
Di Alceste
Roma, 24 marzo 2025
Donald Trump, presidente degli Stati Uniti d’America, assieme al fido J. D. Vance, incontra Volodymyr Zelens’kyj o Zelenskyi o Zelenskyy, presidente dell’Ucraina e gli fa una lavata di capo! La svolta! E tutto in diretta! Qui assistiamo alla storia! E la commentiamo pure! La scenetta fra compari di spettacolo (un mezzo attore prestato al wrestling, un ex comico e un tizio che ha disconosciuto il nome del padre) ha riscosso il debito successo. Che i primi due protagonisti fossero l’ipostasi non di una nazione o popolo (Stati Uniti e Ucraina non esistono più da tempo), ma i rappresentanti di un potere sovranazionale che tiene in ostaggio coloro che, incidentalmente, si trovano a vivere in quelle entità geografiche, non è stato ovviamente rilevato; così come è passato sotto silenzio che la loro liquidazione era ed è la principale meta di cui terrorismo, usura e conformismo corretto sono i principali mezzi.
Quali sono i tratti peculiari di Stati Uniti, Ucraina, Francia, Inghilterra? Italia? Esiste ancora una burocrazia interna che regola dittatorialmente la vita interna dei milioni, ma i tratti antropologici essenziali sono svaniti del tutto. Macron decide in nome della Monarchia Universale, i suoi atti, le deferenze, i gridolini sono congegnati per arrivare a quell’utopia e i cosiddetti Francesi, i cui ultimi esemplari vennero pastellati in Algeria, si muovono come morti-in-vita anelando la meschina minutaglia delle esistenze nel cubicolo. Le politiche sono poste in atto per depauperare spiritualmente, per annichilire le volontà, per peggiorare, per livellare. In vista di questo si è ideato il riarmo così come mezzo secolo fa s’iniziò l’edonismo libertino e trent’anni or sono il melting pot europeo. Si cambia, ma la direzione è la medesima. Prima si doveva inastare sulle baionette (da cui sbocciavano fiori) la bandiera della pace e delle chiappe multicolori, poi del migrante sfruttato e del migrante che avrebbe versato contributi, poi la baionetta tout court: ci dobbiamo, quindi, arruolare? Ma no, lo faranno, in nostra vece, i risparmi di papà e nonno, ammesso che esistano o non siano già dilapidati. Guerra ci sarà, la guerra che necessita dell’oro alla patria, ma l’autentica guerra, quell’antica festa crudele, sarà più che altro evocata, suggerita, recitata e messa in scena per i visori con scoppi di mortaretti e succo di pomodoro. I corpi dilaniati, le chiese sbriciolate, gl’infanti trucidati appartengono solo agli ultimi popoli, ai Kaweskar della Siria, della Palestina, dello Yemen.
C’è il riarmo: contro chi? Contro i soliti: noi. Vedete com’è difficile liquidare un popolo che ha dalla sua tremila anni di storia. Povera Italia. La personale depressione che provo è verso di lei, l’Italia.
So che può sembrare sciocco eppure è così. Chi si prenderà cura dell’Italia, delle sue residue bellezze? Negri, cinesi e indiani? L’assenza della civiltà è la civiltà del futuro. Ancora non mi rassegno a veder scomparire tutto questo, son gonfio di bile, mi ammalo. Eppure dovrò rassegnarmi, prima o poi. Avviene come nei documentari sulla tigre siberiana. Meno tigri restano più documentari si fanno. Meno Italia resiste più Alberto Angela e Roberto Benigni cicaleggiano.
Una maestra d’asilo si esibisce su OnlyFans. Scandalo: gl’infanti non possono educarsi in presenza di una nude model! Non so cosa facciano esattamente gli arruolati su tale piattaforme (ella si definisce “bikini atlete, freelance model”); mi basti, per giudicare la storiella, l’immancabile fotografia della ninfa allo specchio con smartphone e bocca a cul di gallina: marchio iconico della liquefazione femminile da social. Persino décor e ambienti del softcore turistico sono dannati dalla serialità: la piscina, l’avvolgente sedia di vimini … Ciò che dovrebbe muovere le tastiere, però, è altro. Pare, infatti, che si arriverà a una transazione fra istituto e signorina cui si addebita la “rottura dell’alleanza educativa”, addirittura. Si comprende? A furia di umiliare la metafisica e i concetti universali, a relativizzare, a laicizzare, eccitando il riduzionismo, la moralità e l’etica, una volta sorgive, si sono rapprese in una sequenze di vane locuzioni sorrette dalla chiacchiera. Se la maestrina trovasse un qualunque leguleio trafficone di buona affidabilità e astuzia, potrebbe pure chiedere i danni: quale invalicabile ideologia avrebbe di fronte? Già lo immagino l’azzeccagarbugli: signori della corte, le chiappe al vento son private! Mica se ne deduce nulla riguarda l’onorabilità della mia assistita! Per tacere della professionalità! Il personale, cari signori, muore al limitare del personale! Il personale, poi, è impolitico! Pur se l’osé è outré! Mondi distinti, sfere separate! E giù applausi.
L’Italia (come l’Ucraina, gli Stati Uniti, la Germania, la Siria, il Sudafrica) più non esiste eppure vanta ancora presidenze, organi amministrativi, gendarmerie assortite. Si avvera il sogno di liberali al fulmicotone come l’ebrea Ayn Rand, una dei tanti psicotici deragliati dal buon senso; talmente liberali da liberarsi di ogni entità che faccia da impaccio alla dialettica fra Stato (liberale) e individuo. Unico a esser tollerato è l’apparato repressivo, esercito, polizie, magistratura e prigioni, con qualche gendarme di rincalzo; il resto riposa sull’abilità personale d’ognuno, di ascendenza eroica, e sul miraggio del cosiddetto “mutuo beneficio” secondo il quale ciascuno sugge dal prossimo – vicendevolmente – il proprio interesse. Un cumulo di fanfaluche, ovviamente, spacciate negli ultimi cinquant’anni per verità mistica da quotidiani, riviste, saggisti e pagliacci d’ogni disordine e grado: e i micchi c’hanno creduto, mentre i liberali raccomandavano figli, nipoti e consorti nelle massonerie più criminali, dalle presidenze presidenziali al cursus honorum nei fregatoi pubblici, dai consigli di sgraffignazione alle partecipate da lestofante, al riparo dalla dura selezione dovuta al merito, per loro inesistente. Il micco da riflusso nell’Italia da bere invece no, quello non lo fregavi mica con la realtà, egli aveva negli occhi il sogno, il laissez faire, la competenza, l’arricchimento facile ed esponenziale dovuto proprio al saper fare, alle settanta ore settimanali, alla carriera, al vortice dei mercati interbancari, alla nobile e vaporosa utopia liberale dei soldi facili appassitasi, oggi, inevitabilmente, nell’oggettività inconfutabile delle pezze al culo.
