Fascist Legacy, cioè sangue chiama sangue

di Luca Baiada

Michael Palumbo, Le atrocità di Mussolini. I crimini di guerra rimossi dell’Italia fascista, Edizioni Alegre, Roma 2024, pp. 416, euro 20.

La foto in copertina: già vista, come fucilazione di italiani. È l’eccidio di Dane, in Slovenia, e invece gli italiani sono i fucilatori. Il modo di scrivere: partecipe, senza grigiori, e Michael Palumbo lo rivendica: «Gli storici accademici hanno criticato spesso il mio lavoro per la componente umana che sfugge al loro stile di scrittura arido come il deserto». Le fonti: minuziose, e l’autore precisa che i documenti della United Nations War Crimes Commission vanno presi con cautela, perché quasi nessun italiano che vi è nominato è stato effettivamente processato[1].

Palumbo inizia le ricerche alla fine degli anni Settanta; archivi italiani, britannici, statunitensi, tedeschi e dell’Onu, testi in otto lingue e interviste in sei paesi. Negli anni Ottanta comincia a fare pubblicazioni, così nel 1989 la BBC produce Fascist Legacy, che la Rai compra ma non trasmette. Con quel materiale Rizzoli nel 1992 stampa L’olocausto rimosso, ma lo ritira prima che arrivi nelle librerie[2]. Adesso lo pubblica Alegre con prefazione di Eric Gobetti. Si deve all’impegno di Ivan Serra: sono sue anche la postfazione e una raccolta di materiali sul sito «www.diecifebbraio.info».

Cominciamo con la Libia, dove le violenze fasciste si saldano a quelle dell’Italia giolittiana, quando importanti intellettuali sostengono l’aggressione. Si invoca la storia romana. E la realtà?

Bambini dai 3 ai 14 anni venivano strappati alle loro famiglie per essere mandati in Italia ed educati alla fede cattolica, fedeli allo Stato fascista, nemici della loro stessa gente. I bambini si aggrappavano alle madri, tra le urla di protesta dei genitori. Le giovani deportate erano costrette a subire gli abusi sessuali delle guardie fasciste; molte furono violentate o prese con la forza dai soldati italiani come concubine.

Ferocia spettacolare, come l’assassinio dello sceicco Said El Rafidi e di altri, gettati da un aereo, coi compagni obbligati ad assistere e coi soldati italiani che applaudono, o come il saccheggio di Cufra, nel 1930, con gli oltraggi al Corano. Lo spettacolo comprende un Mussolini gran turismo, nel 1936:

Secondo la mentalità fascista era Scipione l’Africano che stava navigando da Cartagine per visitare la terra che aveva conquistato e trasformato in colonia romana. Durante il suo soggiorno in Libia, Mussolini si atteggiò a «difensore dell’Islam» e si proclamò guardiano dei musulmani non solo nel territorio italiano, ma nel mondo intero.

Da tenere presente, oggi che una stravolta romanità torna a far chiasso.

La Jugoslavia è spartita fra Italia, Germania e satelliti. Nella provincia di Lubiana gli italiani internano una quota impressionante di popolazione. Si contano circa duecento campi:

Se qualcuno protestava, si avvicinava alla barriera o semplicemente cantava poteva essere torturato a morte. Le donne e le ragazze venivano d’abitudine violentate, e in alcuni casi molte prigioniere venivano cedute ai bordelli delle truppe dell’Asse nella zona del campo.

Fra i posti peggiori, Rab; Martina Košak racconta la sporcizia, la denutrizione dei bambini: «Ci morivano davanti agli occhi e io non potevo far altro che torcermi le mani». La vita insopportabile, la morte incalcolabile: nel cimitero i fascisti interrano più bare una sopra l’altra, anche con più salme in ogni bara.

L’aggressione all’Etiopia è preparata militarizzando gli italiani:

[Mussolini] emanò un decreto secondo il quale ogni italiano era un «cittadino soldato» e doveva essere educato militarmente a partire dagli otto anni: «Una nazione, per rimanere prospera, dovrebbe fare una guerra ogni 25 anni».

