di Marco Sommariva
Mentre non è ancora morto
il Poteve Opevaio,
schiere di sfruttati
continuano a prendere il bus al volo
Per la regia di Luciano Salce, il 27 marzo 1975 usciva nei cinema Fantozzi, e il giorno del cinquantesimo anniversario – giovedì 27 marzo 2025 – tornerà nelle sale questo primo leggendario capitolo della saga del Ragionier Ugo; a festeggiare lo storico personaggio inventato da Paolo Villaggio, sarà una versione del film rimessa a nuovo dal laboratorio di restauro cinematografico L’Immagine Ritrovata, con la supervisione di Daniele Ciprì per il processo di color correction.
Fantozzi nasce nelle storie che Villaggio scrive per “L’Europeo”, un settimanale d’attualità edito da Rizzoli pubblicato sino al 2013; diventerà un libro nel 1971, quando lo stesso editore del settimanale gli proporrà di raccogliere queste storie in volume.
Nella premessa del libro datata luglio 1971, l’attore genovese scrive: “Con Fantozzi ho cercato di raccontare l’avventura di chi vive in quella sezione della vita attraverso la quale tutti (tranne i figli dei potentissimi) passano o sono passati: il momento in cui si è sotto padrone. Molti ne vengono fuori con onore, molti ci sono passati a vent’anni, altri a trenta, molti ci rimangono per sempre e sono la maggior parte. Fantozzi è uno di questi. Nel suo mondo il padrone non è più una persona fisica, ma un’astrazione kafkiana, è la società, il mondo. E di questa struttura lui ha paura sempre e comunque perché sa che è una struttura-società che non ha bisogno di lui e che non lo difenderà mai abbastanza. Questo per lo meno qui da noi. Ma questo rischia di diventare un discorso politico troppo serio per uno «scherzo» quale deve essere tutta questa faccenda del «libro» e mi fermo qui”.
Era ed è sì un discorso politico: lo era allora, quando sul viso di Fantozzi ritrovavamo tutte le sconfitte dell’impiegato medio italiano, non una caricatura, ma una discarica pubblica dove ci si alleggeriva tutti, in cui si evacuavano le risate amare che le nostre facce da culo producevano guardando le genuflessioni del Ragionier Ugo davanti allo stesso Megadirettore Galattico che ci aspettava l’indomani in ufficio, al quale rispondevamo “faccio subito” intanto che speravamo che qualcuno gli sparasse nelle gambe; lo è al giorno d’oggi, mentre una struttura-società che non ha bisogno di noi e non ci difenderà mai abbastanza, ci sta sfruttando con quella viscida delicatezza che cinquant’anni fa ancora non esisteva, che prevede di non prenderci a manganellate perché, con gli anni, è stata capace di convincerci che dobbiamo essere noi a manganellare i nostri pari che non seguono le direttive dei potenti – non a caso, nella stessa premessa l’autore ci consiglia coi potenti “di essere vischiosi, servili e sempre d’accordo anche su posizioni «fasciste»”, un po’ come certi conduttori televisivi che da decenni non riusciamo a scollarceli di dosso, regnanti indiscussi di squallidi studi televisivi consacrati alle celebrazioni del regime.
Sul manganellare i nostri pari, Villaggio aveva capito che era un processo già iniziato: “[…] la pesantissima boccia di metallo di 42 chili centrò in piena nuca il suo direttore, che aveva accostato alle labbra in quel momento un bicchiere di vino ristoratore. Fantozzi non si fermò neppure a chiedere scusa ma si diede alla macchia sulle montagne. Cominciò allora una delle più feroci cacce all’uomo degli ultimi centovent’anni. Parteciparono alla ricerca cani-poliziotto e feroci molossi napoletani, mescolati ai quali c’erano moltissimi impiegati ruffiani che si erano offerti come cani da riporto per segnalarsi presso la direzione sperando in un aumento. Dopo tre giorni e tre notti di drammatica caccia tra gli acquitrini, Fantozzi fu circondato da un gruppo di colleghi abbaianti, tenuti al guinzaglio da alcuni feroci dirigenti”.