Ayn Rand e Ludwig von Mises sono di destra! Bobbio, invece, di sinistra. Infatti dicono le medesime cose, al fondo di tutto. Per il torinese è lo Stato il dispensatore della democrazia che appartiene all’individuo; e l’individuo, per intercettarla al massimo grado, deve sbarazzarsi delle entità intermedie che vi si frappongono. Ogni comunità, confraternita o concrezione antropologica è, in tale visione, un impaccio mafioso e retrogrado, ivi compresa la famiglia. L’individuo ha da essere solo, questa la garanzia della sua libertà, dell’accensione degli special da flipper della sovranità popolare. Gli unici uomini degni di considerazione, i reazionari, non sono di destra o di sinistra né moderati; e nemmeno cauti o estremisti; né proletari o aristocratici o borghesi. Vogliamo dirlo finalmente? Essi sono i soli a rimanere disgustati dalla democrazia liberale, coi suoi insopportabili solfeggi sulla libertà: poiché nega la libertà.
Il paradosso consiste nel fatto che gli organismi intermedi sono letteralmente evaporati lasciando sul campo solo quelli sedicenti democratici: sindaci, presidenti, consiglieri, senatori, deputati, direttori, grand commis, capi delle gendarmerie assortite, impiegati, quadri, dirigenti, presidenti di partecipate. E questi ultimi si sono trasformati in un blocco mafioso autoreferenziale senza nessun collegamento col deriso e impotente corpo elettorale, a eccezione del bacino clientelare che assorbe quasi totalmente le residue risorse nazionali. La democrazia, insomma, viene impedita dalle istituzioni costituzionali nate per garantirla. Ci si trova di fatto in una sospensione del regime democratico in cui le entità nazionali e sovranazionali decidono al di fuori di qualsivoglia controllo. Si tratta di oligarchie talmente consolidate (le appellai, con sin troppa bonomia, patriziato) che solo un atto estremo di violenza potrebbe scioglierle: atto che, purtroppo o per fortuna, è oggi impossibile vista la mutazione antropologica degli Italiani che o negano la realtà sostituendola con desideri, smanie e vociferazioni digitali oppure tremano di fronte a un pizzardone col blocchetto delle multe.
La destra, la sinistra. I nazisti, i fascisti, i comunisti. Il regime nazista israeliano, il fascista Vannacci, il comunista Speranza, la nazista fascista comunista Von der Leyen, così, senza pensarci due volte, a seconda dei punti di vista e della riuscita dell’ultima digestione. Brandelli di concetto che volano, come stracci multicolori, buoni a vestire personaggi, epoche secolari, politiche, poiché ormai la storia, per il cretino 2.0, non vanta un senso e una logica, né una progressione o un’evoluzione, ma solo la coerenza del solipsismo estremo, del tifo o dell’idiosincrasia elevata a patologia. Si bercia, ci si offende, si blocca, si querela nel chiacchiericcio più insensato in cui categorie delicatissime sono maneggiate come chiavi inglesi. Netanyahu dà ordine di bombardare quattro condomini a Gaza, ammazza 102 poveracci, ma, poiché sono cresciuto all’ombra dei centri sociali, allora egli è un fascista. Miss Lagarde è quella che è, ma, poiché ho studiato gli economisti austriaci, allora la reputo una comunista o, a piacere, dato che ho letto I Protocolli di Sion sospetto sia una cripto-giudea. La realtà rifluisce nell’ego adolescenziale e vi si risolve occultando per sempre la verità. Il dibattito pubblico è in mani a tali pazzoidi oltre che ai ciarlatani. Disabituati al pensiero metafisico, intossicati dall’empirismo più bieco che frantuma il mondo in una serie di schegge irrelate, i cretini 2.0 degenerano nella sindrome autistica: collezionano singoli grani di sabbia ignorando la spiaggia, urlano il proprio trascurabile ego contribuendo al frastuono generale.
Attendere pazientemente il dis-velamento della natura dei fenomeni, la ben rotonda verità, la nuda Verità, la filosofia, è oramai esercizio di qualche reietto.
Mi siedo su una sediola di legno scheggiato presso l’ufficio postale del quartiere, quadrante periferico nord-ovest di Roma. Non devo far nulla, se non osservare. E cosa osservo per circa mezz’ora? L’avvicendarsi di negri, pazzoidi, storpi, drogati, palestrati con tatuaggi tasmanici o ragazzette deformate dalla neo-estetica; le barbe tignose, i capelli scompigliati o tinti alla buona, malvestiti presso i rivenduglioli di India e Cina, le scarpe casual da ipermercato o slabbrate, senza lacci perché allacciare è faticoso, come ogni rituale; t-shirt aderenti a muscoli inutili o tacchi affilati da zoccola postmoderna spesso in pendant con visi rigonfi di quel botulino seriale che dona allo sguardo la sognante profondità dell’ebete; fuseaux neri che inguainano cianchette di pollo o jeans strizzalardo; storti, grassi, flaccidi, curvi, strabici, acromegalici, occhialuti; irragionevoli, compulsivi, sbraitanti; ottusi; sempre di fretta, ché sono drogati da divano, da telenovela o da fregnaccia social; la bestemmia facile, l’ignoranza inestirpabile; disillusi, feroci, pronti a vendersi a chiunque purché gli assicuri il nepente da un’esistenza insensata e faticosa; stressati dalle pressioni burocratiche, dagli inutili e faticosi iter per l’ISEE, lo SPID, il pulmino della scuola, l’assegno, la pensione, l’indennizzo: perché si è poveri, luridi, rognosi e la certificazione d’esser tali serve come il pane, ma è difficile accedere senza l’intermediazione dell’estrema stazione dell’apòrroia sindacal-affarista, il CAF o Centro di Assistenza Fiscale.