Oggi si organizzano visite di militari nelle scuole e di bambini nelle caserme, e c’è chi approva. Palumbo scrive:

Il regime fascista non nacque dal nulla; il dilagante militarismo e la glorificazione di Roma imperiale che Mussolini andava predicando riflettevano i sentimenti di molti politici e intellettuali dell’Italia del diciannovesimo e dell’inizio del ventesimo secolo.

L’uso del gas in Etiopia è certo. Sono coinvolti a vari livelli – pianificazione, esecuzione, nascondimento, disinformazione – Mussolini, Graziani, Badoglio, Roatta, Grandi. Al Lago Ascianghi si lanciano manifestini sulle truppe sconfitte e sulle donne: invitano a marciare in pace di giorno, invece che di notte, chiedono di non nascondersi e promettono di non attaccare; gli etiopi si fidano e sono sterminati col gas. È la lealtà dei fascisti.

Achille Starace dirige la conquista di Gondar. Facile: il comandante etiope locale viene corrotto. Il conquistatore pubblica un libro, La marcia su Gondar, D’Annunzio fa l’introduzione. L’eroismo dei fascisti è come la loro pubblicità.

In Etiopia, dove contro l’aeronautica non c’è difesa, Vittorio Mussolini è aviatore; poi scrive Voli sulle Ambe:

Allora sotto! Chi in sella, chi con le gambe, in breve la pianura si spopolava. Ho ancora in mente l’effetto di un gruppetto di Galla, caracollanti dietro ad uno vestito di nero. […] Era molto divertente e si colpivano bene anche stando relativamente alti[3].

Di solito chi ha voglia di un padrone apprezza anche i suoi familiari. Dal 2022, per la prima volta nell’Italia repubblicana, ci sono due cognati nel governo.

Gli attacchi aerei alla Croce rossa servono a eliminare testimoni, ma anche persone spinte da ideali di solidarietà incompatibili col regime. I volontari – oggi si chiamerebbero attivisti, cooperanti – sono traditori della razza bianca, sostenitori di valori liberali e democratici, vivi moniti contro il nuovo corso italiano. E allora arrivano ostacoli all’attività umanitaria e ai suoi addetti, accuse, vittimismo, aggressioni alla legalità internazionale. Ricorda niente, adesso? I fascisti volevano essere great again.

Dopo l’attentato a Graziani si scatena la rappresaglia degli italiani, anche civili. Un diplomatico americano:

Gli italiani hanno perduto completamente la testa. Dal momento dell’incidente bande indisciplinate di camice nere e braccianti, armati di fucili, scuri e mazze, vagano per le strade uccidendo gli indigeni, persino le donne, con scene rivoltanti di barbarie. Molti indigeni, le cui capanne erano state date alle fiamme, sono stati colpiti mentre tentavano di scappare, oppure sono stati costretti a morire tra le fiamme.

Si bruciano case, ma non quelle di lusso, buone dopo aver ucciso i proprietari. Certo, l’appropriazione di case in terre occupate non smette con la fine del fascismo. La novità di oggi è la polverizzazione di abitati e poi la proposta di farci riviere turistiche.

In Etiopia sono assassinati almeno mezzo milione di civili: «Si può bene immaginare quanti sarebbero stati gli uccisi se gli italiani fossero riusciti a completare i loro sforzi di “pacificazione”».

Il comportamento in Grecia è punteggiato di ferocia e dominio sessuale:

Di numerose atrocità furono responsabili i carabinieri che terrorizzavano gli abitanti dei paesi occupati. Famigerato era anche il controspionaggio che si serviva dei metodi più spietati per ottenere informazioni sulla resistenza. Il capo del controspionaggio in Grecia, dall’aprile 1941 al gennaio 1943, fu il colonnello Mariano Scolaro, il quale di frequente ordinò l’utilizzo della «tartaruga» – uno strumento di ferro che veniva fissato intorno al capo e stretto finché la testa del torturato incominciava a sanguinare; continuando a premere, si fratturava il cranio[4].

