
Non sono state le prime iniziative contro i pericoli rappresentati dal duo Trump-Musk ma le manifestazioni del 5 aprile, organizzate negli Stati Uniti con lo slogan “Hands Off !” (“Giù le mani!”), sono state finora le più grandi: 1.400 raduni e/o cortei si sono svolti in tutti i 50 Stati degli USA e hanno portato in piazza ben più di mezzo milione di persone (100.000 solo a Washington). Cortei nelle grandi città, presenze sulle grandi arterie cittadine oppure di fronte agli edifici federali nelle medio-piccole. Quasi 600.000 persone si erano registrate sul sito di Indivisible, una delle più di 200 organizzazioni promotrici dell’iniziativa, per annunciare la propria partecipazione.
Le immagini dei cortei di New York, Los Angeles, Chicago, ecc. danno l’idea di moltissime presenze. Migliaia di persone, che si sono fatte un proprio cartello che contesta i tagli sociali e la deriva della democrazia, fanno intravedere una coscienza molto diffusa dei pericoli che sta attraversando la Nazione più potente del mondo.
Se ad un primo sguardo, nei cortei poteva apparire preponderante la presenza di bianchi progressisti, l’importanza della coalizione nazionale è indubbia, perché essa non si fermerà oggi ed include sindacati, organizzazioni per i diritti civili, delle donne, ambientaliste, dei veterani (di solito poveri, ritornati con problemi fisici e psichici dalle guerre nel mondo distribuite dalla loro Nazione) e sostenitori LGBTQ.
La discesa unitaria in campo di tutte queste sfumature contro i progetti di Trump evidenzia che una parte del popolo statunitense è scesa finalmente in campo per combattere sia le politiche sociali del governo, sia gli evidenti segnali di accanimento contro i soggetti più deboli come gli ultimi immigrati, le persone trans e i dissenzienti, come gli universitari arrestati o espulsi dagli atenei per le lotte filo-palestinesi.
Lo smantellamento in atto del settore pubblico fa sì che nelle agenzie governative che gestiscono le politiche federali siano ormai più di 120.000 finora, secondo i calcoli della CNN, i licenziamenti avvenuti di dipendenti pubblici. Ad esempio, la Social Security Administration, che gestisce gli assegni mensili di più di 70 milioni di persone, è ormai in difficoltà a proseguire il proprio lavoro a causa dell’allontanamento di migliaia di addetti.
Mentre sono in previsione altri tagli alla, già gravemente insufficiente, spesa federale per la sanità e contemporanei ulteriori tagli delle imposte per gli alti redditi.
Nel corteo di New York, un cartello di una italo-americana, i cui genitori erano fuggiti dall’Italia durante il fascismo, riportava una frase di Mussolini, applicabile agli Stati Uniti di oggi: “Il fascismo dovrebbe essere più propriamente chiamato corporativismo, poiché è la fusione di potere statale e aziendale”.
In poco più di 10 settimane dal suo insediamento, Trump ha attaccato (l’elenco è casuale e sicuramente incompleto) la libertà di espressione, gli immigrati “sans-papier” (come direbbero i francesi), i diritti di contrattazione sindacale e il posto di lavoro dei lavoratori pubblici, la (già scarsa) sicurezza sociale, la scuola pubblica (con la progressiva abolizione del Ministero federale competente), il sostegno ai veterani di guerra, il diritto alla casa, i parchi nazionali e le terre pubbliche (concedendone sempre di più alle imprese di trivellazione), la riservatezza dei dati personali, il servizio postale e le biblioteche pubbliche, il Servizio Meteorologico Nazionale (onde impedire sue interpretazioni contrarie alle concezioni negazioniste presidenziali), la possibilità di scelta delle donne in tema di aborto (già menomate dalla sentenza della Corte Suprema e con l’incombente minaccia di un divieto nazionale), i diritti LGBTQ+, un minimo d’imparzialità della Magistratura, le risorse per affrontare le catastrofi climatiche e per favorire l’energia e l’aria pulita, la protezione dei consumatori, l’equilibrio tra le varie istituzioni federali che intendevano impedire un ruolo assolutistico del Presidente, le già scarse limitazioni all’utilizzo di armi proprie.
Come ampiamente prevedibile, Trump ha rovesciato le timide e insufficienti azioni sociali del governo Biden, frutto della caratterizzazione moderata di buona parte di quel Partito, in cui molti settori, quelli che lo governano, sono vicini ai poteri forti della Nazione, e ne ricevono grandi finanziamenti. Mentre in politica estera Trump ha dato continuità al sostegno del criminale governo Netanyahu (aggiungendo la fantasmagorica e insultante ipotesi di trasformazione di una Gaza, sgombrata dai palestinesi, in una riviera di grattacieli) ed è andato ben oltre il tradizionale isolazionismo del Partito Repubblicano. Innanzitutto minacciando l’autonomia di Canada, Panama e Groenlandia, poi volendo imporre all’Ucraina, mandata a far la guerra per mandato, una pace basata sull’appropriazione delle sue risorse minerarie; infine sparando a 360 gradi dazi calibrati sulla disponibilità di asservimento o meno dei singoli governi degli altri Stati del Mondo.