A differenza dei tanti comici che proliferano nei numerosi spettacoli d’oggi creati apposta per far ridere il pubblico e che sempre più raramente raggiungono l’obiettivo, Villaggio non ci parla di una zona dell’Italia – siciliani o calabresi “contro” milanesi, nordisti “contro” sudisti, apologie del romanesco, napoletano, toscano, eccetera – non ci parla di uomini “contro” donne e viceversa – i primi che sporcano di pipì la seduta del water, le seconde che sono intrattabili in “quei giorni” – no, Villaggio non ha alcuna intenzione di anestetizzarci con queste fesserie che fingiamo di credere esistere ancora ridendo fintamente a crepapelle perché intorno a noi altri fanno la stessa cosa, no, Villaggio ci parla dell’autobus preso al volo perché cinquant’anni fa si provava a dormire sino all’ultimo minuto dopo giornate snervanti già allora per la mancanza di senso, che mi ricordano molto da vicino la vita che fanno certe dipendenti della cooperativa che ha in appalto la pulizia degli uffici dove lavoro che, stremate dalla giornata lavorativa precedente, alle cinque del mattino prendono al volo il primo di tre autobus che, dopo un’ora e mezza di viaggio, le porterà a svuotarmi nuovamente il cestino chiedendomi scusa per il disturbo, e il tutto per un pugno di euro all’ora, lo stesso che a volte mi capita di dare in elemosina a Yassir, il ragazzo bengalese che mi riporta a posto il carrello vuoto, dopo che ho riempito l’auto coi sacchetti della spesa, situazione che a volte mi fa sentire come il Megadirettore Galattico Duca Conte Maria Rita Vittorio Balabam, il Direttore Marchese Conte Piermatteo Barambani o un altro qualsiasi feroce padrone o amministratore delegato: è un attimo saltare dall’altra parte della barricata senza neppure accorgersene.
Se è vero che 1984 di Orwell fu un romanzo premonitore, vedete se vi dice qualcosa dei nostri giorni questo estratto del libro Fantozzi: “Cominciò […] una discussione tra giovani sulla contestazione studentesca e l’intervento americano in Vietnam. Fantozzi credeva di essere nel covo della reazione: ma con suo grande stupore s’accorse che più quei gran signori erano bardati con orologi Cartier e brillanti (con uno solo dei quali lui avrebbe vissuto senza patemi il resto dei suoi giorni) più erano su posizioni maoiste. La maggior parte, giudicò Fantozzi, era a sinistra del partito comunista cinese. […] L’indomani mattina lui “timbrava” alle 8: pensando a quei giovani sovversivi che si sarebbero svegliati a mezzogiorno, gli si confondevano le idee”.
Questo è Fantozzi; Villaggio, invece, nella biografia in quarta di copertina della seconda edizione del libro, datata 1981, si definisce “figlio di padre ricchissimo” e per questo “a sinistra del partito comunista cinese”, non solo, sostiene che “a Roma ha fondato con un gruppo di nobili una frangia politica di estrema sinistra molto “in” che si chiama «POTEVE OPEVAIO»”.
Il libro Fantozzi era anche confortante; alla rabbia di mio padre che bestemmiava nel leggere dell’ennesima apparizione mariana a una contadina quattordicenne, piuttosto che a dei bambini impegnati a sorvegliare un gregge o a una bambina belga, il concittadino e quasi coetaneo Paolo Villaggio rispondeva così: “Un giorno c’era un tale caldo che a Fantozzi alle undici del mattino, mentre era in cucina che faceva correre un po’ d’acqua per bere, comparve improvvisamente la Madonna. Era in piedi sull’acquaio e gli sorrideva, poi scomparve. “Sarà questo maledetto caldo” si disse: e decise di raggiungere la moglie in campagna. Mentre si preparava per il viaggio si domandava perché mai la Madonna per il passato si sia limitata a comparire a pastorelli semianalfabeti e in zone montuose, e mai per esempio a Von Braun, al Centro Spaziale di Houston durante una riunione della NASA. Non ricordava infatti di aver mai letto sui giornali notizie di questo tipo: “Ieri alle 16,30 la Santa Vergine è comparsa improvvisamente dietro la lavagna di un’aula gremita di studenti della scuola di ingegneria di Pisa, durante la lezione di “meccanica applicata alle macchine”. Il docente professor Mannaroni-Turri, noto ateo, è svenuto di fronte a duecento studenti”.
