
La Germania si avvicina alle elezioni del 23 febbraio in un clima politico sempre più teso. Il dibattito pubblico è dominato dalla questione migratoria, strumentalizzata dalle destre per consolidare il loro consenso, mentre la crisi economica e le trasformazioni demografiche delineano scenari inediti per il Paese. Friedrich Merz, leader della CDU, sembra puntare su un’alleanza di fatto con l’AfD per spostare ulteriormente a destra l’asse politico, mentre attori esterni come Elon Musk e la lobby ultraconservatrice statunitense influenzano la partita in corso. Nel frattempo, la società civile tedesca risponde con massicce mobilitazioni contro l’estrema destra, ma resta il dubbio sulla loro capacità di incidere concretamente sul futuro assetto politico.
Per comprendere meglio le dinamiche in atto e le implicazioni di questo voto cruciale, abbiamo intervistato Nicola Carella, attivista e ingegnere residente in Germania dal 2012.
Antonio Pio Lancellotti: La Germania si avvicina a queste elezioni in un clima politico particolarmente teso. Da un lato, il dibattito pubblico è polarizzato attorno a temi chiave come l’immigrazione e la crisi economica, dall’altro si assiste a un rafforzamento delle destre radicali e a nuove dinamiche politiche all’interno della sinistra. Quali sono, secondo te, i principali fattori che rendono queste elezioni cruciali per il futuro del Paese e per la sua posizione in Europa?
Nicola Carella: Le elezioni del 23 febbraio in Germania saranno fondamentali per il futuro dell’Europa sotto diversi aspetti. In realtà, potrebbero rivelarsi decisive per la fase che noi, come militanti, organizzazioni, collettivi, sindacati, società civile e migliaia di attivisti di sinistra, saremo chiamati a vivere nel prossimo quadriennio trumpiano. La caduta del governo Scholz è avvenuta all’indomani di una crisi scaturita dalle elezioni statunitensi.
Il legame tra gli Stati Uniti d’America e la Germania non è mai stato così saldo come in questa fase. Friedrich Merz, candidato alla cancelleria per la CDU, non fa più mistero della sua strategia: sfruttare al massimo Alternative für Deutschland e l’estrema destra come strumenti per spostare l’intero quadro politico tedesco verso destra, soprattutto sui temi dell’immigrazione e dell’economia.Questo avviene nonostante un dato significativo: nel 2024, la Germania ha registrato un calo del 30% della popolazione migrante. Inoltre, negli ultimi trent’anni, la composizione etnica della Germania unificata è cambiata profondamente. Oggi, il 40% dei bambini al di sotto dei cinque anni ha origini non tedesche, segno di una trasformazione demografica in corso. Eppure, nonostante la diminuzione delle richieste d’asilo nel 2024, si continua ad alimentare l’idea di un'”emergenza migratoria” costruita ad arte. Merz, con grande cinismo, ha deciso di sfruttare questa nuova fase – accentuata dagli eventi dell’estate 2024, dall’attentato di Magdeburgo e da alcuni fatti di cronaca – per spostare il baricentro politico tedesco il più a destra possibile. Il suo obiettivo è duplice: da un lato, consolidare l’alleanza tra la borghesia produttiva tedesca e le grandi multinazionali della chimica e della metallurgia, ovvero il cuore industriale dell’Unione Europea; dall’altro, allineare questo blocco economico con le destre oltreoceano.
In questa operazione, Alternative für Deutschland si configura sempre più come un vero e proprio strumento di pressione, una lobby al servizio di figure come Elon Musk e dei cosiddetti “broligarchi” statunitensi, pronti a influenzare gli equilibri politici ed economici europei a vantaggio delle loro strategie globali. In un paese che rappresenta comunque il 20% del prodotto interno lordo europeo, una simile dinamica incide profondamente sul quadro complessivo. Il 23 febbraio si delineerà il futuro assetto dell’Unione Europea: se essa seguirà l’orientamento della destra trumpiana e il percorso avviato negli Stati Uniti – dal Project 2025 alle altre strategie politiche ed economiche –, determinato dalle élite industriali tedesche, oppure se tenterà di percorrere una strada autonoma, affermandosi come soggetto geopolitico ed economico indipendente, uno spazio di mercato comune il più possibile svincolato dall’influenza statunitense, sfruttando a proprio vantaggio gli anni della nuova stagione trumpiana.