Sei fascista, omofobo, retrogrado! Ma cosa credi, di vivere nel Medioevo? Si può essere più stupidi di così? Io omofobo? Per carità, sono la tolleranza in persona. Gli omosessuali? Facciano quel che vogliono. Purtroppo non esistono, questo il problema. Il Gay Pride, a esempio, ha una percentuale di omosessuali irrisoria. Ciò che viene scambiato per omosessualità o cultura omoerotica è uno sfascio protozoico della personalità, oggi assai comune. Un maschio o una femmina gay non amano alcunché; in potenza potrebbero invaghirsi di un vibratore, d’un alano arlecchino, d’un ologramma o d’un frullatore. Essi sono immersi nel carnevale della logica e dell’anima, per questo le loro manifestazioni rassomigliano al Mardi Gras. È il limite, la definizione, la tradizione a sfasciarsi in loro consentendo la risalita dell’indifferenziato. Le ammucchiate nelle dark room queste sono, anelito da sacea babilonese, altro che pride. Mieli mangiava merda non per provocazione o scelta intellettuale, ma perché in lui erano i confini e i limiti a dissolversi e a configurarsi falsamente come ideologia. La perversione polimorfa, la Bestia, la pozza protozoica, la palude primordiale è sempre in agguato; arte, scienza e sapienza permisero di sfuggire a quel brago lutulento e di organizzare cose, gesti e rituali definiti. Ma ora? Si allentano i lacci, crollano i muri, sono ammazzati i santi protettori del limite. La promiscuità non nasce da una scelta o dal libero arbitrio, ma da uno slabbramento del minimo ritegno. I divieti e le proibizioni, addebitati dai fessi a fantomatici oscurantismi, consentivano l’esistenza della comunità. Solo in un mondo dove la società è stata abolita per legge l’orgia può equivocarsi come emancipazione. Nell’indistinto, la personalità, ormai sfrenata dal permissivismo estremo, si sfilaccia diluendosi nei rigagnoli fognari chiamati fraudolentemente libertà: non è un caso che gli storici apripista dell’eresia, gl’Inglesi e loro colonie, da Machen a Wilde a Lovecraft, facciano finire stregoni, mostri e pervertiti nella putrefazione. In quanto prime cavie dell’esperimento, essi intuivano. Sì, tutto è possibile, ogni cosa è lecita, fa quello che vuoi. La magia sessuale di Crowley consisteva in questa evocazione dell’Indifferenza, della Bestia Dissolutrice; la Puttana del Caos aizzava il folle Azothot a sfiatare in trombette apocalittiche.
Etica è la resistenza di fronte al Caos. L’uomo stesso, come organismo, è già la testimonianza di una tale resistenza. Il raziocinio, dono celestiale, ad-una e rende intellegibile ciò che è disperso e incomprensibile. L’esistenza è la lotta di un eremita nel deserto contro le tentazioni del ritorno alla pozza prebiotica.
Solo alcuni paesi, sino a qualche decennio fa, resistevano. Fedeli al sangue cioè a quei valori, anche ridicoli, ingiusti o stupidi, che avevano permesso, tuttavia, la conservazione per secoli o millenni nonostante sconfitte, distruzioni, stermini di massa e rieducazioni da pogrom. E le guerre contro chi sono state rivolte? Verso di loro, ineluttabilmente, geometricamente, irresistibilmente. In nome di concetti brodosi come giustizia e libertà che nulla significano poiché la sopravvivenza si nutre di ciò che si è stati, spesso di iniquità e terrori. I “liberati”, infatti, tolti dal loro mondo di rape e fagiuoli, come Bertoldo alla corte del re, sono deperiti in pochissimo tempo. L’Italia ha dilapidato tre millenni in mezzo secolo, grazie alle fregnacce sull’eguaglianza e la fraternità universale.
La Seconda Repubblica è finita. Per più di trent’anni ha assolto al suo compito: devastare l’Italia dalle fondamenta. Il raduno a favore del riarmo europeo a Piazza del Popolo in Roma sancisce il declino e la prossima fine di quel compromesso criminale iniziato dal colpo di stato giudiziario del 1992 e innervato da omicidi politici ben mirati (veri o travestiti da suicidio). Di quegli anni terribili nulla si sa di preciso. Il segreto di Stato è la nube ossequiosa di mistero che avvolge l’altare cruento di un inconfessabile mito fondativo. Tutti coloro che compresero la portata di quegli avvenimenti regalando omertà e fedeltà al tradimento, ora siedono presso scranni augusti. Nel tempo altri sicofanti intervennero, ben più zelanti dei precedenti, quasi festosi, a offrirsi contro l’Italia. Per costoro ancora scrosciano applausi e s’inastano bandiere, ma siamo all’exeunt omnes. Il sipario cala; d’altra parte di quale patto c’è bisogno se la totalità del comparto politico-amministrativo condivide oramai la distruzione del Paese? Questa goffa rimpatriata, sobillata da un goliarda della sottocultura liceale, tale Michele Serra, è solo l’operazione nostalgica di una schiera di stupidi e di teatranti con le ovaie in delirio: vedete, una volta eravamo noi i prediletti! Contiamo ancora qualcosa! Prodi accende i fuochi, Santoro li smorza, Mattarella media con la Derringer nel panciotto, Bergoglio mostra le terga all’Angelus … il tempo defluisce attraverso il catetere dell’irrecuperabile. L’Italia è perduta, senza guida, preda d’ogni vento. Il potere la snobba, sa che gli è stata estirpata ogni vitalità, è la schiava perfetta, regno di chiacchieroni e cretini che s’azzuffano su quisquilie, le pupille strabuzzate sui trenta denari.
