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Giovedì 27 febbraio, grazie al professor Rustighi, all’Assemblea Salute e Cura e al collettivo Critical Psychology, è stato presentato il libro “Sorellanze per una psicoanalisi femminista” con l’autrice, Silvia Lippi, presso lo spazio Stria a Padova.
L’incontro è stato pensato in continuità con il laboratorio di filosofia femminista del professor Rustighi e ha permesso di realizzare un momento arricchente per militanti femministe e studiose di psicologia di Padova.
Il lavoro fatto da Silvia Lippi e Patrice Maniglier costituisce una critica femminista alla psicoanalisi per creare dall’unione di questi due mondi un sapere nuovo, che permetta di scardinare la psicoanalisi dalle categorie etero patriarcali classiche e dare al sapere femminista uno strumento per comprendere il legame alla base delle lotte femministe.
L’interesse e la volontà di portare un punto di vista nuovo nell’ambito della psicoanalisi nasce in Silvia Lippi dal suo lavoro clinico, come analista lacaniana. Nel suo studio ha avuto modo di incontrare pazienti che avevano subito abusi e che partecipavano attivamente al movimento Me Too. “A me interessava il rapporto tra le donne, che relazione c’è quando si instaurano legami di solidarietà. […] Come posso pensare le donne e la loro relazione senza fare riferimento all’uomo? […] Cominciavo a vedere come (per le pazienti) era importante che ci fossero delle altre donne con cui parlare.”
Grazie al lavoro clinico racconta di essersi resa conto dell’esistenza di un legame diverso dalle tipologie di legame teorizzate da Freud. Il legame raccontato dalle sue pazienti non era riportabile ai processi di identificazione nel leader o di un obbiettivo comune teorizzati dalla psicoanalisi, “il movimento Me Too era privo di un principio di unità classico, ma composto da una moltitudine di donne che non si conoscevano e facevano sentire la loro voce sui social.”
Per spiegare quale fosse l’elemento di identificazione comune tra queste donne, Silvia Lippi propose a Patrice Maniglier la scrittura di questo libro, in cui formulano i concetti di “legame” e “sintomo sororale”: un sintomo derivante dalla repressione del desiderio pulsionale di alleanza tra donne, che emerge invece in modo dirompente in manifestazioni collettive. Con questa concettualizzazione, femminismo e psicoanalisi si incontrano. La psicoanalisi diventa uno strumento per dare voce alle pulsioni represse dal patriarcato.
Dal punto di vista dell’autrice, l’incontro tra questi due mondi è naturale e si prospetta fin dalla nascita stessa dell’approccio psicanalitico. In epoca vittoriana Sigmund Freud si mette in ascolto all’isteria femminile, praticando una metodologia terapeutica in contrapposizione a tutte quelle esistenti al tempo. Nell’ascolto delle donne, Freud notò un rapporto profondo tra il corpo che soffre e la situazione di vita delle donne dell’epoca che, portandogli le proprie problematiche singolari, fornivano un quadro della struttura patriarcale del tempo.
La psicoanalisi classica si è però fondata su una visione della donna al maschile, percependola come un soggetto intrinsecamente mancante, imputando a ciò le angosce proprie dello sviluppo psicosessuale femminile e maschile, rispettivamente la Penisneid (L’invidia del pene) e la Kastrationsangst (l’angoscia di castrazione). La proposta di Silvia Lippi e Patrice e Maniglier si contrappone alla visione fallocentrica della psicoanalisi, in quanto consiste nel transitare da un nucleo traumatico fallo-centrato a un nucleo traumatico centrato sul desiderio delle donne di unirsi in legami di sorellanza.
Proponendo di ripensare il legame femminista a partire dal sintomo, le autrici colgono l’importanza della figura di Valerie Solanas come punto di raccordo tra inconscio e politico. Manifesto SCUM, di cui Solanas è autrice, è definibile come un testo di femminismo psicotico, sia per la forma con cui è scritto sia in quanto propone come pratica femminista radicale lo sterminio di tutti gli uomini. La modalità espressiva del delirio permette un movimento affettivo molto ampio: “Valerie inverte la teoria del «penisneid», dicendo che non sono le donne a voler essere come gli uomini, ma al contrario gli uomini che provano invidia verso le donne.” Con le sue affermazioni forti e violente, Valeris Solanas ribalta il linguaggio dell’oppressione e fa del suo libro un’arma che parla direttamente al desiderio, non importandosi di passare dalla parte del torto.
La figura di Valerie Solanas è centrale all’interno di Sorellanze perché il libro “non mira ad essere uno scritto ben pensante ma un testo capace di accettare l’ironia, la violenza e ogni stato d’animo”. È importante riconoscere il ruolo rivoluzionario della follia, come un modo di opporsi a tutto quello che non funziona nel mondo. Un certo grado di follia è necessario e mancante in un certo tipo di femminismo estremamente razionale. Senza la volontà di contrapporsi a teoriche come Judith Butler o Monique Wittig, è importante non oscurare l’importanza della follia in ottica rivoluzionaria. Come aveva spiegato Silvia Lippi in una precedente intervista su Machina: “avevo bisogno di qualcosa di così radicale per pensarlo dal punto di vista dell’inconscio, per pensare ad un mondo dove l’uomo è assente, visto che nel discorso psicoanalitico tutto è imperniato e attraversato dalla questione del Fallo.”
«Sorellanze, per una psicoanalisi femminista» ricalca il solco tracciato dal lavoro di Paul b. Preciado. In «Je suis un monstre qui vous parle»(2020), il filosofo critica il binarismo di genere alla base della psicoanalisi, sottolineando come questa disciplina, un tempo espressione di una forte radicalità teorica, sia diventata “sorda alle invenzioni del desiderio e dei corpi che la circondano, capace unicamente di fare appello alle grandi leggi dell’Edipo, della castrazione, dell’ordine simbolico o, più recentemente, del reale della sessuazione.” La critica femminista di Lippi e Maniglier si inserisce quindi in un quadro più ampio, che riconosce tuttora il potenziale critico e di analisi della disciplina, ma che ritiene che alcuni capi saldi di essa vadano messi in discussione. Come spiega Silvia Lippi, però, il processo da loro avviato non è riconducibile a un processo di decostruzione: “Non ce lo siamo mai dette perche è una cosa molto intellettuale, è un pensare l’impensabile, pensare quello che la psicoanalisi non è. Lo trovo un po’ moralista. Noi ricominciamo la psicoanalisi, facciamo partire la psicoanalisi a partire dalla clinica, è l’eterno ritorno di Nietzsche, ricominciamo la psicoanalisi in continuazione.” E’ perciò ricollocando la parola del paziente e della paziente all’interno della società e dei legami sociali che in essa si costituiscono, che la psicoanalisi si può ricostruire, riscoprendo in questo modo il suo ruolo politico.
Bibliografia
https://www.machina-deriveapprodi.com/post/la-psicoanalisi-%C3%A8-politica