APL: Dall’esterno sembra che il dibattito politico in Germania ruoti principalmente attorno alla questione migratoria, con il recente rigetto della proposta della CDU per una stretta ai migranti. Questo voto ha evidenziato non solo una possibile convergenza tra conservatori ed estrema destra, ma anche il ruolo ambiguo del nuovo partito di Sahra Wagenknecht. Quanto sta influenzando l’orientamento dell’elettorato questa polarizzazione sul tema migratorio? E quanto il suo uso strumentale sta oscurando altre questioni politiche urgenti, come le politiche sociali ed economiche?
NC: Come accennavo, il dibattito sull’immigrazione è, in larga misura, una costruzione mediatica. In Germania abbiamo già assistito a una dinamica simile, in particolare all’indomani della cosiddetta “grande crisi migratoria” del 2015, che segnò la prima affermazione di Alternative für Deutschland, fino ad allora un partito marginale e prevalentemente antieuropeista. Tuttavia, cinque anni dopo, la questione migratoria era ormai passata in secondo piano nel dibattito pubblico tedesco, surclassata da temi come il cambiamento climatico, gli investimenti economici, la tecnologia e la sanità. Non a caso, le elezioni videro la vittoria dei socialdemocratici, che formarono una coalizione con i Verdi.
Oggi il tema dell’immigrazione torna al centro del dibattito, nonostante nel marzo 2024 il governo “semaforo” (composto da SPD, Verdi e FDP) abbia introdotto un pacchetto di riforme finalizzate a potenziare l’accoglienza e a semplificare l’ottenimento della cittadinanza, soprattutto per i migranti altamente qualificati. Al contempo, tuttavia, le nuove misure hanno inasprito le restrizioni per i rifugiati e i lavoratori non specializzati provenienti da altri Paesi europei ai confini della Germania..
Friedrich Merz – come riportato dallo stesso Times in un articolo di Adam Tooze pubblicato un anno fa – ha deliberatamente scelto, già allora, di solleticare il sottobosco razzista della Germania con un approccio quasi scientifico. Si tratta dunque di un percorso che affonda le radici nel passato e non è affatto recente, sviluppandosi in netto contrasto con le iniziative del governo di Olaf Scholz. Nell’estate del 2024, questa strategia della CDU ha trovato terreno fertile in un’Alternative für Deutschland rinvigorita dalle campagne sull’inflazione e, soprattutto, ha beneficiato di un ampio riscontro sui social media, in particolare su X e su altre piattaforme che seguivano da vicino il dibattito politico negli Stati Uniti.
I fatti di cronaca e il costante martellamento della stampa conservatrice hanno fatto il resto nell’autunno del 2024, contribuendo alla caduta di Olaf Scholz, all’attentato di Magdeburgo e a una serie di eventi che hanno progressivamente plasmato il clima politico. In questo contesto, Friedrich Merz ha colto l’opportunità di candidarsi come il “cancelliere dell’ordine”, un concetto che ha ribadito con forza anche oggi al congresso della CSU, dichiarando: “Riporterò l’ordine in Germania”. In realtà, i dati raccontano una storia ben diversa: sebbene vi sia stato un aumento della criminalità, questo fenomeno non è così drammatico come viene descritto ed è strettamente legato alla crisi economica. Inoltre, il segmento di reati in maggiore crescita, pari al 70%, riguarda i crimini d’odio riconducibili all’estrema destra. Tuttavia, la percezione pubblica è profondamente influenzata dalla narrazione promossa dai media conservatori e dai social network, mentre la CDU, con la sua componente più reazionaria, sfrutta in modo spregiudicato Alternative für Deutschland come leva politica. Questo gioco pericoloso, come si è visto, è arrivato fino al Bundestag, in occasione del voto sull’immigrazione, che ha segnato la caduta del cosiddetto Brand Mauer contro l’estrema destra. Il risultato è stato disastroso: la proposta di legge di Merz è stata bocciata, ma lui stesso ha già annunciato l’intenzione di ripresentarla in un futuro Bundestag, segnalando di fatto una convergenza con AfD.