La logica della fortezza schierata contro le merci straniere e contro gli immigrati asseconda purtroppo le idee di una parte del popolo statunitense, tanto che lo stesso sindacato United Auto Workers (UAW), che aveva definito Trump “a scab”, un crumiro, e aveva appoggiato, come peraltro la gran parte dei Sindacati statunitensi, anche a causa della normativa elettorale ultra-uninominale, l’improvvida Kamala Harris, oggi li ha apprezzati. Ciò sebbene la catena di rifornimento di semilavorati dell’industria auto statunitense sia estesa ben oltre i confini nazionali e i dirigenti sindacali di UAW delle università (negli ultimi anni 100.000 lavoratori degli atenei si sono iscritti a UAW) siano oggi sotto attacco, arrestati e minacciati di espulsione, per le lotte avvenute negli atenei, e soprattutto alla Columbia University, contro il genocidio di Gaza.
La partita comunque si gioca soprattutto, come già nelle elezioni, sulle questioni interne. Lo dimostrano i cartelli autoprodotti esposti nelle manifestazioni del 5 aprile di “Hands Off!”. Uno slogan declinabile contro tutti i suddetti attacchi governativi. E anche e soprattutto contro la deriva autoritaria che, se finora negli USA si abbatteva soprattutto sui neri e sugli immigrati “sans-papier”, ora inizia ad accanirsi nuovamente (la storia degli USA non è nuova a ciò) contro lo Stato Sociale e contro il mondo del lavoro, a partire da quello dei dipendenti pubblici. E anche contro le migliaia di persone che lavorano in nero, soprattutto nell’agricoltura. .
La capacità indubbia dell’associazione “Hands Off !”, nata all’inizio della prima presidenza Trump e articolata in sezioni locali, è stata, nell’organizzare la manifestazione del 5 aprile, quella di riempire il vuoto del Partito Democratico, inebetito dalla sconfitta elettorale e diviso, come sempre, dalle politiche da praticare. Un’iniziativa che si è collocata nel primo momento di difficoltà del “governo dei miliardari” (mai come questo di Trump): non solo per il dissenso sui dazi da parte del mondo finanziario, di cui lui è un eretico rappresentante, ma anche per i segnali evidenti che la presenza di Elon Musk a fianco del Presidente stia diventando ingombrante.
Contestate le sue auto a livello internazionale, mal gradite le sue escursioni su vari argomenti governativi (ben al di là del ruolo cui è stato nominato da Trump, peraltro senza alcun passaggio parlamentare), Musk si è pure sfracellato sul rinnovo di un posto della Corte Suprema del Wisconsin. Un’elezione che senza il suo intervento sarebbe passata abbastanza inosservata, lui l’ha definita in un comizio “un voto da cui potrebbe dipendere il controllo del Congresso (il Parlamento degli USA), e quindi il futuro stesso della civiltà occidentale”. e ha tirato fuori 25 milioni di dollari di contributo al “suo” candidato, promuovendo pure, come in una fiera paesana, una lotteria con cui ha consegnato a sorte due assegni da un milione di dollari tra chi s’iscriveva alla lista dei suoi sostenitori. Consentendo con ciò alla candidata del Partito Democratico, risultata abbondantemente vincente, di dichiarare: “Oggi gli abitanti del Wisconsin hanno respinto un attacco senza precedenti alla nostra democrazia, alle nostre elezioni eque e alla nostra Corte Suprema e hanno affermato ad alta voce che la giustizia non ha un prezzo e i nostri tribunali non sono in vendita”.
Il ruolo di Musk, un non eletto, un miliardario, uno che ha un grandissimo conflitto d’interesse perché non paga tasse federali utilizzando gli sgravi fiscali di Trump e licenzia dipendenti pubblici perché costano troppo e propone di ridimensionare la scarsa copertura sanitaria per i poveri e gli anziani pur avendo ricevuto 38 miliardi di dollari di sovvenzioni statali, esaurito il suo scopo di finanziare la campagna elettorale e di fare adesso da parafulmine di Trump, comincia a far ombra a un tipo che vuole vivere solo di fronte ai riflettori.
Se anche a Musk dovessero adesso imporre di fare un passo indietro, o lo scegliesse lui per seguire meglio i suoi interessi economici dal lato delle sue imprese, soprattutto Tesla, i cui profitti e prospettive produttive stanno vacillando, si sta assistendo però a una deriva nella democrazia statunitense che ha forti riflessi a livello mondiale. Una deriva che non s’interromperà certamente se e quando si concluderà l’epoca del duo Trump-Musk.
Per questo, non solo la grande partecipazione alle manifestazioni del 5 aprile, ma anche la notevole presenza ai comizi delle scorse settimane che la sinistra socialdemocratica attorno al Democratic Party, e cioè Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez, ha tenuto negli Stati storicamente conservatori, possono essere una prima boccata di aria non contaminata. Ma sarà soprattutto fondamentale l’iniziativa dal basso, delle sezioni sindacali locali, delle associazioni pro-servizi sociali e pro-ambiente, delle comunità assillate dai problemi di carenze di abitazioni e di lavori pagati non adeguatamente, per (ri)creare un’area attiva politico-sociale, solidale e multirazziale, che possa essere un’alternativa a quello che si profila essere negli Stati Uniti il vero e proprio salasso sociale che le politiche del secondo Trump lasciano intravvedere.
Fonti principali:
A.Marchionna, Troppo vicino al sole, Americana Interanazionale, 6.4
F.Farina, New York e l’America scendono in piazza con Hands Off contro Trump, La Voce di New York, 5.4