Le torture sono sfrenate, fantasiose:

Alcuni prigionieri vennero bruciati vivi, altri appesi per le braccia finché queste si disarticolavano, ad alcune vittime furono cavati gli occhi, altre ancora furono costrette a bere la propria urina. Probabilmente il sistema di tortura più diabolico era l’uso di una pompa d’aria che veniva infilata nell’ano per far gonfiare e infine scoppiare l’intestino.

C’è chi dirige lo stupro di massa nella città di Argos Orestiko, l’assassinio di cento persone inermi, l’incendio di villaggi; a un ufficiale piaceva stuprare ragazze adolescenti con la cocaina, un altro preferiva stuprare bambini.

C’è una vicenda che viene attribuita al tenente Giovanni Ravalli e ad altri; un greco prima di essere ucciso è trattato così:

Dopo avergli strappato i denti con le pinze, Ravalli l’aveva fatto legare alla coda di un cavallo pungolato da una baionetta, per cui l’uomo fu trascinato al galoppo sfrenato sul terreno pietroso per tre ore. Fu poi appeso per le mani con i polsi legati dietro la schiena, pestato e lasciato in questa posizione per alcuni giorni. Di tanto in tanto gli veniva strofinato del sale sulle ferite[5].

Su Ravalli torneremo.

Quanto all’internamento, nel campo di Larissa ci sono poca acqua, scarsa igiene, regole draconiane: chi uccide un greco che tenta di scappare ha una licenza, quindi non è il caso di risparmiare le munizioni. I prigionieri non vivono più di sei mesi.

L’occupazione causa la carestia, i fascisti potrebbero rimediare ma invece la aggravano e si muore. Il comportamento degli italiani verso i greci affamati è diversificato:

Alcuni soldati semplici davano dei pezzi di pane ai bambini e si mostravano riluttanti quando veniva loro chiesto di cooperare alle confische di viveri organizzate dai carabinieri. Altri, invece, riservavano il cibo per le donne greche loro amanti o prostitute. Altri ancora traevano profitti commerciando nel mercato nero[6].

La Croce rossa ha un piano per i rifornimenti ai greci, la Germania è favorevole; l’Italia si oppone e quando il piano è approvato lo ostacola. Oggi, se a qualcuno il paragone fra Israele e Germania non piace, è possibile evitarlo: si può farlo con l’Italia.

Nei paesi occupati sono attivi i tribunali militari italiani. Così in Jugoslavia: «Quello che aveva luogo difficilmente si poteva definire un processo, poiché la difesa era soltanto formale e le uniche prove ammesse erano quelle presentate dal pubblico ministero, né era possibile l’appello»[7]. Contro gli jugoslavi ogni ombra pesa. Più imputate compaiono in udienza con scarpe simili? È prova di una trama organizzata. Qualcuno vorrebbe solo vivere in pace? È prova di resistenza. Non ci sono prove? L’imputato è colpevole, nel processo non ha fatto il saluto fascista.

Sulla base di quanto riportato da un giornalista, si dà conto dei tribunali italiani in Etiopia:

I presidenti […] non parlavano la lingua del posto e in genere erano disattenti durante i processi. C’erano degli interpreti neri ma la loro conoscenza dell’italiano era molto limitata e spesso gli accusati non avevano la minima idea di cosa stesse succedendo o del perché fossero processati; le condanne erano emesse in modo arbitrario ma pur sempre severo[8].

Quanto ai processi in Grecia, quelli al tribunale militare di Atene sono «una crudele parodia». Per esempio. Viene ucciso un possidente che ha collaborato con gli italiani; decine di persone sono arrestate e torturate. Quindi:

Alla fine i fascisti ottennero quattordici confessioni, ciascuna delle quali dava un resoconto totalmente diverso dell’omicidio. Fu impossibile coordinare le varie confessioni o determinare se una fosse veritiera; di conseguenza il processo si trascinò fino alla fine dell’occupazione italiana[9].

