Le élites europee si scontrano con la realtà: “Attraverso lo strappo nella bolla della fantasia, vedono la loro stessa fine”

Alastair Crooke
strategic-culture.su

Loro (le euro-élites) non hanno alcuna possibilità: “Se Trump impone questa tariffa [25%], gli Stati Uniti saranno in un grave conflitto commerciale con l’UE“, minaccia il Primo Ministro norvegese. E se Bruxelles reagisse?

Possono provare, ma non possono“, ha risposto Trump. La Von der Leyen, in ogni caso, ha già promesso che reagirà. Tuttavia, è ancora improbabile che l’insieme delle forze amministrative anglosassoni costringa Trump a inviare truppe statunitensi sul territorio ucraino per proteggere gli interessi (e gli investimenti!) europei.

La realtà è che ora ogni membro europeo della NATO, con vari gradi di imbarazzo, ammette pubblicamente che nessuno di loro vuole partecipare alla messa in sicurezza dell’Ucraina senza il supporto che le truppe statunitensi potrebbero fornire alle forze europee. Questo è un piano palesemente ovvio per convincere Trump a continuare la guerra in Ucraina, così come lo è il tentativo di Macron e Starmer di usare l’accordo sui minerali come esca per cercare di ingannare Trump e convincerlo a impegnarsi nuovamente nella guerra in Ucraina. Trump non si fa ingannare da questi stratagemmi.

L’ostacolo imprevisto, tuttavia, è che Zelensky, apparentemente, teme un cessate il fuoco, più di quanto tema di perdere ulteriore terreno sul campo di battaglia. Anche lui sembra aver bisogno che la guerra continui (per preservare la permanenza al potere, forse).

La decisione di Trump di chiudere in Ucraina una guerra ormai persa ha apparentemente fatto sprofondare le élite europee in una sorta di dissonanza cognitiva. Naturalmente, era già chiaro da tempo che l’Ucraina non avrebbe ripreso i suoi confini del 1991, né avrebbe costretto la Russia in una posizione negoziale talmente debole da consentire all’Occidente di dettare i propri termini di cessazione.

Come scrive Adam Collingwood:

“Trump ha fatto un enorme strappo nello strato superficiale della bolla fantastica… l’élite [europea] al governo [sulla scia della giravolta politica di Trump] vede non solo una battuta d’arresto elettorale, ma una vera e propria catastrofe. Una sconfitta in guerra, con [un’Europa] lasciata in gran parte indifesa; un’economia in fase di deindustrializzazione; servizi pubblici e infrastrutture in rovina; grandi deficit fiscali; standard di vita stagnanti; disarmonia sociale ed etnica – e una potente insurrezione populista guidata da nemici accaniti quanto Trump e Putin nella lotta manichea contro le vestigia dei tempi liberali – e strategicamente schiacciata tra due leader che li disprezzano e li sdegnano …”.

“In altre parole, attraverso lo strappo nella bolla di fantasia, le élite europee vedono la propria fine…”.

“Chiunque fosse in grado di vedere la realtà, sapeva fin dall’autunno 2023 che le cose sarebbero solo peggiorate sul fronte di guerra, ma, all’interno della loro bolla di fantasia, le nostre élite non potevano vederlo. Vladimir Putin, come i ‘Deplorabili’ e i ‘Gammon’ [1] in patria, era un demone atavico che sarebbe stato inevitabilmente ucciso nell’inesorabile marcia verso l’utopia progressista liberale”.

Molti dirigenti europei sono chiaramente furiosi. Ma cosa possono fare realmente la Gran Bretagna o la Germania? È diventato subito chiaro che gli Stati europei non hanno la capacità militare per intervenire in Ucraina in modo concertato. Ma, più di ogni altra cosa, come sottolinea Conor Gallagher, è l’economia europea (che sta andando a rotoli in gran parte a causa della guerra contro la Russia) a trascinare la realtà in primo piano.

Il nuovo cancelliere tedesco, Friedrich Merz, si è dimostrato il leader europeo più implacabile, sostenendo sia l’espansione militare che la coscrizione giovanile, in quello che sembra essere un modello di resistenza europea appositamente studiato per affrontare l’apertura di Trump alla Russia.

Eppure la CDU/CSU, il partito vincente di Merz, ha ottenuto solo il 28% dei voti espressi, perdendo una quota significativa di elettori. Di certo non un mandato eccezionale per affrontare la Russia e l’America, insieme!

