Primi giorni di marzo del 2025 sulla costa siriana…
Per quanto il nuovo autoproclamato governo siriano si voglia mostrare agli occhi del mondo con abiti rinnovati, camicia bianca e una barba meno folta e lunga, ci troviamo di fronte all’ennesima farsa, all’ennesimo inganno. Dove sono ad oggi, nei fatti, le tanto proclamate promesse di una Siria unita, rispettosa delle minoranze etniche e religiose? Dove si trova quella “nuova Siria libera” che i governi occidentali si sono prodigati ad applaudire alla caduta di Bashar Al Assad?
Ad oggi ciò che appare evidente, o almeno agli occhi di chi non si accontenta di sterili e false proclamazioni né si lascia guidare passivamente dalle notizie diffuse dall’informazione “politicamente corretta” espressa da molti canali informativi, è che la Siria è tutt’altro che un paese libero e soprattutto tutt’altro che democratico.
Venendo agli ultimi accadimenti:
Forse una minoranza che rappresenta solo il 15-20% di una nazione può non essere considerata una notizia di rilievo per i grandi media. Tuttavia ciò che sta avvenendo oggi in Siria, può essere certamente definito, senza esitazione, un massacro.
Un massacro perpetrato da un esercito sovrano ma che di sovrano non ha nulla. Un esercito composto solo in parte da soldati siriani, un’entità frammentata, composta da mercenari, turchi (anomalia di rilievo visto che ci troviamo in Siria), che a quanto pare non ha rispettato le direttive del suo stesso presidente ad interim, o almeno così si potrebbe dire con ingenuo sarcasmo.
Violenti scontri si sono verificati fra le giornate di giovedì 6 marzo e venerdì 7 marzo 2025, nelle zone costiere che si affacciano sul mediterraneo fra Tartus e Latakia. La mappa degli orientamenti religiosi in Siria vede in quest’area una concentrazione significativa della comunità alawita.
Gli alawaiti non sono solo una minoranza in Siria, ma sono la minoranza che ha sostenuto il presidente Bashar al Assad e in precedenza il di lui padre Hafez Al Assad.
La testimonianza diretta di un signore di Tartus, catapulta verso una situazione difficile, angosciante, ripercorre mesi di ingiustizie settarie, violenze e saccheggi. Un ritratto ben diverso dall’immagine ripulita con cui si è voluto presentare il nuovo governo siriano. Quanto segue è un estratto di comunicazione immediata e preoccupata nello scambio , umano, di notizie tra conoscenti.La traduzione è fatta dall’arabo cercando l’immediatezza del momento , chiedendo venia per la mancanza talvolta di accuratezza
Tartus dal 7 marzo 2025
“Ieri (06/03/2025) le cose sono andate molto, molto male, ma grazie a Dio la situazione ora è stabile”
“A Tartus non ci sono stati scontri armati, ma sono entrate fazioni che non appartengono all’esercito o alle forze di sicurezza ed esse hanno agito individualmente, provocando casi di omicidi, furti e rapimenti.”
- L’osservatorio siriano per i diritti umani aveva più volte evidenziato come i miliziani di Hay’at Tahrir Al-Sham, avessero in questi mesi compiuto atti di rappresaglia proprio nelle zone costiere di Latakia, Jableh e Tartus.
“Attualmente (07/03/2025) a Tartus regna la calma dopo che le fazioni se ne sono andate. Di tanto in tanto si sentono suoni di spari ma la situazione al momento è buona”. Ore 21:01 ora italiana del 07/03/2025
- Ma cosa si intende esattamente per “forze non governative”? Su alcuni organi di informazione online la narrazione principale sembra essere quella di dipingere questi episodi di violenza solo come uno scontro fra i reduci pro-Assad e le attuali forze di sicurezza
“le forze non governative sono elementi civili estremisti armati, fedeli all’attuale regime al potere”.