Non sono riportati episodi specifici di comportamento soccorrevole da parte di italiani; nulla di paragonabile al tedesco buono, mito ricorrente nelle stragi naziste. Forse è un bene. Ma il libro ci ricorda, senza insistere sulla bontà, il generale Nicola Bellomo.

Non ben allineato al regime, in guerra Bellomo ha incarichi limitati e dopo è malvisto. I britannici vogliono una sentenza esemplare contro i militari italiani, ma senza colpire quelli utili alla loro politica di destra; perciò prendono a bersaglio lui e lo condannano alla pena capitale, per la morte controversa di un prigioniero di guerra[10]. È l’unica sentenza britannica eseguita, in Italia, perché neanche Kesselring viene giustiziato. Il generale non chiede la grazia e scrive:

La morte non mi spaventa. Mi spaventa il pensiero di dover passare, una volta graziato, la vita in carcere. Preferisco perciò che la sentenza abbia esecuzione. La mia memoria rimarrà almeno legata, senza incrinature, alla forza d’animo che ha rappresentato la spina dorsale di tutta la mia vita. Infine, non intendo modificare per mia volontà la responsabilità morale che è connessa con la sentenza pronunziata contro di me[11].

Davanti al plotone grida «viva l’Italia!» e dice, in inglese e in italiano: «Dio abbia pietà di me e di loro». Insomma: un mare di sangue, l’unico fucilato non è un fascista, gli altri se la cavano e magari fanno carriera.

Su tutto questo, Palumbo non fa sconti né ai britannici né agli statunitensi, quando ricorda che Carlo Sforza, antifascista ed esule, è per una vera epurazione dei fascisti, e che a novembre 1944 gli inglesi, contrari all’epurazione per non favorire i comunisti, mettono il veto alla sua nomina a presidente del consiglio e impongono Ivanoe Bonomi[12].

Ancora. L’insistenza della Jugoslavia per la punizione dei fascisti incontra proprio l’opposizione britannica e statunitense. C’è di più. Ad agosto 1945 l’Alta corte di giustizia italiana rende noti i nomi dei fascisti da allontanare dal Senato; gli alleati vogliono difendere Badoglio e il 29 settembre 1945 il ministero degli esteri inglese ordina all’ambasciatore a Roma:

Cogliere l’occasione adatta di attirare privatamente e non ufficialmente l’attenzione del signor Parri (presidente del consiglio) sul valido aiuto reso da Badoglio alla causa alleata ed esprimere la speranza che questi servizi possano essere resi noti alla corte prima che la causa venga discussa[13].

Badoglio rimane senatore, ma qui teniamo da parte come accada. Invece attenzione alle date: risale all’agosto 1945 la decisione di accentrare a Roma i fascicoli sulle stragi tedesche, cioè il primo passo nella formazione dell’archivio noto come Armadio della vergogna.

Torniamo a un nome già incontrato. Nel 1992 questo libro si ferma dopo la «protesta del politicamente influente criminale di guerra italiano Giovanni Ravalli, condannato a tre ergastoli in Grecia»[14]. Rory Carroll nel 2001: «Nel 1992 uno storico americano, Michael Palumbo, rivelò le sue atrocità in un libro ma Ravalli, sostenuto da amici potenti, minacciò di far causa e il libro non fu mai pubblicato»[15].