Gli unici cambiamenti radicali della storia vengono dalle rivoluzioni, un benigno eufemismo per non citare massacri e conversioni di massa. Per tale motivo il termine rivoluzione è stato debitamente e dolosamente depotenziato. Il termine rivoluzione, infatti, è in ogni angolo pubblicitario. Questo spremiagrumi è rivoluzionario … la nuova app è rivoluzionaria … Elodie è geniale, rivoluzionaria; rivoluzionato il mercato dell’auto: gli indicatori di direzione sono di un tono arancio meno spinto … la rivoluzione del food … la rivoluzione dei superconduttori, del 2G, 3G, 4G, 5G … del mercato degli affitti, del cinema, dell’informazione, della musica. La rivoluzione, di solito, non rivoluziona un bel niente: rende solo comodo ciò che prima era poco più impervio esigendo, in cambio, uno scadimento della qualità. Con l’app posso ordinare un divano, da casa (o meglio: comodamente da casa), pagando comodamente la multinazionale del divano con un’ulteriore app: quando una molla ci si infila su per il culo, però, ci sente meno rivoluzionari e più cornuti: pazienza, si lamenta il rivoluzionario dell’app … che ragiona: certo, la molla fa male, ma son sicuro che si limeranno via via anche questi difetti! Come no, non c’è dubbio, aggiungo. Presto non si avranno i soldi neanche per pagarsi una balla riempita di trucioli, però la speranza è l’ultima a morire. La comodità è il marker indefettibile della rivoluzione che non rivoluziona niente. A che pro uscire in strada con altri congiurati per far saltare teste oppure, a rischio della propria vita o di una condanna all’ergastolo, approntare attentati dinamitardi nel centro delle città quando la rivoluzione può farsi da casa? Comodamente stravaccati sull’anzidetto divano? Basta qualche improperio, dei giuochi verbali ben azzeccati e un tifo acceso per il paracleto di turno. Stavolta era Trump. Perfetto: viene giù tutto! I primi giorni il rivoluzionario geocomico gode per qualche sparata da gangster (licenzio tutti! metto in galera tutti! desecreto tutto!), poi comincia ad annusare la fregatura e a trovarsi un altro salvatore perché le pezze al culo non gliele rammenda nessuno, figuriamoci se gli ricomprano un paio di pantaloni nuovi. La guerra è finita! Scacco matto! Che sia finita (devastata, martirizzata, spianata, vampirizzata) una delle poche terre alternative al crogiolo usurario e polcorretto, ovvero l’Ucraina, non sfiora la mente del geocomico che ripudia Aristotele e si ciba di scemenze da Risiko. Per lui l’Ucraina è Zelensky grazie all’ingannevole sineddoche di cui si servono i consueti truffatori: e allora, anziché disperarsi per la sparizione d’un luogo di spiritualità e fede, comincia a tifare per le armate rosse: manda il missile, spiana Kiev, ammazzali tutti! Mica ragiona il coglione da tifo geocomico, vuole pastellare ogni cosa con le testate nucleari, tutto, i neonati, l’oro degli Sciti e le catacombe ortodosse. Non vede l’inganno, l’ennesimo, tesogli da chi vuole la Monarchia Universale, e l’avrà, presto, quando Putin Trump e Biden saranno già cibo per vermi. Non gli basta l’evidenza, al micco. La Siria (Damasco!) è andata in una notte, venduta proprio dai russi. Gaza non esiste più. L’Iran (la Persia!) è un mobile marcio in attesa dello sfarinamento; anche Israele non esiste più. Di questo dovrebbero dolersi tutti, dell’annientamento di terre che hanno rappresentanto l’oriente magnetico della cultura europea degli ultimi tre millenni ove coesistono felici le tauromachie cretesi, l’Imitatio Alexandri, Il vangelo secondo Marco e Firdusi. E però il Pancho Villa digitale, la cartucciera a tracolla gonfia di mortaretti, ancora si sazia di vacui concetti: nazismo, democrazia, libertà, socialfascismo, liberalsocialismo, voto, non voto … il tifo è così, quando il proprio beniamino è in difficoltà i nazisti diventano partigiani, i resistenti terroristi, i terroristi liberali: e viceversa, naturalmente! E intanto il programma avanza indisturbato. Ci si informa, ci si ingozza di x.com, noterelle, pettegolezzi, pie’ di pagina, spifferi, tralasciando le pietre miliari, le uniche che possano dar conto dei cambiamenti. Si vuole affossare il nemico, a qualsiasi costo, a costo delle bollette a tre zeri, mentre il nemico del mio nemico diviene amico (probabilmente è lui a spedire le fatture) e ci si scalda con qualche freddura sul nemico digitale temporaneamente in imbarazzo …
Le pietre miliari, tuttavia, i poli magnetici della nostra storia, segnano il cattivo tempo, sempre più cattivo; e glaciazioni di massa. La bellezza si polverizza di giorno in giorno e i bambini, come sempre, sono da bruciare. I luoghi di Roma, da San Giovanni a piazza Pia, un tempo magnifici, vengono spianati, decolorizzati, annientati da una furia architettonica iconoclasta in cui il minimalismo inetto si sposa all’infima qualità dei materiali e allo sfregio. Le agorà classiche e cristiane sono irriconoscibili. Spianate anonime e bianchicce afflitte da scoli che s’impaludano alla prima pioggia, aiuole stitiche, incomprensibili trincee a delimitare il nulla e capaci solo di riempirsi d’immondizia. Scivolose in inverno, impraticabili in estate ché il sole le batte senza scampo o rifugio che non sia la tendina stinta di un bar pulcioso. Davanti a porta Angelica, ove principiava la Triumphalis, hanno piazzato i contenitori dei bagni chimici; in un mese bivaccatori, scippatori negri e turisti da dieci euro al quintale hanno ridotto il crocevia a un cumulo di kipple merdoso. Intanto, nell’anno del Giubileo, alcune catacombe del III secolo vengono chiuse, invase dalle infiltrazioni e stritolate dai pali di fondazione, mentre il Capo in Testa non si decide a raggiungere il Principale; il suo, ovviamente.