L’altro partito che ha sostenuto il provvedimento – poi respinto anche a causa delle defezioni tra i liberali dell’FDP e di una parte della CDU ancora legata alla tradizione cristiano-sociale di Angela Merkel – è quello di Sahra Wagenknecht. La sua posizione sull’immigrazione è tutt’altro che ambigua: Wagenknecht porta avanti una retorica sciovinista, facendo leva sul rancore sociale, soprattutto nell’ex Germania dell’Est. Definirla di sinistra è quantomeno problematico, poiché nel dibattito pubblico le sue posizioni oscillano: nove volte su dieci il bersaglio è l’immigrazione, mentre sporadicamente si esprime su temi economici, sull’industria, sulla guerra in Ucraina o persino sul massacro a Gaza. Politicamente e culturalmente, il suo discorso si allinea a quello di Merz proprio sulla questione migratoria.
Va infine sottolineato che, dopo l’estate del 2024, il governo Scholz ha adottato una serie di misure fortemente restrittive in materia di confini, diritto d’asilo, immigrazione non qualificata ed espulsioni, nel tentativo di arginare l’ondata mediatica e politica scatenatasi nell’ultimo anno. Questo cedimento da parte della SPD non ha fatto altro che accelerarne la crisi, fungendo da moltiplicatore della sua implosione politica. Ed è proprio in questo scenario che ci troviamo oggi.
APL: L’enorme manifestazione contro l’estrema destra che ha riempito Berlino pochi giorni fa è stata un segnale importante della capacità di mobilitazione dei movimenti sociali. Secondo te, queste piazze possono tradursi in un impatto concreto sulla scena politica, o c’è il rischio che restino manifestazioni di resistenza senza una strategia chiara per contrastare l’avanzata delle destre? Quali sono gli spazi di possibilità che si stanno aprendo?
NC: Domenica 2 febbraio, a Berlino, sono state convocate ben sette manifestazioni in contemporanea. Sebbene non siano ancora disponibili dati precisi sulla partecipazione, è evidente che i numeri saranno imponenti. Già il giorno precedente, a Monaco di Baviera, circa 300.000 persone sono scese in piazza. Nel corso della settimana, decine di migliaia di manifestanti hanno riempito le strade di Brema, Amburgo, Danube e altre città tedesche.
Questa mobilitazione, sostenuta dalla società civile, dai sindacati, dai partiti politici e persino da alcune comunità religiose – tra cui le chiese evangeliche e le comunità ebraiche, più attive rispetto alla Chiesa cattolica – è una risposta diretta alla recente iniziativa di Friedrich Merz al Bundestag in materia di immigrazione. Il movimento richiama alla memoria le manifestazioni di un anno fa, quando un’ondata di protesta antifascista attraversò la Germania con una portata simile per numeri, tensione e radicamento nel tessuto sociale di ogni città.
Quell’ondata di mobilitazioni ebbe un impatto tangibile: riuscì a erodere il consenso di Alternative für Deutschland (AfD), facendolo calare di alcuni punti percentuali. Tuttavia, secondo le indagini demoscopiche, in Germania circa il 12% della popolazione si identifica stabilmente con la destra, mentre un ulteriore 2% si dichiara apertamente neonazista. Di conseguenza, il blocco elettorale di AfD si attesta attorno al 15%, una quota di consenso difficilmente erodibile, nonostante le oscillazioni nei sondaggi.