Chi è Ravalli? Militare in Grecia, dopo l’8 settembre si unisce ai partigiani; la sua identità viene scoperta ed è imprigionato; nel 1946 lo processano ma, grazie a una dichiarazione in suo favore del colonnello Woodhouse, rappresentante militare inglese, evita la sentenza di morte[16]. La relazione di minoranza della Commissione bicamerale sull’Armadio della vergogna ricorda quel processo del 1946 e il seguito:

Il tenente Giovanni Ravalli […] fu condannato all’ergastolo perché ritenuto corresponsabile delle feroci rappresaglie italiane contro la popolazione greca nella zona di Kastorià durante l’occupazione fascista. […] Fu liberato grazie ad un forte interessamento di De Gasperi. In seguito, Ravalli fece una carriera nell’amministrazione fino a rivestire la carica di prefetto. Nel 1953, sembrava essere stato incaricato di seguire, nella Presidenza del Consiglio dei ministri, la documentazione sui crimini di guerra commessi dai tedeschi[17].

Già, abbiamo letto bene. Proprio lui, condannato per crimini fascisti, è coinvolto nella giustizia su quelli nazisti. È un caso? Dalla stessa relazione, quanto all’intesa su Ravalli e altri due italiani, emerge un parallelo:

L’esito dell’accordo era stato analogo a quello raggiunto fra Italia e Germania: nel settembre 1950 tre criminali di guerra italiani erano stati scarcerati e rimpatriati in Italia, fra cui l’ex-tenente Giovanni Ravalli, già condannato all’ergastolo ad Atene nel 1946 come criminale di guerra perché ritenuto responsabile di sanguinose rappresaglie contro i partigiani e la popolazione civile greca[18].

Il ruolo di Ravalli qui non può essere chiarito. Dai giornali dell’epoca in cui è prefetto di Palermo, e poi di Roma, emerge come un fiduciario della parte peggiore del potere; fra chi lo attacca, un nome dice tutto: Pio La Torre, assassinato dalla mafia nel 1982[19].

È possibile che un editore come Rizzoli abbia ritirato il libro solo per paura di Ravalli? Forse l’ha considerato il capofila di persone e gruppi suscettibili. La posizione di Ravalli potrebbe anche essere una cerniera fra i crimini italiani all’estero e le stragi nazifasciste in Italia; nel 1992, quando il libro di Palumbo sparisce, l’Armadio della vergogna non è stato ancora rifrequentato: lo scandalo diventerà pubblico solo nel 1996. Ravalli, invece, potrebbe sapere da tempo molte cose.

Di certo, neanche con la rifrequentazione dell’Armadio i militari italiani sono stati giudicati, e la ripresa delle indagini ha portato a una ventina di ergastoli soltanto nei confronti di tedeschi (solo tre eseguiti). I crimini di guerra italiani, rimossi, anche dopo il 1996 hanno avuto poca attenzione e nessun dibattimento. È un sangue senza giustizia che pesa ancora. Eric Gobetti ricorda che, dopo buoni studi alla fine del secolo scorso, adesso c’è un circuito pericoloso fra politica e lavoro culturale:

Il governo Meloni è stato reso possibile anche dalla percezione diffusa di «innocenza» delle idee politiche del fascismo storico a cui l’attuale leadership del nostro paese si ispira. […] Gli archivi militari sono diventati sempre più inaccessibili agli storici indipendenti e le ricerche accademiche su questi temi sono oggi quasi del tutto inesistenti[20].

Va detto che nel libro qualcosa non va. Le fonti, copiose, sono disomogenee fra le aree di occupazione. Mancano notizie sull’Urss e su altri territori. Colonialismo e imperialismo sono ricondotti al Risorgimento, e specialmente a Mazzini, e non convince. Fu l’antifascismo, a buon diritto, a richiamarsi al Risorgimento sin dagli anni Venti, poi nella cospirazione, nella Resistenza e nella battaglia repubblicana e costituzionale, denunciando che i fascisti sono traditori e usurpatori dei progetti preunitari. C’è continuità tra il famoso discorso di Matteotti, alla Camera, e la lezione partigiana impartita nella Roma occupata, a via Tomacelli, vent’anni dopo, per l’anniversario della morte di Mazzini. Il 30 maggio 1924 Matteotti: «Molto danno avevano fatto le dominazioni straniere. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con l’opera nostra. Voi [fascisti] volete ricacciarci indietro»[21]; morirà pochi giorni dopo. Il 10 marzo 1944 a via Tomacelli: mentre i repubblichini sfilano, le armi partigiane ribadiscono chi sono i patrioti veri (e qualche camicia nera ne fa le spese)[22].