The babes are for burning, come potrebbe essere altrimenti? Tale il titolo di un libercolo che ho rinvenuto sulle bancarelle dell’usato, ancora intoccato dalla censura; un’indagine sull’aborto in Inghilterra dopo il 1967 (Abortion Act) e sull’industria dei baby snatchers che, almeno nel 1974, aveva parecchio da fare, freneticamente, dalla mattina a tarda notte.
Liberarsi davvero, soprattutto da ciò di cui si è convinti, è decisivo per metter piede, cautamente, nel pronao della Verità. Sì, ho impiegato anni e anni solo per questo, per arrivare a lambire con le labbra la fonte più limpida. Era davanti a me e non la vedevo. Alla fine, deposta ogni opinione, mi son finalmente arreso. Alla fine posso almeno crepare da libero. Non m’interessa più nessuno strepito, quel che vale si concede dolcemente a chi si arrende all’evidenza, anzi all’Unica Evidenza. È proprio come la leggenda del Simurgh, da me più volte citata, per intercessione di Borges: “Il lontano re degli Uccelli, il Simurg, lascia cadere in mezzo alla Cina una splendida piuma; gli uccelli, stanchi del loro stato di anarchia, decidono di cercarlo. Sanno che il nome del re vuol dire ‘trenta uccelli’; sanno che il suo castello è nel Kaf, la montagna o cordigliera circolare che cinge la terra. All’inizio, alcuni si scoraggiano: l’usignolo adduce il suo amore per la rosa; il pappagallo, la bellezza che è la ragione per cui vive in gabbia; la pernice non può fare a meno delle colline, né l’airone delle paludi, né il gufo delle rovine. Alla fine, però, partono per la disperata avventura. Superano sette valli o sette mari; il nome del penultimo è Vertigine, l’ultimo si chiama Annichilimento. Molti pellegrini disertano; altri muoiono nella traversata. Trenta, purificati dalle loro fatiche, raggiungono la montagna del Simurg. Finalmente lo contemplano: si accorgono che sono loro il Simurg e che il Simurg è ciascuno di loro e tutti loro”.
Voi direte: se la citavi vent’anni fa cos’è cambiato ora? Questo: prima la conoscevo, ora la vivo.
Anche la morte è tale. Prima la conoscevo, ora la vivo. Lo ammetto: non ho il fegato di ammazzarmi, altrimenti l’avrei già fatto. Però ora so. In ogni momento della vita, anche il più infinitesimo, Lei è lì, sulla spalla. Me la rido di tutto, quindi. È la sorella Morte, benigna, amica della Vita sacra, risanatrice. Sapere di dover morire è altra cosa. Tutti sanno di dover morire. Si tratta d’un sentimento fedifrago, che si acuisce per breve tempo a contatto con la malattia e il dolore del prossimo, abile a ben presto smarrirsi. Ma la vera Sorella non ti abbandona mai. E giudica il mondo sub specie aeternitatis.
Uno dei tratti meno rilevati, seppur assolutamente rilevanti, della nostra epoca ignobile è quello della merda. Sì, la merda piace. Se ne ingoiano a cucchiaiate tutti i giorni con la massima naturalezza. Alcuni godono nell’impiastricciarsi labbra e muso, altri ne assaporano un dolcissimo retrogusto al cioccolatto, talaltri ne deprecano la poca quantità fornita: ne vorrebbero di più. Eppure i buglioli mediatici ne son ricolmi tanto da esondare: le prelibatezze, però, non bastano mai ai buongustai postmoderni. Laddove mi volti vedo trangugiare, masticare, roteare pupille, urlare di piacere, grufolare voraci, ruminare in attonita compostezza, ma con buon animo; chi si sottrae alla sua razione quotidiana? La materia fecale cola dai visori, ininterrotta, dalle superstiti riviste o brogliacci, da ogni pertugio web; i più sbraitanti son quelli che ne son maggiormente impastricciati; di soliti si affrontano in duelli breccolosi rinfacciandosi non si sa cosa visto che entrambe le parte sono schizzate di logica diarroica. La merda è Ubik e Ubik è il Kipple: essa è ovunque e coincide con lo sfascio totale della logica umana. Ogni ragionamento, pur innocente, è viziato in partenza. Si utilizzano sensazioni, umori, associazioni di idee: il kipple dell’antica e stringente metafisica costituito da spezzoni inintellegibili, come il fasciame d’un antica nave ammiraglia che più non ci guida; e tale disastro è utilizzato da chiunque, ubiquamente, per sostenere il dritto e il rovescio, il recto e il verso, il destro e il mancino. Sottrarsi a tale apocalisse carnevalesca è impossibile, a meno di suicidarsi. Si possono imbottire le pareti, chiudersi a dieci mandate, sigillare prese e modem, ma, prima o poi, il kipple del 2 + 2 = 5 riesce a filtrare. Nessuno è un’isola anche perché l’approdo a un’isola ci è precluso. Anche gli ultimi Italiani, oggi (ne restano poche decine di migliaia), si rendono conto della giustezza di certe diagnosi sull’America post Sessanta in cui la convivenza civile era descritta come intollerabile. Le fughe prospettate, però, si rivelarono fallaci come quelle del prigioniero nel famigerato telefilm. L’onnipotenza tecnica o sussume ognuno entro sé stessa oppure emargina; l’onnipotenza tecnica mondiale, spente le ultime civiltà, ci condurrà alla schiavitù omogenea e irreversibile. Per questo si è resa necessaria una propaganda capillare che, pare, funzioni egregiamente. Più nexus si formano più questi si sentono liberi. Il piattino di merda gli sembra gustosissimo; e si va avanti così, fra una sciocchezza e l’altra. Il nexus, peraltro, è assai permaloso: guai a ricordargli che è tale. O ti liquida sarcastico o inizia a sbraitare: lui, infatti, si reputa intelligente. Purtroppo ciò che avverte quale intelligenza non è che un cumulo di frasi fatte, di premesse appiccicate a caso da cui trae sillogismi ridicoli e inconcludenti, di vane ideologie insufflategli nel cranio già da infante. Le scuole elementari sono incubi, sorta di riformatori per la domesticazione, ben oltre il pessimismo di Huxley. Scarpette rosse, scemenze da Mandela day, mani tese, incontro di culture, diversity: l’importante è abiurare storia e italiano. Un decenne non sa scrivere in corsivo, e nemmeno in stampatello. Diciamola tutta: non sa scrivere. L’anarchia delle grafie riflette lo sfascio concettuale, la sciatteria, il transeat dell’ex 18 politico esteso a ogni ordine e grado. Le mense paiono un reparto lungodegenti: uno è intollerante al lattosio, l’altro celiaco, una sviene alla presenza di un uovo, l’altra aborre i formaggini per farli occorre strizzare le tette alle mucche ed è violenza, Ahmed non può sfiorare il maiale. Qui si addestrano le nuove leve della vita concepita come lockdown, le mandrie da cubicolo; non vi sarà bisogno di convertire nessuno, verranno tutti spontaneamente al Tempio del Popolo di Jonestown. Il biennio 2020-2022 fu una verifica, andata oltre le più rosee previsioni. La maggioranza ha goduto del lockdown, c’è poco da fare. Essa lo rimpiange perché, confessiamolo, chi è che vuole lavorare, studiare, ritrovarsi assieme, combattere, amare, sfidarsi? Pochi. I più si accontentano dei simulacri di tali sentimenti e passioni, lo smartworking, la smagrita tesina triennale online (i compiti in classe di prima media erano più esuberanti e ricchi), la socialità social, l’antipolitica digitale, la pornografia, i giochetti multiplayer, il tifo da poltrona. Si trascinano per strada come gottosi, entrano a comprarsi junk food per poi barricarsi negli stambugi condominiali fino al mattino seguente; ah, che bello sarebbe dormire mille anni, non alzarsi mai più, rimestare i pensieri nel letto, o, peccato!, alzarsi alle dieci, alle undici, a mezzogiorno, poi sbrigare, con tutta calma, qualche lavoricchio in smart, rilassarsi, uno spuntino, un caffeuccio, poi la serie televisiva ambita, quindi il nepente del sonno indotto, con le briciole degli snack sul pigiama. Questo paradiso, tale bengodi – ragiona il non morto – ce lo daranno mai? Ma sì, basta aspettare! Ah, l’ominicchio del futuro! Quindici, venti ore di letargo al giorno, questo vuole!
Dormire, dimenticare. Ma cosa? La verità su ciò che si è, su ciò che si è perduto. Quando essa filtra, occultamente, l’individuo sviluppa una mestizia fatale. Per questo il Sistema sta apparecchiando con alacrità il suicidio su vasta scala che, unito all’aborto di massa, sta letteralmente polverizzando le ultime propaggini del pensiero, della scienza e della conoscenza. Sono depresso, sono depressa, essi dicono. Ma non è così. Sei un cretino o una cretina 2.0 le cui scelte, inevitabilmente sbagliate poiché fondate su false premesse, conducono all’autoannientamento. E i presunti farmaci – psicologia stracciona, femminismo idiota, new age, spiritualismo da spiritisti, perversioni orgiastiche, esaltazioni dell’orrido – non sono che aggravamenti. Tale cupidigia del nulla sta sostituendo all’istinto primordiale di sopravvivenza un anelito suicidiario che si propaga come un tumore mortifero e inoperabile. L’essere umano non sopporta più sé stesso allo specchio; benché, coscientemente, ripeta le inversioni lessicali del potere: libertà, uguaglianza, fratellanza, futuro, amore, egli, nel segreto del cuore, sa per certo che ciò è menzogna, schiavitù, iniquità, solitudine, eterno presente, odio viscerale per l’altro. Ma chi ha il coraggio e la forza per affermare questo? Ognuno, prima o poi, conoscerà il volto sfigurato di Dorian Gray, la verità a presentargli il conto, così, all’improvviso, come un balenio inaspettato: e allora cosa resterà se non scegliere la fine?
Ci sono mille modi di suicidarsi, amici! Bei tempi quelli del colpo in testa con la rivoltella dall’impugnatura d’avorio! Con una breve e ordinata nota d’addio! Nel 2025 si ragiona altrimenti; la plebaglia anonima degli otto miliardi preferisce annullarsi nei luna park delle multinazionali, dallo sport alla gozzoviglia, dallo shopping insulso al divertimento lubrico. Destri o sinistri, li vedi ingozzarsi di questa merda, giorno dopo giorno, per anni, decenni, sino a ingobbirsi. E ne vogliono ancora! Gadget da pochi soldi, pillole, pornografia, videogame, divulgazione da deficienti; mai un ansimo di ribellione, credono di stare nel Paese dei Balocchi, loro e quegli sgorbi di figli che recano al pascolo assieme a Smerdolone, il rognoso cane di famiglia. Si accapigliano per i salsicciotti di gomma dei mobilifici nichilisti, sgomitano per il gelato a 90 centesimi, si accalcano per gli spettacoli più idioti, s’inabissano per le Malabolge del tifo politico o sportivo, l’istinto per la vita oramai represso, oserei dire l’istinto primario che porta a cercare l’ossigeno quando si affoga. Ma a questi piace il naufragio, sono essi stessi il naufragio, avvitati in una spirale di odio per sé e le proprie radici, di malcelato disgusto per tutto ciò che prima esprimeva il naturale, il bello, il composto. Aspettano la morte fisica con la trippa piena di merda, già defunti alla vita.