“sono forze non governative fedeli al regime di Damasco. Sono elementi fanatici ed estremisti e non sono responsabili delle loro azioni”
“queste forze supportano l’esercito, la polizia e le forze di sicurezza dell’attuale governo a causa della mancanza di un numero sufficiente di elementi per coprire l’intera area geografica della Siria”
“queste forze non governative che sostengono l’esercito e la sicurezza sono quelli che commettono omicidi, furti e rapimenti in modo settario”
- forse questo è il significato che Al Joulani attribuisce alla parola “inclusione”. Da sostantivo utilizzato ormai con una frequenza impressionante nella saggistica sociale, qui lo troviamo protagonista di un film horror, solo che invece di un film ci dobbiamo scontrare con la realtà dei fatti .
“se il governo manterrà questa mentalità nel trattare con le minoranze, sarà molto difficile raggiungere la stabilità”
Il signore è un alawaita. Gli chiedo se si sente minacciato da questa situazione
“non sono l’unico a sentirsi minacciato, è l’intera comunità a sentirsi minacciata”
“quando senti gli slogan recitare:Tartus per i sunniti e gli alawaiti andranno fuori oppure Homs per i sunniti e gli alawaiti usciranno, il massacro sarà basato sull’identità. Questa è una questione molto difficile”
- È datata 06/03/2025 la notizia che dai minareti delle moschee di Idlib e Hama i miliziani di Hay’at Tahrir Al-Sham hanno invocato la Jihad contro quelli che hanno definito “ i Nusayris”, riferendosi agli alawaiti
“stamattina (07/03/2025) uno dei mercenari stava facendo un giro nel sobborgo residenziale in cui vivo e quando ha visto il mio vicino sul balcone gli ha sparato uccidendolo. Questo è successo stamattina alle 7:00”
“non siamo riusciti ad avvicinarlo e portarlo fuori di casa fino alle 16.00”
“attualmente la Siria è governata da bande senza legge o costituzione “
“a causa di questa situazione, sto cercando attualmente di trovare un modo per recarmi in Libano con la mia famiglia e stabilirmi li, poiché è il paese più vicino in cui possiamo entrare attraverso il contrabbando illegale”
IO: “ti senti più sicuro attraversando il confine come immigrato clandestino, piuttosto che restare in Siria, dove avresti il diritto di vivere liberamente nel tuo paese?”
“onestamene nessuno al mondo desidera vivere fuori dal proprio paese, ma quando prevale la legge della giungla e non c’è stabilità, viaggiare legalmente o illegalmente in qualsiasi paese diventa l’obbiettivo, per il bene del futuro e della sicurezza della mia famiglia e dei miei figli.”
“quando una persona rischia di essere uccisa da un momento all’altro nel suo paese, insieme alla sua famiglia, allora è un disastro”
E la tragedia continua nel silenzio assordante di un mondo istituzionale che ha perso l’anima…
Moschea degli Omayyadi a Damasco : un’istantanea sospesa tra storia e rivoluzione, con le cicatrici della delle guerra e l’eredità dei martiri
La Siria, come simbolo di lotta e resistenza alle pressioni dell’Occidente LIberal liberista, ma anche di distruzione, con il peso della tragedia e il coraggio di chi ha resistito. La Grande Moschea degli Omayyadi con le sue colonne ancora in piedi ne è il simbolo perfetto, portando con austerità il peso secolare della storia.
Entrare nella Grande Moschea degli Omayyadi lascia senza fiato. È come varcare una soglia spazio-temporale, ci si trova immersi in un’immagine che scorre eppure e allo stesso tempo resta immobile, un frammento di un passato reso immortale. Ad oggi essa è ancora il cuore pulsante di Damasco, all’interno della sua città vecchia, circondato dal Suq e dai suoi venditori di strada. Il grande Al Hamidiyeh Suq , si apre, accoglie con la sua volta imponente dove la luce filtra fra le antiche grate di ferro, mentre la folla si muove fra le bancarelle e i negozi. Avanzando a piedi il suq l’articolarsi del suq ci guida con naturalezza fino all’ingresso imponente della moschea.
Eppure, tra la maestosità delle sue mura, nelle pieghe della sua storia, emergono i segni indelebili di ciò che queste pietre hanno dovuto sopportare e vedere.
I colpi impressi dalla guerra ultima delle innumerevoli guerre durante i secoli sono ancora lì, incisi nella pietra, come cicatrici che richiamano all’attenzione e che sussurrano di non dimenticare.
