Terzo settore e gentrificazione: una parola di chiarezza

di Giovanni Iozzoli

Luca Rossomando, L’impresa del bene. Terzo settore e turismo a Napoli, Carocci Editore, Roma 2025, pp. 148, € 17,00

Nel corso della sua travagliatissima storia, Napoli è stata spesso laboratorio di sperimentazioni sociali – quasi sempre nefaste, spesso ardite e anticipatorie – che hanno inciso sul corso del suo sviluppo e delle sue infinite crisi. L’elemento più dirompente che ha segnato la città, in questo ultimo trentennio, è stato sicuramente l’avvento del turismo di massa, potentissimo fattore di riorganizzazione dei flussi economici e degli assetti urbanistici. Non che Napoli fosse storicamente estranea ai movimenti turistici; ma essi non avevano influito che in minima parte sui suoi equilibri complessivi. Oggi, collocata a pieno titolo come tappa immancabile dentro la topografia turistica euromediterranea, la città subisce il ritmo crescente della valanga umana che anno dopo anno ne investe il centro storico, alterandone finanche l’antropologia, le relazioni sociali e i rapporti di potere e di classe.

Luca Rossomando, coordinatore delle attività editoriali di Napoli Monitor – laboratorio di riferimento della ricerca storiografica e sociologica sulle trasformazioni metropolitane – offre con questo suo breve e succoso saggio, una profonda occasione di riflessione. La sua analisi non si limita alla descrizione fenomenologica dei processi – turistificazione e gentrificazione – quanto all’inquadramento dei soggetti reali che guidano o cavalcano l’onda sociale delle trasformazioni. In particolare, l’indagine si concentra su tre quartieri simbolo – delle retoriche del “degrado” e della “rinascita” – studiando minuziosamente gli attori sociali che in tali territori esprimono progettualità e protagonismo: enti del Terzo settore, associazioni, imprenditori privati, ong, fondazioni, figure nuove di governance che operano “sul crinale tra sfera pubblica e mercato”.

In pratica, l’enorme scombussolamento sociale della turistificazione, sta producendo sul campo una nuova cartografia di poteri, sottopoteri, progetti, gerarchie, flussi finanziari, in cui il ruolo del pubblico risulta sempre più ancillare. E siccome questi processi – dal “particolare al generale” – possono riguardare qualsiasi tessuto urbano, le storie che Rossomando racconta in questo saggio, sono decisamente di largo interesse, al di là della babele napoletana.

Nel 1995 il centro storico di Napoli è stato dichiarato “patrimonio dell’umanità” dall’UNESCO. […] Qui, nell’ultimo decennio, i valori immobiliari sono aumentati costantemente e gli affitti temporanei hanno progressivamente soppiantato le locazioni residenziali. In poco tempo sono nate una miriade di piccole e piccolissime imprese, attive in particolare nei campi dell’accoglienza turistica e della ristorazione. Dopo la flessione dovuta al Covid 19, la marea dei turisti ha ricominciato a crescere, portandosi rapidamente sui livelli pre-pandemici. Nel 2023, l’aeroporto di Capodichino ha registrato 12,4 milioni di passeggeri, il numero maggiore della sua storia, con un incremento del 14% sul 2019. Nello stesso anno il traffico crocieristico ha indirizzato verso il porto di Napoli più di un milione e mezzo di persone, con una crescita del 43% rispetto al 2022. Nell’aprile 2024 il totale degli annunci disponibili sulla piattaforma Airbnb ha sfiorato per la prima volta quota 10.000. (p. 12)

Chiaro che fenomeni sociali di queste dimensioni producono impatti altamente distorsivi: quello che era il centro storico più grande d’Europa, densamente abitato e vissuto dalla popolazione residente, sta assistendo alla rapida espulsione dei soggetti socialmente deboli – poveri, anziani, studenti –, all’impennata dei valori immobiliari, alla chiusura di botteghe e servizi che lasciano il posto alla catena infinita della piccola ristorazione che, metro dopo metro, ridisegna le strade e gli odori della città. Anche il mercato del lavoro cambia rapidamente: il segmento dell’impiego precario e malpagato, in qualche modo si struttura, diventa definitivo, elemento non emancipabile, ma necessario e indispensabile per reggere l’industria dell’offerta turistica.

E il quadro politico-amministrativo – in un territorio che storicamente ha espresso una fetta importante di ceto dirigente nazionale – come approccia questi fenomeni?