Il ceto medio si impoverisce! Il ceto medio non riesce a permettersi l’auto elettrica! Il ceto medio è chiuso al proprio piano perché l’ascensore sociale s’è bloccato! In effetti il cetaceo medio boccheggia sempre più, a corto d’acqua e spazio, nella tonnara implacabile dell’usura e del politicamente corretto: non gli resta che la fiocina liberatoria. È proprio così? Certo, egli agisce in difesa e retroguardia. La sua sparizione, tuttavia, sembra da imputarsi a ragioni interne e alla ricerca di una delirante fatuità. Quando ti consegni mani e piedi al nemico c’è poco da lamentarsi. Quando un’organizzazione sociale crolla significa ch’è già ben frollata al proprio interno; l’aristocrazia milanese di Giuseppe Parini non discute di guerre, confini, tenute e matrimoni di convenienza, e neanche di esigenze spirituali, ma solo di sciocchezze: uno è vegetariano, l’altro animalista o crapulone, la giovin dama sviene perché un servo ha scalciato una cagnetta, il giovin signore perde le notti al gioco dopo aver letto Voltaire e i libertini francesi. Di fatto la nobiltà milanese era già marcia e aspettava con ansia il Terrore e con pari voluttà la ghigliottina. L’inversione è sempre il segno della decadenza a cominciare dall’inversione primaria giorno-notte. Il sedicente ceto medio vuole infilare la testa sotto la lama, checché se ne dica, anzi è esso stesso ad averla affilata rinunciando alla propria identità e correndo dietro alle stupidaggini più vacue e viete, dalle vacanze perpetue alle istanze libertarie, dal laicismo crasso al désengagement. La scomparsa della borghesia, in Italia, inizia con la propria nascita. Essa servì a cooptare il popolo con l’allettamento della vita facile, quindi a snaturarlo; una volta catturata la maggioranza sin alla quasi totalità, si provvide alla sua liquidazione. Tutta la controcultura dei Sessanta, umida di anti-italianità, di ridicole e arroganti fantasticherie sulla liberazione dell’uomo dal servaggio della tradizione, cominciò a smontare pezzo a pezzo questa nuova e flebile identità. Si arrivò, così, all’Italiano depauperato di sé stesso, piccolo, inerme, senza passato, privo persino di un posto nella società. L’ex borghese che incontriamo ogni giorno, in scarpe da ginnastica, curvo, mezzo tisico, ottuso, ma col dottorato, solitario e interconnesso, intossicato da droghe social e fanfaluche liberali, felice di svendere la casa dei genitori per un cubicolo nuovo di zecca in qualche puzzolente slum delle città di confusione, avido di insalatine scipite e pagnottelle da colesterolosi, è ciò che residua del boom che non fu economico, ma alchemico; un’opera al nero in cui la decomposizione preludeva alla pietra filosofale del nulla. Da italiano a borghese, da borghese a omiciattolo. Ora è in piena liquefazione, senza appigli o redenzioni.
I controinformatori li portano al pascolo (trattato con diserbanti micidiali) come mucche rintronate. Personalmente ho sempre detestato il filmucolo V per vendetta (V for vendetta, 2005). Eppure la mascherina ispirata dal filmucolo campeggia inesorabile presso siti anarchici o eventi genericamente alternativi (si son visti pure a supporto del sindaco di Istanbul): a significare chissà quale messaggio di dissenso quando, invece, è l’approvazione e il consenso da mucca quello che reca. Si tratta della rivalutazione della figura di Guy Fawkes, cattolico, che voleva far saltare in aria il Parlamento inglese durante il regno di Giacomo I (la famigerata “Congiura delle polveri”). La subcultura fumettistica se ne era già impadronita a fine anni Ottanta e gli sterilizzatori di Hollywood, sempre attenti ai residui di vitalità pseudo artistica, non si son lasciati sfuggire il boccone. La sceneggiatura è dei trans Wachowski (già fratelli come Larry e Andy e ora sorelle come Lana e Lilly), la protagonista l’israeliana Natalie Portman (l’altro non conta: è un’idea più che un attore); la trama dal canto suo inverte la realtà, come al solito. Contro chi combatte questo anarchico che tremar l’Occidente fa? Una viscida dittatura nazifascista guidata da un Cancelliere omofobo, razzista e teocratico che si serve di scherani sanguinari quanto ipocriti per mantenere lo status quo (i bigotti sono stupratori seriali, il vescovo di Londra un pedofilo). In altre parole questo paladino della libertà (perché è sempre di libertà che si ciancia per imbonire il cretino 2.0) non è che l’ipostasi del Nuovo Ordine Mondiale (lo chiamo così per brevità icastica) scambiata dai micchi per rivoluzione: da fumetto, però. D’altra parte i liberalisti o i liberali o i libertari o i cantori della libertà 2.0 sono l’esercito (di militi indistinguibili) che sempre protegge i peggiori. Attori pornografici, pretonzoli, estremisti di destra, centristi sociali, magnati della finanzi, tycoon delle big tech, vaccinisti e irenisti guerrafondai, santi e diabolisti, politicanti di vecchio e nuovo corso, un po’ di qua e un po’ di là, a onta di differenze sociali, antropologiche e religiose, costituiscono la melma totalitaria che si rapprende in un unico odio: quello contro l’Antico Ordine che il citrullo con la mascherina di Guy Fa(w)kes combatte inesorabile fra le grida di giubilo del miccame da poltrona.
Focherelli appena accesi: “Spesso nell’arte la bellezza si intreccia con la rappresentazione della violenza, in particolare quella contro le donne. Un’opera, esteticamente bella, può contenere anche un messaggio di violenza, suscitando un conflitto interiore tra apprezzamento e repulsione. È possibile apprezzare il valore artistico di un’opera e ignorarne un suo contenuto violento?”. Nel convegno Donne nella storia dell’arte: La violenza e l’idea del Bello, ci si interroga profondamente: possiamo apprezzare Gian Lorenzo Bernini e il suo Ratto di Proserpina anche se rappresenta un atto di violenza di genere? Insomma, par di capire: siamo ancora in grado di affermare che lo scultore forgiava il bello nonostante Plutone qui si comporti da stupratore seriale? Siamo agli inizi. Presto si scoprirà che no, questo non è accettabile. Questi sono barbecue da picnic; presto tenteranno di appiccare i primi incendi.
Gli Italiani non sanno cosa sia l’Italia. Nemmeno lo sospettano. Gli han fatto la cura Ludovico Van inchiodandogli in testa l’idea d’essere sempre gli ultimi della classe. I fanalini di coda, in tutto. E quando glielo ricordano attraverso le statistiche truccate, loro si condolgono: è vero, siamo i peggiori! Hanno i più fulgidi tesori nei sotterranei eppure li vedi elemosinare per strada come gli straccioni; compiacciono i padroni cicalando con ridicoli anglismi, si prendono pure le ramanzine dai finlandesi, i più pezzenti di tutti, invece di mandarli al diavolo con tutte le renne. L’Italia ha filtrato il mondo trasformandolo in perle, ma vuole imparare l’inglese.