Il libro Fantozzi è ancora confortante; alla mia rabbia condita di bestemmie che fa seguito all’ascolto di boiate pazzesche tipo quella espressa da due signore bionde col fisico scolpito che, d’estate, alla spiaggia, lamentano il “sold out” – a giugno! – nelle “location” più “in” di New York che le costringerà a trascorrere il Capodanno da un’altra parte, mentre una donna africana larga quanto le due messe assieme passa loro accanto stracarica di mercanzia che nessuno vuole, le pagine del libro mi consolano così: “A un’ora da Roma, Fantozzi andò in corridoio a fumare. C’erano due bambini molto belli biondi, figli di ricchi: tutti i figli dei ricchi sono biondi e uguali, i figli dei braccianti calabresi sono scuri, disuguali e sembrano scimmie. Erano dei bambini molto educati e non facevano rumore. Una baby-sitter americana bionda li custodiva. Uscirono dallo scompartimento le madri. Erano molto giovani, molto belle, molto ricche, molto profumate, molto eleganti e molto abbronzate: venivano da due mesi sulla neve a Gstaad in Svizzera e parlavano della gente che c’era lassù. Fantozzi le guardava con la bocca semiaperta. Le due donne cominciarono a parlare delle loro prossime vacanze al mare ed erano un po’ in pensiero perché non sapevano più dove andare: dovunque ormai andassero, dalla Corsica alle isole Vergini, trovavano della gente orribile. Fantozzi si commosse quasi per il dramma di quelle poverette. Il treno entrò alla stazione Termini. Sulla banchina c’era una tragica lunga fila di terremotati siciliani del Belice. Erano seduti sulle loro valigie di cartone […] e guardavano muti il vuoto. Una delle due signore disse: “E’ stato un anno davvero disgraziato!”. “Meno male” pensò Fantozzi “che si occupano di questi poveracci!”. “Perché?” domandò l’amica. E l’altra: “Perché non abbiamo mai avuto a Gstaad una neve così poco farinosa!”
Perché mi consolano queste pagine? Perché avere testimonianza scritta che figure così mostruosamente stronze già esistevano più di mezzo secolo fa e che, quindi, certi orrori non sono solo frutto degli sfaceli della mia generazione, solleva un poco il morale: lo so, non sono messo bene.
Perché la mia generazione, e pure quella dopo, di errori ne ha fatti veramente tanti, nonostante gli ammonimenti ricevuti da cinema e letteratura; avvertimenti che, ancor oggi, continuano a esser lanciati vista la produzione di Scissione, una serie televisiva statunitense del 2022 dove gli impiegati di una ditta non conoscono altro al di fuori delle attività svolte all’interno dell’azienda, sono solo schiavi asserviti al raggiungimento di uno scopo il cui significato è loro precluso. Allo sceneggiatore televisivo e produttore statunitense Dan Erickson, l’idea gli è stata ispirata da certe sue deprimenti esperienze lavorative giovanili maturate in ambito impiegatizio, un po’ come Paolo Villaggio quando, da giovane, lavorava all’Italsider di Genova come impiegato e iniziava a mettere in cantiere certe idee, ma per saperne di più su Scissione v’invito a leggere questo pezzo di Walter Catalano: Severance/Scissione: il Corporate Horror e gli incubi di Fantozzi.