Anche la Resistenza e la svolta repubblicana non sono valorizzate. Ma Palumbo cerca di vedere le cose nel lungo periodo, quando collegando il controllo anglo-americano all’impunità dei fascisti commenta: «Questo aiuta a spiegare il riemergere del fascismo in Italia nel nostro tempo».

Di certo, se il lavoro storico non è stato fatto meglio, va messo in conto a chi l’ha sabotato, non a Palumbo che l’ha svolto e ha condiviso i mezzi per proseguirlo. Sia chiaro: stiamo pagando il ritardo di trent’anni nella pubblicazione di questo studio. È bene munirsi di uno strumento così robusto e raccogliere il testimone.

Avere ben presente la violenza fatta, e non solo quella subita (bombardamenti alleati, occupazione tedesca, stragi nazifasciste), serve a toccare la realtà per non sbatterci di nuovo il muso: se si sparge il sangue degli altri, prima o poi, si sparge anche il nostro.

[1] Michael Palumbo, Le atrocità di Mussolini. I crimini di guerra rimossi dell’Italia fascista, Edizioni Alegre, Roma 2024, p. 383.

[2] Ivi, postfazione di Ivan Serra, Breve storia di un libro censurato e ritrovato, pp. 385-397.

[3] Palumbo, Le atrocità di Mussolini, cit., pp. 127-128. La citazione è da Vittorio Mussolini, Voli sulle Ambe, G. C. Sansoni Editore, Firenze 1937, pp. 47-48.

[4] Ivi, p. 190.

[5] Ivi, p. 212.

[6] Ivi, p. 185.

[7] Ivi, pp. 228-229.

[8] Ivi, p. 156, che cita Ciro Poggiali, Diario A.O.I. 15 giugno 1936 – 4 ottobre 1937. Gli appunti segreti dell’inviato del Corriere della sera, Longanesi, Milano 1971.

[9] Palumbo, Le atrocità di Mussolini, cit., pp. 192-193.

[10] Ivi, pp. 341-346.

[11] Ivi, pp. 346-347.

[12] Ivi, pp. 310-312.

[13] Ivi, p. 313.

[14] Ivi, p. 24.

[15] Rory Carroll, Italy’s bloody secret, «theguardian.com», 25 giugno 2001.

[16] Palumbo, Le atrocità di Mussolini, cit., pp. 330-331.

[17] Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti, legge n. 107 del 2003, Relazione di minoranza, pp. 96-97; la relazione cita documenti d’archivio.

[18] Ivi, p. 173.

[19] Fra gli articoli critici: g.f.p., Tracotanti affermazioni del prefetto di Palermo, «l’Unità», Mezzogiorno e Isole, 25 luglio 1967, p. 6; Pio La Torre, Prefetto da pensionare, «l’Unità», 20 settembre 1967, p. 1; Il prefetto di Palermo si schiera con chi ha fatto fuggire Liggio, «l’Unità», 17 febbraio 1970, p. 7. Invece, Paolo Menghini, È abituato a essere impopolare il «contestato» prefetto Ravalli, «Corriere della sera», 1° settembre 1972, p. 7: «Sul piano umano, è un gentleman: cortesissimo, cordiale, generoso».

[20] Palumbo, Le atrocità di Mussolini, cit., prefazione di Gobetti, cit., p. 10.

[21] Giacomo Matteotti, Contro il fascismo, Garzanti, Milano 2019, p. 50.

[22] Cesare De Simone, Roma città prigioniera. I 271 giorni dell’occupazione nazista (8 settembre ’43 – 4 giugno ’44), Mursia, Milano 1994, p. 108. Anche «l’Unità», 15 marzo 1944.

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