Resta dunque da vedere se le attuali mobilitazioni riusciranno a costituire un “cordone sanitario” capace di arginare il consenso verso AfD. L’esperienza dello scorso anno suggerisce che, sebbene abbiano avuto un effetto temporaneo, le dinamiche politiche successive – tra cui la polarizzazione del dibattito, l’influenza della politica statunitense, la crisi di governo, l’inflazione e l’aumento della percezione di insicurezza legata all’immigrazione – hanno favorito una nuova crescita della destra radicale. È significativo, però, notare che l’immigrazione in Germania nel 2024 è diminuita del 30%, smentendo molte delle narrazioni allarmistiche.
L’auspicio è che le manifestazioni in corso possano nuovamente svolgere un ruolo di contenimento, soprattutto in vista delle imminenti elezioni. Tuttavia, è impossibile ignorare una contraddizione profonda all’interno della società civile tedesca, che si è manifestata con particolare evidenza nell’ultimo anno e mezzo, e in particolare dopo il 7 ottobre 2023.
Berlino e altre città tedesche hanno visto emergere una forte mobilitazione contro il genocidio a Gaza, promossa in larga parte da seconde generazioni, movimenti anticolonialisti e attivisti pacifisti, inclusi molti israeliani critici verso la politica del loro governo. Queste manifestazioni, tuttavia, sono state duramente represse, stigmatizzate dall’intero spettro politico tedesco e criminalizzate con il pretesto della lotta all’antisemitismo. Persino la Linke, pur con posizioni incerte, ha espresso solidarietà, mentre Sahra Wagenknecht si è distinta come una delle poche figure politiche a prendere una posizione netta sulla questione.
Eppure, esiste un evidente scollamento tra queste mobilitazioni e le piazze antifasciste che oggi riempiono la Germania. Nonostante AfD, la CDU di Merz e i conservatori abbiano costruito le loro campagne sulla retorica islamofoba e sulla criminalizzazione dei migranti e delle seconde generazioni, il movimento antifascista tradizionale fatica a intrecciarsi con le mobilitazioni pro-Palestina.
Anzi, lo scorso anno si sono verificate tensioni evidenti: chi ha provato a manifestare nelle piazze antifasciste con bandiere palestinesi è stato spesso allontanato e accusato di antisemitismo. Questa frattura rappresenta un limite preoccupante per il largo fronte antifascista tedesco, poiché contribuisce, indirettamente, a creare terreno fertile per l’estrema destra. L’incapacità di stabilire un dialogo tra questi due segmenti della società – da un lato la popolazione tedesca “storica”, che ha fatto i conti con il nazismo, e dall’altro il vasto bacino di cittadini di origine migrante, che oggi rappresentano circa un terzo della popolazione – genera uno spazio politico che AfD e i conservatori sfruttano abilmente per alimentare la divisione e costruire le loro campagne d’odio.
APL: Queste elezioni non sono decisive solo per la Germania, ma per l’intero assetto europeo e globale. Stiamo assistendo a una crescente ingerenza da parte di figure come Elon Musk, che sta apertamente sostenendo una svolta a destra e attaccando l’attuale leadership tedesca. Quanto è concreta l’influenza di questi attori esterni? E come sta reagendo la società civile tedesca di fronte a queste pressioni?
NC: Elon Musk ha realizzato la sua Gigafactory Tesla a Berlino subito dopo la pandemia, sfruttando il know-how ingegneristico e tecnico della rinomata industria automobilistica tedesca. Fin dall’inizio, però, l’azienda ha incontrato serie difficoltà in ambito sindacale, scontrandosi con le rappresentanze dei lavoratori e con un diritto del lavoro tra i più rigidi al mondo, che garantisce tutele ben superiori rispetto a quelle statunitensi. Inoltre, Musk ha manifestato fin da subito una marcata insofferenza nei confronti delle normative ambientali: la sua fabbrica è stata accusata di inquinare le falde acquifere della zona ed è attualmente oggetto di verifiche in merito.