Sono arrivata a Damasco attraverso la frontiera con il Libano, il Masnaa Border Crossing. Un passaggio di frontiera facile e abbastanza scorrevole, sia dalla parte libanese, sia all’ingresso della parte siriana, dove funzionari abbastanza impreparati, all’ingresso di visitatori stranieri, si sono limitati ad apporre un timbro su un foglio precompilato. Desiderando viaggiare in Siria senza obbligo di alcuna organizzazione , a seguito della presa al potere del movimento Hay’at Tahrir Al-Sham,(1) avvenuto nel Dicembre 2024, con la conseguente caduta del regime di Bashar Al Assad, e l’apertura delle frontiere, ho deciso di muovermi alla scoperta del paese unendomi a occasionali compagni di viaggio. Le frontiere con il Libano, di ufficiali ve ne sono tre, anche durante il governo di Bashar Al Assad sono sempre state aperte e funzionanti ma il passaggio era consentito solo agli stranieri che fossero accompagnati da un tour operator locale.
Questo vuol essere un resoconto della mia esperienza in Siria e della mia percezione rispetto agli eventi, da profana curiosa che guarda una foto, solo che in questo caso sono stata io a scattarla.
Alla grande Moschea degli Omayyadi sono entrata di venerdì, giorno di festa e di preghiera. La moschea era gremita di fedeli, noi gli unici stranieri. Una voce forte, avvolgente, attraversava l’aria: il canto richiamo della preghiera, permeava l’ambiente, diffondendosi con la voce calda e dal vivo del muezzin, lasciandomi attonita ed estasiata.
Nel cortile interno, un vasto spazio rettangolare, avvolto da portici e colonne di marmo, le cui pareti sono ornate da mosaici bizantini, si respirava un’aria quasi festosa: famiglie, giovani, uomini, tutti intenti a scattarsi foto, a immortalare un momento di apparente normalità all’interno di un simbolo senza tempo della loro storia.
Si percepiva nell’aria un senso di libertà diffusa, come se un peso molto forte si fosse magicamente dissolto, ma mentre camminavo all’interno della moschea mi sono chiesta più volte quanto questa libertà fosse reale , autentica o quanto invece fosse il frutto di un’idea di “nuova normalità” comparsa in maniera così accelerata e repentina.
Nelle sfumature di questa ritrovata quotidianità, la presenza di ciò che un tempo era il “nemico” si è fatta abituale, disarmante. Militari – miliziani con il volto coperto passeggiano tra i fedeli, si scattano reciprocamente foto all’interno di quella che oggi considerano un simbolo del loro movimento politico. Hay’at Tahrir Al-Sham considera infatti la Grande Moschea degli Omayyadi un simbolo religioso legato alla sua importanza storica nell’islam Islam sunnita. La moschea è una delle più antiche e sacre del mondo islamico, con una storia che risale ai primi califfi Omayyadi, (2) ed essendo Hay’at Tahrir Al-Sham, un movimento di matrice sunnita, codesto vede nella moschea un’eredità della grandezza islamica del suo movimento.
È stato qui, infatti, che l’8 dicembre 2024, l’attuale presidente ad interim della Siria, Abu Mohammad al-Joulani, si è presentato dopo la presa di Damasco, prostrandosi davanti al miḥrāb (3) e dichiarando la fine dell’era della famiglia al-Assad.
Di fronte a questa immagine, vedere oggi le bandiere del movimento jihadista, di Hay’at Tahrir Al-Sham sventolare tra le urla divertite dei bambini è diventato parte della quotidianità, nonostante il movimento sia stato ufficialmente sciolto il 29 gennaio 2025 e le sue milizie integrate nel “nuovo esercito “siriano.
Fedeli alla Moschea degli Omayyadi: parallelamente alla nuova bandiera Siriana, il governo di transizione ha utilizzato anche un’altra bandiera sulla quale campeggia la “Shahadah”.
«Ašhadu an lā ilāha illā Allāh – wa ašhadu anna Muḥammadan Rasūl Allāh»
– Testimonio che non c’è divinità se non Dio (Allāh) e testimonio che Muhammad è il Suo Messaggero.»