A fine Quattrocento, pressata dagli Ottomani, una famiglia nobile albanese che combatté a fianco Giorgio Castriota Scanderbeg viene accolta in Italia, presso la corte di Urbino. In due secoli essa esprimerà un pontefice e alcuni cardinali sopraffatti dall’amore per l’antico. Le loro mirabili collezioni saranno la culla del Neoclassicismo; Johann Joachim Winckelmann sboccerà fra questi reperti, recuperando idealmente, al tempo stesso, le rovine di Ercolano e Pompei, Raffaello e Zeusi. Canova, Rusconi, Maini, Mengs, fra gli altri, testimonieranno l’ultimo baluardo prima della resa alle vignette borghesi dell’Impressionismo, prima, e al dilagare dell’aniconico, poi.
L’analfabetismo ha preservato per molti secoli gli Italiani dal disprezzo verso sé stessi. Un contadino o un semplice lavoratore o una massaia potevano ancora recare reverenza ai monumenti del passato e, ingenuamente quanto istintivamente, riconoscere la bellezza serbata e trasmessa dalle opere di un’aristocrazia del gusto. Immessi nei gironi infernali della scuola massonica, i loro figli e nipoti hanno gradatamente abiurato a quel giusto ossequio mentre i custodi venivano falciati via uno a uno. Ora non solo si fa a meno del passato, ma ci si inorgoglisce nel dileggiarlo. La bellezza alluvionale d’Italia, dilagante nei borghi più remoti, si è prosciugata in alcune tinozze metropolitane chiamate musei o aree archeologiche: a cantarne le lodi dei quali fu da tempo delegata in esclusiva la famiglia Angela che vanta un fedele codazzo di mezzi cotti (half cooked). Gli altri, il popolicchio, si spende, invece, in viaggetti. Ignora tutto della propria terra o città, ma brama l’esotismo turistico spagnolo o il romanticume posticcio di Parigi o la mal’aria frizzantina del letamaio londinese. Una o due settimane all’anno le deve spendere lì, o magari in Grecia, sulle isole, a cuocersi le ovaie sulle battigie di Corfù, perché in Italia il mare, purtroppo, non c’è.
I soldi sono per i servi. A loro si gettano con disprezzo i trenta denari. La chiave, invece, è sempre spirituale. Perché, tanto per fare un esempio, una piattaforma come Netflix spende miliardi per realizzare in serie le più bieche operazioni PolCor? Ci guadagna? Ne dubito. Si tratta, invece, di occupazione dell’immaginario, di domesticazione. Certo, i soldi girano. Ma il profitto passa in secondo piano. Le perdite sono irrilevanti poiché il guadagno cui si mira è altro. Questa feccia sta avvelenando ogni pozzo: la cinematografia turca, mesopotamica; persino quella estremo-orientale, da Hong Kong a Taiwan alla Corea del Sud. Si tratta di operazioni psicologiche. L’ultima è il coreano Tre rivelazioni (Gyesirok, 2025), di un tal Yeon Sang-ho. Non voglio farla lunga: il protagonista, un pastore (protestante) coreano fatto cornuto dalla moglie, uccide uno stupratore e pedofilo perché crede che gli abbia rapito il figlio. Il realtà il bimbetto è vivo e lui s’è sbagliato. Anche il pedofilo è vivo e il pastore, che aspira a una carica di prestigio liberatasi perché il candidato della diocesi si è scopato una fedele, lo bracca per ammazzarlo definitivamente perché crede che glielo indichi Dio (pareidolia, sentenzia lo psichiatra). L’investigatrice, che ha sulla coscienza il suicidio della sorella violentata dallo stupratore anzidetto, bracca il religioso. Morale della storia: il pastore visionario con le corna finisce in galera, l’investigatrice ritrova la pace perdonando il pedofilo perché – sentenzia lo psichiatra, sempre lui – da piccolo gli han fatto la bua psicologica e allora, a ben guardare, occorre contestualizzare, che diamine … lo spettatore, intanto, con le briciole sul pigiamone di flanella, rimugina: certo, stupratore e pedofilo, però, in fondo, una vittima, invece il prete … ah, i preti … se non ci fosse stato il Vaticano saremmo una nazione già da tempo, come la Francia, la Gran Bretagna, l’America, la Finlandia …
Per disintossicarmi da questi andirivieni torbidi, di solito mi tocca guardare una puntata di Kojak o di Walker Texas Ranger: la chiarità dei dialoghi e delle complessioni psicologiche mi rasserena. Mai oserei disturbare, per la purificazione, un’opera più alta: il contravveleno serve solo a rigettare. Da qualche tempo mi sono messo a leggere pure i fotoromanzi degli anni Settanta, quelli in bianco e nero, col fumetto sopra i protagonisti: Franco Gasparri, dalla capigliatura corvina e irrefutabile, è apodittico: “L’ho amata dal primo giorno che l’ho incontrata, lei è il mio più grande amore, l’unico”; e l’interlocutore a concedere: “Se è così, devi confessarle tutto”. Perfetto. E poi: “Tu devi vivere per me, ci sposeremo appena vuoi”, e lei, un’Ornella Muti dallo sguardo enigmatico e sfuggente come una koré greca: “Sì, Andrea”. Non mancano sdilinquimenti da liceali: “Devo vederti subito!”. “Domani, Massimo, domani!” “Mi sembreranno cento anni!”. E così via.
Rivendico a Lucky, Darling e Sogno la virtù, dapprima imperscrutabile, di risanare l’animo mercé il farmaco più potente: l’ovvietà. Come non dare ragione ancora una volta, come sempre, a Gomez Davila: “Chi non teme che il più banale dei suoi momenti presenti diventi in futuro un paradiso perduto?”.
Di Alceste
24.03.2025
Fonte: https://alcesteilblog.blogspot.com/2025/03/geocomica.html