Sono in stretto contatto con molti primi ministri e capi di stato dell’UE e per me è una priorità assoluta rafforzare l’Europa il più rapidamente possibile, in modo da raggiungere l’indipendenza dagli Stati Uniti, passo dopo passo“, ha affermato Friedrich Merz.

Il secondo posto nelle elezioni tedesche è stato conquistato da Alternativa per la Germania (AfD) con il 20% dei voti nazionali. Il partito è stato il più votato nella fascia demografica 25-45 anni. Sostiene buoni rapporti con la Russia, la fine della guerra in Ucraina e vuole anche lavorare con il Team Trump.

Eppure, l’AfD è assurdamente emarginato dalle “regole del firewall”. In quanto partito “populista” con un forte voto giovanile, viene automaticamente relegato dalla “parte sbagliata” del firewall dell’UE. Merz si è già rifiutato di condividere il potere con loro, lasciando la CDU in mezzo al guado, schiacciata tra la fallimentare SPD, che ha perso la maggior parte dei voti, e l’AfD e Der Linke, un altro emarginato dal firewall, che, come l’AfD, ha guadagnato quote di voti, soprattutto tra gli under 45.

Il problema qui, ed è un grosso problema, è che l’AfD e il Partito della Sinistra, Der Linke (8,8%), che è stato il più votato nella fascia demografica 18-24, sono entrambi contrari alla guerra. Insieme, questi due hanno più di un terzo dei voti in parlamento, una minoranza in grado di bloccare molte votazioni importanti, soprattutto quelle riguardanti le modifiche costituzionali.

Questo sarà un grosso grattacapo per Merz, come spiega Wolfgang Münchau:

“Per prima cosa, il nuovo cancelliere vorrebbe recarsi al vertice NATO del prossimo giugno, con un forte impegno per una maggiore spesa per la difesa. E, anche se il Partito della Sinistra e l’AfD si odiano in tutto e per tutto, concordano però sul fatto che non daranno a Merz i soldi per rafforzare la Bundeswehr. Ancora più importante è il fatto che non sosterranno la riforma delle regole fiscali costituzionali (il freno al debito) che Merz e la SPD desiderano disperatamente”.

Le regole sono complicate, ma, in sintesi, stabiliscono che, se la Germania vorrà spendere di più per la difesa e gli aiuti all’Ucraina, bisognerà risparmiare su altre voci del bilancio (molto probabilmente tagliando la spesa sociale). Dal punto di vista politico, però, risparmiare sulla spesa sociale per pagare l’Ucraina non era piaciuto all’elettorato tedesco. L’ultima coalizione aveva fallito proprio su questo tema.

Anche insieme ai Verdi, Merz non avrà ancora la maggioranza dei due terzi necessaria per apportare modifiche costituzionali, e il “Centro” non ha lo spazio fiscale per sfidare la Russia senza i finanziamenti degli Stati Uniti. La Von der Leyen cercherà in qualche modo di ottenere ‘magicamente’ denaro per la difesa, “ma i giovani tedeschi stanno votando contro i partiti dell’establishment, che sono i più odiati. Possono costruire qualche Leopard, se vogliono. Non avranno reclute“.

L’UE e la Gran Bretagna propongono di raccogliere miliardi per armarsi contro un’immaginaria invasione russa, mentre Trump dice esplicitamente – sulla minaccia di un’invasione russa della NATO – “Non ci credo; non ci credo, neanche un po‘”.

Un altro euro-slogan fatto a pezzettini da Trump.

Quindi, come reagirà il pubblico europeo (ormai ampiamente ostile alla guerra in Ucraina, ai maggiori costi energetici, all’aumento delle tasse e ai tagli ai servizi sociali) [agli ordini delle élites] per continuare a sostenete in Ucraina una guerra impossibile da vincere? Starmer è già stato avvisato che i “vigilanti delle obbligazioni” (del debito pubblico) reagiranno male ad un ulteriore aumento del debito pubblico del Regno Unito mentre la situazione fiscale vacilla precariamente.

Non ci sono soluzioni ovvie all’attuale, difficile situazione dell’Europa: da un lato c’è l’enigma esistenziale di Merz, dall’altro, il solito incubo che perseguita l’UE nel suo insieme: per ottenere qualsiasi cosa, la necessità fondamentale è una maggioranza parlamentare.