أشهد أن لا إله إلا الله وأشهد أن محمدا رسول الله
Questo simbolo è stato spesso utilizzato da organizzazioni fondamentaliste islamiche ed è identica a quella attualmente utilizzata dal governo Talebano
Eppure le bandiere di Hay’at Tahrir Al-Sham, nato il 28 luglio 2016 con il nome di Jabhat Fath al-Sham, a seguito della scissione con Al-Qa’ida e ridefinito con il nome di Hay’at Tahrir Al-Sham il 26 gennaio 2017, rappresentano la quotidianità all’interno della Moschea degli Omayyadi e sventolano fra i fedeli in preghiera, fra i volti seri dei miliziani, rigorosamente in abiti militari, con la barba lunga, e fra coloro che distribuiscono volantini che invitano i fedeli ad essere bravi mussulmani.
Di fronte a queste immagini, la mente fatica a trovare un ordine nel caos apparente. Ci si chiede come può la Storia ribaltarsi così rapidamente e com’è possibile che HTS, nato come filiale siriana di al-Qaeda, allo scoppio della guerra nel 2011, (4) con il nome di Jabhat al – Nusra,(5) venga oggi presentato come un rispettabile movimento politico, anche dagli stessi siriani.
Fatico a rispondere a questi quesiti. In fondo io cerco solo di raccontare ciò che i miei occhi hanno visto. Non ho le risposte, posso solo osservare e cercare di comprendere.
Queste domande a cui non riesco a dare una risposta, mi riportano però alla mente le innumerevoli vite spezzate tra il 2011 e il 2018, soprattutto siriani ma non solo, che hanno combattuto Al Qa’ida, e la sua strategia di guerriglia e sovversione, (attentati suicidi e controllo del territorio), nel tentativo di impedire la costruzione di un califfato islamico (6). Il califfato era auspicato dallo stesso Al- Baghdadi nei medesimi anni in Iraq. Molte di queste persone hanno sacrificato la propria esistenza affinché la Siria non diventasse il campo di battaglia di quel gioco geopolitico che vedeva gli interessi stranieri : America, Turchia, Israele finanziare direttamente o indirettamente questi movimenti al fine di acuire i contrasti politici ed ideologici in Medio Oriente. La Siria non era soltanto un paese in guerra, ma un nodo strategico: un ponte di territorio tra l’Iran e il suo alleato libanese Hezbollah. Colpire la Siria significava colpire lo “Asse della Resistenza” contro le azioni del regime sionista e cercare di ridisegnare gli equilibri del Medio Oriente.
Parlando con diversi siriani emerge un cambiamento nella percezione del loro passato, nella quale i “nuovi HTS” sono rappresentati come l’ordine politico emergente, come quelli che …” faranno meglio”.
Cerco di comprendere le loro parole e cerco di inquadrarle all’interno di una stanchezza profonda,pluriennale, logorante. Dopo più di un decennio di guerra, il popolo siriano è sfinito. Chi ha vissuto quegli anni sulla propria pelle, chi ha visto il proprio Paese sgretolarsi sotto i bombardamenti, chi ha attraversato anni di privazioni e incertezza, oggi cerca solo una vita “normale”. Anche a costo forse di accettare un nuovo gruppo al governo, forse anche nuovi padroni. Perché, nonostante i sorrisi cordiali dei militari, la percezione di una profonda incertezza regna ancora sovrana. Nelle parole “le cose andranno meglio”, più volte udite, si percepisce la ricerca di una rinnovata fiducia che era andata persa.
La presenza militare nelle città è costante ; i miliziani del nuovo esercito siriano pattugliano le strade del centro di Damasco e le vie del suq , controllano con posti di blocco il passaggio fra le più importanti città siriane, ma in rari casi richiedono l’esibizione del passaporto, mantenendo un atteggiamento garbato. Chiaramente questo è riferito a noi in quanto stranieri, poiché in realtà i controlli dei militari ai posti di blocco, erano estesi a tutte le persone sull’autobus e ai siriani era richiesto di mostrare il documento identificativo.