Negli anni di Gaetano Manfredi, eletto sindaco nell’ottobre del 2021, la “turistificazione” della città è stata assunta dai governanti come punto di partenza in funzione del quale rimodulare ogni intervento o prospettiva di futuro. […] Nei discorsi e documenti della giunta si è affermata, nella rituale formula per cui le istituzioni lavorerebbero per il bene dei cittadini, la consuetudine di affiancare al benessere di questi ultimi anche quello dei turisti, talvolta invertendo i termini delle priorità: le istituzioni a Napoli, insomma, lavorano per il benessere dei turisti, ma anche per quello dei cittadini, con tutte le conseguenze che questa inversione comporta. (p. 13)

Quando il turismo inizia a riversarsi sul centro cittadino, una pluralità di soggetti afferenti alla categoria “omnibus” del c.d. Terzo Settore comincia a leggere le potenzialità di questa dinamica. Si possono gestire pezzi di territorio turisticamente interessanti, magari proprio in quei rioni che godono di non buona fama; si può organizzare la grande rete dell’ospitalità diffusa; si possono intercettare risorse fresche per “riorientare” la vita dei quartieri difficili e proporsi alle istituzioni come promotori di legalità; si può godere di un ampio serbatoio di mano d’opera locale, giovane, debole e disponibile. Per fare questo, si rafforzano lo stigma e gli stereotipi sul degrado dei territori da “bonificare” e ci si propone come “risanatori” dei quartieri, mettendo in rete le risorse di diversi soggetti: la Chiesa – che è un enorme proprietario immobiliare –, le fondazioni bancarie, le grandi imprese sponsor, le tipologie associative di ogni ordine e grado. Dalla retorica del degrado alla retorica della legalità, questi nuovi attori sociali conquistano campo, nella sottomessa passività del pubblico.

Questo ridisegno della mappa dei poteri e del dinamismo economico, va inquadrato dentro la più generale tendenza italiana, negli ultimi trent’anni, a esaltare il “privato sociale” e il principio di sussidiarietà. Secondo questa lettura il Terzo Settore si presenta come alternativa efficiente e democratica, rispetto allo Stato “burocratico e sprecone”. A Napoli, questo nuovo tipo di impresa – “del bene”, come suggerisce con amara ironia il titolo –, ha marciato con vigore, scoprendo spazi di valorizzazione e rafforzando giorno per giorno una sua propria narrazione: davanti al degrado, solo noi – società civile – siamo in grado di porre un argine e trasformare in oro la miseria sociale. Rossomando descrive attraverso una puntuale ricognizione dei progetti, dei soggetti e del loro rapporto con gli abitanti dei quartieri, l’azione di questi enti del Terzo settore, distinguendoli per risorse disponibili e velleità.

Le retoriche del Terzo Settore, si sono per anni sviluppate grazie ad una politica compiacente, ad un giornalismo servile, alla creazione di un clima generale che accreditava queste narrazioni. L’autore cita a mo’ di esempio un servizio televisivo di prima serata, in cui le attività di queste imprese napoletane, vengono sobriamente definite: “straordinaria esperienza di autogoverno civico”, “fabbrica del welfare sorta interamente su iniziativa e con risorse private”, “gemme di riformismo visionarie che fioriscono dove uno meno se le aspetta”.
Ma al di là del racconto entusiasta, quali sono i risultati concreti di questa ventennale discesa in campo del privato-sociale?

Questi enti operano da anni, talvolta da decenni, nei quartieri che descrivono al pubblico, agli sponsor, ai visitatori presenti e potenziali. Essi parlano di diseguaglianze, analfabetismo, disoccupazione, violenza, in modo così accalorato da far sorgere spontanee alcune domande: le loro iniziative hanno influito in qualche modo su queste criticità? Hanno prodotto miglioramenti apprezzabili? E quali? E quindi: è possibile identificare dei parametri validi per misurare l’efficacia del loro intervento? Si tratta di domande cruciali, perché poi con il passare degli anni, nuovi bandi vengono indetti da fondazioni private e amministrazioni pubbliche, nuovi sponsor decidono di scendere in campo per sostenere l’intervento sociale e culturale, e allora gli enti del terzo settore progettano nuove iniziative e, per partecipare ai bandi o attirare gli sponsor, ripropongono le narrazioni di cinque, dieci, quindici anni prima: il quartiere ghetto, il degrado, la disgregazione sociale e così via… (p. 131)

Questo piccolo saggio andrebbe adottato nelle facoltà di sociologia (almeno a Napoli!) come strumento di conoscenza e agenda di lavoro. Perché questa è proprio l’epoca in cui si vanno ridimensionando, con sempre più decisione, le risorse e gli strumenti di intervento pubblico che dovrebbero garantire i livelli minimi di tenuta dei diritti costituzionali. Rossomando mette quindi il dito dentro un nodo tutto politico, doloroso e attualissimo, del nostro presente. Più in generale, al di là del quadro napoletano, questo libro parla del potente ciclo neoliberale, delle sue egemonie, delle sue prassi, della sua ideologia sempre più incombente: l’impresa si fa “sociale”, il capitalismo si fa “green”, lo Stato si fa “leggero”. Quello che persiste è la riduzione alla misura del profitto di ogni attività, speranza e aspettativa umana.

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