Conforto, consolazione, riconoscenza, ecco quello che raccolgo dal genio di Paolo Villaggio, e non sono il solo; scriveva Oreste Del Buono nell’introduzione al libro: “L’ultima apparizione di Paolo Villaggio a cui ho assistito in televisione quasi mi ha fatto piangere per la riconoscenza. La riconoscenza per chi si sobbarca il peso di tutti i diseredati dell’aspetto e del gesto, di tutti gli umiliati e offesi dalla propria bruttezza e goffaggine, di tutti i mutilati del pensiero e della prassi, dell’affabilità e della sintassi. Si era sotto le feste di Natale, magari alla viglia stessa. Avevano chiamato Paolo Villaggio in televisione per commentare insieme natività e austerità, un miscuglio di moda nel nostro disgraziato paese”.
Chi aveva invitato l’attore genovese s’aspettava da lui un po’ d’umorismo, ma sbagliò i suoi conti: Villaggio si presentò trasandato, malmostoso e, parlando con piglio truce, disse “controvoglia una sgradevolezza dopo l’altra” e prese a parlar male di se stesso, perché quello aveva da dire – Paolo Villaggio non fingeva mai.
A proposito di Natale, leggete quest’altro estratto del libro Fantozzi: “A casa la signora Pina gli preparò una minestra calda. Lui si sedette a tavola con uno sguardo da pazzo e diede la prima cucchiaiata. La moglie lo guardò e gli disse: “Buon Natale, amore!”. In quel momento l’albero si abbatté sulla tavola con violenza, centrò Fantozzi in piena nuca e lui tuffò la faccia nella minestra rovente. Si provocò ustioni di quarto grado. Non gli uscì un lamento: più tardi, nel buio della stanza da letto, pare che abbia pianto in silenzio con grande dignità”.
Quella dignità che perdiamo quando siamo preda della sindrome da consumo; ossia, quasi sempre.
Villaggio fa cenno al boom consumistico in un’intervista rilasciata alla Televisione Svizzera nel 1975: “Il piccolo Fantozzi, l’omino che per anni è vissuto nel boom consumistico, ha ricevuto dai mass-media, cioè dalla televisione, dai settimanali e da tutte le informazioni possibili, uno stimolo preciso, quasi un ordine a consumare, ad acquistare, a vivere secondo determinati schemi, e lo schema di questa filosofia era precisissimo: attento!, che se compri e ti attrezzi in determinati modi, cioè secondo la chiave consumistica, potrai essere felice, vivrai in un mondo che sarà felice e contento per mille anni. Improvvisamente, invece, un crack strano; insomma, tutto questo sistema meraviglioso, pieno di promesse, questo mondo fiabesco si è incrinato: è bastato che nel Medio Oriente una forte tensione internazionale chiudesse i rubinetti del petrolio perché tutta la grande economia mondiale entrasse in crisi”.
Villaggio fa riferimento al periodo a cavallo tra il 1973 e il 1974 quando, in seguito alla crisi petrolifera, diversi governi del mondo occidentale, tra cui l’Italia, emanarono disposizioni per contenere drasticamente i consumi energetici: ricordo, per esempio, che ci si metteva d’accordo tra parenti per uscire insieme nei giorni festivi, con l’auto che poteva circolare senza prendere la multa – una domenica toccava alle macchine con targhe che terminavano col numero pari, quella dopo era il turno delle dispari.
Oggi come oggi pare che il consumare, l’acquistare, il vivere secondo determinati schemi, siano azioni che non si riescano a fermare, neppure a rallentare.
E se pensate che anche andare a vedere la versione di Fantozzi rimessa a nuovo faccia parte di questo circolo vizioso, quello del consumare e del vivere secondo determinati schemi, vi rispondo che andrò ugualmente a vederlo lasciandovi alla vostra erre moscia e a quella cagata pazzesca de La corazzata Potëmkin.
E mentre mi si azzera la salivazione per l’emozione dovuta a questa mia intransigente presa di posizione, già sento iniziare lo scroscio dei novantadue minuti di applausi che mi renderanno immortale.