Dopo la nostra partenza dalla città di Hama, nota alle cronache anche per gli episodi del giugno 1980, dove i Fratelli Mussulmani (7) cercarono di assassinare l’allora presidente Hafez Al Assad, il quale rispose con una cruenta repressione che vide l’uccisione di migliaia di persone, è arrivata alle nostre orecchie la notizia di 15 alawaiti (8) giustiziati in città. (Mariella Correggia, edizione del Manifesto del 02/02/2025) Quest’ultimo episodio è stato poi definito da Al -Sharaa o Al Joulani come “normali atti di vendetta”. Affermazione, questa, che allontana ancora di molto l’idea di una “pacificazione” fra le diverse correnti religiose in Siria con la tutela delle minoranze.
Nella città di Tartus un signore di fede Alawita ci ha raccontato di come nelle campagne le minoranze non siano tutelate, e che spesso sono soggette a discriminazioni e violenza, ma che ciò passa in secondo piano, di fronte alla profonda crisi economica che la Siria ha dovuto affrontare nell’ultimo decennio, come se fosse un “piccolo” prezzo da pagare per questa agognata “liberta”.
La Siria è un paese estremamente eterogeneo dal punto di vista religioso, la maggioranza della popolazione è di fede sunnita, ma per decenni, dalla presa al potere di Hafez Al Assad negli anni 70, l’élite al potere è stata rappresentata da una minoranza, circa il 15% del paese, di fede alawaita. Gli alawaiti costituiscono un ramo dello Sciismo, anche se molto lontano dallo Sciismo duodecimano iraniano. Durante il mandato francese in Siria, a partire dal 1923, fu concesso agli alawaiti di crearsi una propria autonomia nei territori di Tartus e Latakia e solo a seguito del colpo di stato del generale Hafez Al Assad, anch’egli di fede alawaita, lo Sciismo di matrice siriana iniziò a diffondersi e ad assumere ruoli di comando anche all’interno dell’apparato statale e militare.
A tutto si aggiunge il peso insostenibile delle sanzioni economiche, che hanno soffocato il Paese e reso molto difficile la sopravvivenza quotidiana . Nel 2019 gli Stati Uniti approvarono una legge che sanzionava ulteriormente la Siria, il Caesar Act, entrato in vigore nel 2020, tale legge ha preso di mira diverse attività industriali, soprattutto quelle legate alle infrastrutture, alla manutenzione militare e all’energia. Tali sanzioni non solo hanno indebolito un’economia locale già in grave crisi, a causa di anni di guerra, ma hanno complicato ulteriormente gli sforzi per la ricostruzione del paese e affossato un’economia statale già compromessa.
Un insegnante di una scuola pubblica, incontrato su un autobus mentre ci stavamo recando da Damasco ad Hama, ci ha raccontato che lo stipendio statale medio, dopo la guerra, era di 25 dollari al mese. Una cifra assolutamente irrisoria se si pensa solo al costo della benzina, che attualmente in Siria si aggira intorno ai 1.2 dollari al litro,benzina acquistata ovviamente al mercato nero. Ad oggi vi è una scarsa disponibilità di soldi contanti, alla mattina davanti ai bancomat si vedevano file chilometriche di persone in attesa di ritirare denaro. Noi abbiamo dovuto portare come moneta di scambio i dollari e cambiarne pochi giorno per giorno, poiché somme considerevoli non erano viste di buon occhio agli uffici di cambio.
Le sanzioni, presentate al mondo come uno strumento per indebolire il regime, hanno finito ovviamente per colpire soprattutto la popolazione civile, alimentando lo scontento e la povertà.
E poi c’è la corruzione. Una parola che torna sempre nei racconti dei siriani. Una piaga che ha permeato ogni livello della società, soprattutto all’ interno del “vecchio” esercito. Questa corruzione endemica ha contribuito a rafforzare l’idea, che fosse necessario un cambiamento e forse, anche, l’accettazione di ciò che un tempo era considerato il nemico.
Allora forse la stanchezza, l’incapacità di vecchi funzionari governativi, la corruzione dilagante hanno creato il terreno fertile per una nuova narrazione, in cui HTS non è più visto come un gruppo jihadista pericoloso, ma come una forza in grado di garantire sicurezza, stabilità e, soprattutto, un futuro.
