. E io spero tanto che questo possa cambiarla. Ma per voi, non tanto per me.»

Le sue parole sono rivolte alla comunità. La sua preoccupazione riguarda il futuro dell’inclusività nello sport, che, nonostante i progressi, resta spesso un ambiente ostile per le persone transgender. Le Olimpiadi, ci racconta, non sono un contesto accogliente, né particolarmente attento alle necessità dellə concorrenti. La speranza è che si aprano spazi di riconoscimento e parità, anche nei contesti sportivi più istituzionali.

«Quando si inizia un periodo di transizione, si sa quello che si lascia, ma non si sa quello che si troverà.»

La transizione non è un processo lineare, né scandito da tempistiche prevedibili. È un viaggio personale, fatto di fasi, elaborazioni emotive, cambiamenti. Nel caso di Valentina, questo percorso si è intrecciato con la carriera sportiva, portando con sé nuove sfide tra allenamenti, competizioni e tensioni.

Su questi temi è intervenuta anche Francesca Masserdotti, in rappresentanza della Polisportiva San Precario, realtà che si batte per rendere lo sport accessibile a tuttə, come strumento di emancipazione individuale e di riqualificazione del territorio.
Un esempio concreto? La squadra mista di Touch Rugby, per cui sono stati ripensati spazi e regolamenti per garantire la massima inclusività. Piccoli accorgimenti che, in prospettiva, possono generare grandi cambiamenti.

Da questo incontro portiamo a casa consapevolezze amare, ma anche un forte desiderio di rivendicazione. La strada è ancora lunga.

Siamo solo all’inizio di questa lotta.

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