Il suo atteggiamento ostile nei confronti delle regolamentazioni tedesche non si è limitato alla sfera lavorativa e ambientale. Musk ha infatti criticato apertamente la legge promossa dal governo “a semaforo” sull’autodeterminazione delle persone transgender e, in un’escalation di provocazioni, è giunto a compiere un gesto che rappresenta un vero e proprio tabù per la società tedesca: il saluto nazista in mondovisione, un episodio che ha suscitato un’ondata di indignazione. La sinistra tedesca, in particolare Die Linke, ha reagito chiedendo che Musk venga dichiarato persona non grata in Germania. Questi eventi sembrano aver avuto ripercussioni anche sul mercato: nell’ultimo mese, le vendite di auto Tesla in Germania – un mercato cruciale per l’azienda – sono crollate, registrando un calo che si aggira intorno al 70%.
La dialettica tra lui, Scholz e il governo tedesco è sempre stata particolarmente vivace. Negli ultimi due mesi, tuttavia, ha scelto di trasformare Alice Weidel e l’AfD nei suoi principali strumenti di pressione all’interno del Bundestag, assumendo il ruolo di megafono per campagne xenofobe e islamofobe, spesso basate su notizie false o distorte, sia riguardo alla Germania che all’Unione Europea.
Le normative europee risultano troppo restrittive per i cosiddetti broligarchi” statunitensi”, in particolare quelle sulla gestione dei dati e sui social network. In questo contesto, l’estrema destra sta portando avanti un’azione di lobbying mirata a influenzare la regolamentazione del diritto europeo. In Germania, in particolare, questa pressione si traduce in un peso significativo all’interno del Bundestag, dove l’influenza politica di questa corrente potrebbe superare il 20%. Preoccupante è anche il fatto che Friedrich Merz stia progressivamente accogliendo alcune delle richieste avanzate da Musk. Tra queste, figurano l’estensione dell’orario settimanale di lavoro, la riduzione dei permessi retribuiti per malattia inferiori ai tre giorni, e un generale indebolimento del ruolo dei sindacati nei consigli di rappresentanza dei lavoratori. Ciò mette in discussione il principio stesso della cogestione sindacale, pilastro del modello di ordoliberalismo tedesco, lo stesso che Musk sta cercando di sovvertire.
Nel complesso, anche la CDU sembra accogliere questa dinamica, quasi come una concessione all’estrema destra dell’AfD, che, ancora una volta, svolge il ruolo di potente lobby a favore di Musk e, più in generale, della Silicon Valley e della broligarchia dell’estrema destra statunitense. Tra questi suprematisti figurano anche personalità con radici tedesche, come Peter Thiel, di origini tedesco-sudafricane.
Sarà interessante osservare le reazioni a questo scenario. Di certo, una parte significativa della società democratica tedesca ha risposto con indignazione e profondo disagio. Resta da vedere se questa reazione sarà sufficiente, considerando un aspetto cruciale del voto per l’AfD in Germania: il sostegno significativo tra la generazione Z, in particolare tra i giovani uomini. Mentre l’estrema destra raccoglie il 25% del consenso tra i giovani maschi, tra le giovani donne si ferma al 10%. In generale, il voto maschile tende verso destra, mentre quello femminile mostra una maggiore inclinazione verso i Verdi. Sarà quindi fondamentale valutare l’impatto di queste dinamiche nelle elezioni del 23 febbraio. Se dovessimo assistere a un fenomeno simile a quello che ha segnato gli Stati Uniti, potremmo trovarci di fronte a una Germania “trumpizzata”, una prospettiva tutt’altro che auspicabile per noi cittadini europei.