Le nuove generazioni della rivoluzione
Molti di militari-miliziani sono giovani: ventenni che non hanno vissuto direttamente la guerra sul campo. Nei loro gesti riecheggiano vecchi idiomi, slogan di cui forse non conoscono nemmeno il significato: gli stessi ragazzini affermano come lo Stato di Israele sia una minaccia minore rispetto alle milizie di Hezbollah e all’influenza iraniana. Ciò nonostane di fronte alla richiesta di approfondire questa affermazione le risposte restano vaghe, limitandosi ad esternare il concetto che Israele li ha aiutati cosi come ha fatto la Turchia.
I militanti di Hay’at Tahrir Al-Sham sono di fede sunnita, più precisamente salafita, e lo scontro e la conflittualità fra le due correnti egemoniche dell’Islam, Sciiti e Sunniti è ancora molto forte, tale da influenzare non solo le percezioni geopolitiche degli stati mediorientali ma anche le stesse percezioni personali dei singoli individui.
Molte donne portano il niqab,il velo che copre l’intero corpo compreso il volto, lasciando scoperti solo gli occhi, sia all’interno della moschea sia nei quartieri di Aleppo, Damasco e Homs, molte di esse non provengono da queste città ma dalle provincie a ovest di Aleppo, dal Governatorato di Idlib, dove la linea telefonica principale siriana MTN, non ha segnale e dove la moneta principale è la lira turca.
Uno dei soldati- ragazzi mi chiede di scattargli alcune foto ricordo, vedendomi con la macchina fotografica. Viene dalla provincia di Idlib, come molti dei suoi compagni, che da dicembre 2024 si sono trasferiti nelle città di Damasco e Aleppo, inviati dall’esercito a presidiare strade, moschee e altri lughi di culto.
Mi racconta di aver perso il padre, a causa di una malattia,e che questa condizione lo ha portato a diventare inevitabilmente il capofamiglia, essendo il figlio maggiore, e di essersi arruolato da due anni nelle file di HTS.
Il motivo principale è stato in parte economico, guadagna 100 dollari al mese, ma ci tiene a sottolinearmi come la ragione si fondi anche su una base ideologica: costruire una nuova Siria.
Provo a mostrarmi entusiasta per i cambiamenti nel suo Paese e, forse ingenuamente, gli chiedo se due anni fa fosse legato ad Al -Nusra. Il ragazzo si irrigidisce, quasi offeso. “HTS non ha mai fatto parte di Al- Nusra”, mi dice con fermezza. “Loro sono degli assassini. Noi siamo rivoluzionari”. Il militare mi fa presente come il movimento di HTS sia nato per contrapporsi all’egemonia politica della famiglia Al Assad, sostenendo che la Siria stia iniziando a vivere i suoi tempi migliori, che “finalmente è libera”.
Seppure il mio concetto di “rivoluzionario” differisca in maniera sostanziale, mi affretto a scusarmi, dicendo che in Italia le informazioni potrebbero arrivare filtrate e che forse conosco solo una parte della realtà. Non posso vedere il suo volto, nascosto sotto un passamontagna, ma solamente i suoi occhi, il fatto però che prosegua la conversazione mi fa credere che abbia accettato le mie scuse.
Per lui è la prima volta a Damasco, ha sempre vissuto nelle campagne di Idilb. Non ha mai potuto continuare la scuola, ha dovuto interrompere gli studi all’età di 12 anni a causa della guerra e mi coregge quando definisco quegli anni come “guerra civile”. Mi sarei data un morso nella lingua per la mia affermazione stupida, essendo per prima consapevole che la guerra siriana è stata tutto fuorché un conflitto esclusivamente interno, ma ormai avevo già fatto ampiamente una pessima figura.
Per inviargli le foto che avevo scattato con il mio telefono e la macchina fotografica, mi scrive il suo numero. Nei giorni successivi dopo avergliele inviate mi sono permessa di fargli qualche domanda.
Gli chiedo dell’attentato con un’autobomba avvenuto nella provincia di Manbij, in cui sono morte 18 donne e un uomo, la maggior parte dei quali operai agricoli. (Al Jazeera del 3/02/2025). Mi risponde lapidario: “Erano terroristi, ma presto ci occuperemo di loro”. Fingo ingenuità, chiedo se fossero siriani. “Erano curdi”, mi corregge. “Ma il problema sarà risolto presto” senza ovviamente specificare come.