Il ‘firewall’, originariamente pensato per proteggere i centristi di Bruxelles dai populisti di destra, era stato successivamente potenziato da Biden, che aveva dichiarato il populismo una ‘minaccia per la democrazia’, ordinando a tutti gli attori della politica estera americana di contrastarlo.

Il risultato pratico, tuttavia, è stato che in tutta l’UE si sono formate coalizioni di blocco con strani compagni di letto (di partiti di minoranza) che, da un lato, sono servite a mantenere i centristi al potere, ma che, dall’altro, hanno portato a una stasi infinita e a un distacco sempre crescente da “noi, il popolo”.

Angela Merkel aveva governato in questo modo, rimandando per anni il problema delle riforme, finché la situazione alla fine era diventata (ed è ancora) insolubile.

Potrà un’altra coalizione di miopi centristi arrestare il declino dell’economia, risolvere il fallimento della leadership e liberare la nazione dalla sua perniciosa trappola politica? Penso che conosciamo la risposta“, scrive Wolfgang Münchau.

Ma c’è un problema più grande: come Vance ha esplicitamente avvertito al recente Forum sulla sicurezza di Monaco, il nemico dell’Europa non è la Russia; è dentro l’Europa. Deriva, ha lasciato intendere Vance, dal fatto di avere una burocrazia permanente, che si attribuisce la prerogativa esclusiva di un potere di governo autonomo, ma che si allontana sempre di più dalla propria base.

Abbattere i firewall, ha sostenuto Vance, per tornare ai principi (abbandonati) della vecchia democrazia, originariamente condivisi tra Stati Uniti ed Europa. Implicitamente, Vance sta prendendo di mira lo Stato amministrativo (profondo) di Bruxelles.

Gli eurocrati vedono in questo nuovo fronte un attacco sostenuto dagli americani al loro Stato amministrativo e percepiscono in ciò la loro stessa fine.

Negli Stati Uniti, c’è il riconoscimento che esiste una “resistenza istituzionale a Trump” nel Dipartimento della Difesa, nel Dipartimento di Giustizia e nell’FBI. Ciò dimostra, sostiene Margot Cleveland, che coloro che decantano la necessità di una “resistenza istituzionale” e la presunta indipendenza dal potere esecutivo [in realtà] si oppongono alla democrazia e a Trump.

Dato lo stretto legame tra gli Stati Profondi statunitensi, britannici ed europei, sorge spontanea la domanda sul perché ci sia una così forte resistenza parallela a Trump anche tra i leader europei.

Apparentemente, non dovrebbe essere nell’interesse dell’Europa organizzare una resistenza concertata contro il Presidente degli Stati Uniti per una guerra ormai persa. La frenesia europea potrebbe quindi essere alimentata da un più ampio desiderio dello Stato Profondo (degli Stati Uniti) di neutralizzare la “Rivoluzione Trump” dimostrando, oltre all’opposizione interna in patria, che Trump sta causando scompiglio tra gli alleati europei degli Stati Uniti. L’Europa viene forse spinta su questa strada più avanti di quanto avrebbe altrimenti scelto di avventurarsi?

Affinché la Germania cambi rotta, sebbene per Merz questo sia impensabile, basterebbe solo una minima dose di immaginazione e pensare ad una Germania nuovamente legata all’Eurasia. L’AfD ha ottenuto il 20% dei voti proprio con una piattaforma del genere. In realtà, probabilmente, non esistono altre opzioni.

Alastair Crooke

[1] “Gammons” è un insulto politico tipico del Regno Unito, usato da giovani progressisti o sostenitori del Remain (contro la Brexit) per deridere i maschi bianchi di destra, spesso conservatori, nazionalisti o sostenitori del Leave (Brexit), percepiti come retrogradi, razzisti o fuori moda. È un termine carico di critica sociale, con un tono sarcastico e dispregiativo, simile a “boomer” (ma più specifico per età, genere e politica). N.D.T.

Fonte: strategic-culture.su
Link: https://strategic-culture.su/news/2025/03/04/reality-confronts-euro-ruling-strata-through-tear-fantasy-bubble-they-see-their-own-demise/
04.03.2025
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

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Alastair Crooke CMG, ex diplomatico britannico, è fondatore e direttore del Conflicts Forum di Beirut, un’organizzazione che sostiene l’impegno tra l’Islam politico e l’Occidente. In precedenza è stato una figura di spicco dell’intelligence britannica (MI6) e della diplomazia dell’Unione Europea.

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