La conversazione non è semplice poiché il ragazzo non parla inglese e devo farmi aiutare da Google Translate. Sono incuriosita dall’attuale situazione con i curdi, poiché era mia intenzione recarmi a Deir Ez-Zor, ma da molti siriani mi è stato sconsigliato. Il ragazzo mi riferisce che gli scontri con le SDF (Syrian Democratic Force, alleanza di milizie curde nate nel 2015) sono ancora aperti e che loro se ne occuperanno con il sostegno della Turchia.
Sorrido ironicamente da dietro lo schermo del telefono, Quanti attori ci sono attualmente in gioco in Syria e quante dinamiche a noi sconosciute.
Il mio viaggio in Siria, anzi mi correggo, in quella che gli attuali governanti chiamano la “nuova Siria” è durato complessivamente 8 giorni, molto intesi, vissuti fra mezzi pubblici, share bus, e fra la gente. Oltretutto gli autobus che collegano le città principali sono molto efficienti ed economici, parliamo di costi irrisori che vanno dai 4 ai 10 dollari per le tratte più lunghe. Dei luoghi che ho visitato sono sempre state le persone a lasciarmi senza fiato, a darmi la consapevolezza ogni volta, che il Medio Oriente è fatto di persone resilienti, che sanno rialzarsi, che resistono. Damasco e Aleppo

Cittadella di Aleppo, chiusa al pubblico, con le bandiere della nuova Siria a dominare le sue antiche mura.
sono città che si fanno amare , girare per i loro vicoli e il loro suq, anche da sola, mi ha riempito gli occhi e il cuore di un amore infinito per questo popolo e la sua bellissima terra. La mattina a Damasco andavo nella piazza dell’Araami Garden e seduta su una sedia di plastica bevevo il caffè, acquistato da un venditore ambulante, insieme ai venditori di sigarette, insieme a coloro che fumavano Shisha,(9) insieme ai bambini che giocavano per strada: mi piaceva osservarli e a loro osservare me con un sorriso dolce e amichevole.
Si è scelto di uscire dalla Siria attraverso una frontiera molto difficile, L’Arida Border Crossing, una frontiera distrutta dai bombardamenti israeliani nel novembre 2024 pochi giorni dopo la firma del cessate il fuoco fra Hezbollah e Israele, che dalla città di Tartus permette di percorrere la strada che porta a Tripoli in Libano, dove poi siamo rimasti per cinque giorni fra Beirut, Sidone e Tiro.
Il Libano, ora, è un paese dai mille contrasti : grattacieli e ristoranti di lusso ombreggiano sul lungomare ricordandoci effettivamente che un tempo Beirut era definita anche “la Svizzera del medio oriente”. E poi c’è Dahieh, quartiere a maggioranza sciita, sotto il controllo di Hezbollah, nella periferia sud della città.
Quartiere Dahieh Beirut. Roccaforte Hezbollah dove il 27 ottobre 2024 fu ucciso da pesanti raid israeliani il leader storico ed indiscusso del partito Hassan Nasrallah
Qui il 27 settembre fu ucciso dagli israeliani a seguito di un pesante bombardamento il leader storico del partito Hassan Nasrallah. È in questo quartiere che mi piace ricordare il Libano, fra le bandiere della Palestina, le foto dei martiri, i mercati brulicanti di persone e la tenacia di chi raccoglie le macerie delle proprie case distrutte dai bombardamenti dell’ottobre 2024.
Ma questa sarebbe un’altra storia o un’altra fotografia da raccontare.
Credo che ci vorrà ancora molto tempo per comprendere come si sono evolute le cose e soprattutto quale potrà essere il finale di questa storia. Il concetto di “normalità” è stato ridefinito e ciò che un tempo era considerato una minaccia, oggi governa.
Da inguaribile romantica , amo pensare che la storia, quella vera, sia intrappolata tra le mura della Moschea degli Omayyadi, in attesa di essere raccontata.
“Quando vedo i figli dei martiri, desidero sentire il loro profumo, e mi perdo”
(Qasem Suleimani )
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Articolo e foto di Maya
NOTE
- Gruppo Jihadista (Organizzazione per la liberazione del Levante), salito alle cronache globali nel dicembre 2024 come il movimento che ha posto fine alla dinastia della famiglia Al-Assad in Siria.
- Il luogo sorge su antichi resti di un tempio amorreo del III millennio A.C. che i romani modificarono nel I secolo D.C. trasformandolo nel tempio più grande della Siria. Nel 706 D.C. il Califfo Omayyade Al Walid I, ordinò la costruzione della moschea che venne ultimata nel 715 D.C
- Nicchia posta all’interno della moschea che indica la direzione della Mecca.
- La guerra in Siria ebbe inizio nel 2011 evolvendosi sulla scia di diverse rivolte popolari nate nell’ambito della primavera araba. A marzo 2011 scoppiarono le proteste nella città di Dar’a. Ben presto il conflitto si allargò vedendo l’insorgere di gruppi islamisti fra le file dei ribelli.
- Jahbat Al – Nusra: movimento nato allo scoppio della guerra siriana, quando Al Baghdadi, leader di Al Qa’ida in Iraq, autorizzò l’attuale presidente siriano Al-Joulani, di creare una cellula di Al – Qa’ida in Siria al fine di rovesciare il governo di Bashar Al Assad e proclamare un califfato islamico. Nel 2012 Al – Nusra spiccava fra i vari gruppi jihadisti per la sua disciplina e la sua forza militare. Nel novembre 2012 un giornalista del Washington Post (David Ignatius 30/11/2012) descrisse Al – Nusra come il gruppo più aggressivo e di maggiore impatto dell’ESL (Esercito Siriano Libero).
- Al -Baghdadi: controversa è la storia rispetto alla sua gioventù. Nacque nella città di Samarra – Iraq ed ebbe la sua ascesa nella galassia dei movimenti jihadisti, durante l’occupazione americana dell’Iraq, dove si unì ai ranghi dell’insurrezione arabo-sunnita contro l’invasione statunitense, diventandone ben presto la guida indiscussa. Nel 2013 dichiarò la nascita dello stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS). Il progetto di Al- Baghdadi era quello di costituire uno stato a tutti gli effetti con definizione di territori, confini ed istituzioni, al fine di ricreare un Islam che ripercorresse i fasti dell’epoca dei primi quattro Califfi, considerati i “retti”, gli “ortodossi”. Tale progetto comprendeva l’annessione anche della Siria, dove il potere era rappresentato dal partito Baath, formazione politica nata negli anni 40, da esuli siriani in Francia. In arabo il suo nome significa “speranza”. I cardini principali dell’ideale baathista, erano quello dell’unità araba, della libertà e del socialismo. In Siria il partito Baath a seguito della scissione con il ramo iracheno del partito, fu rappresentato a partire dal 1970 dal generale Hafez Al Assad che mantenne la guida della nazione fino al 2000. La successione del figlio Bashar Al Assad rappresentò l’inaugurazione di una repubblica dinastica non prevista dagli ideali originari del Baath.
Al- Baghdadi fu ucciso da un raid americano vicino alla città di Idlib (Siria) il 27 ottobre 2019.
- Fratelli Mussulmani: fondato nel 1928, in Egitto, da Hasan Al Banna e Isma’iliyya, di fede sunnita. Movimento di matrice islamica radicale che nel 1982 insorse nella città di Hama contro l’allora presidente Hafez Al Assad e il partito Baath. La repressione fu molto violenta, tale da essere definita anche come il “Massacro di Hama”.
- Alawaiti: Gruppo religioso originario della Siria, rappresentano una branca dello sciismo, il nome deriva da Ali Ibn Abi Talib cugino e genero del profeta Maometto, che gli alawaiti venerano in maniera particolare. Per secoli molti mussulmani sunniti non li hanno considerati pienamente mussulmani e alcuni giuristi li avrebbero dichiarati eretici. Gli alawaiti credono in una interpretazione nascosta e simbolica dell’Islam, la taqiyya, (dissimulazione religiosa). Questa necessità nacque per nascondere le proprie credenze religiose e per proteggersi da discriminazioni e violenze. Ma la taqiyya non fu per gli alawaiti solo una tecnica si sopravvivenza ma anche un riflesso della loro visione esoterica della religione, ovvero la verità non è per tutti ma solo per chi è pronto a riceverla.
- Shisha o Narghilè, strumento per il fumo, molto diffuso in medio oriente e in generale nei paesi arabi.