La trappola

di Edoardo Todaro

John Wainwright, La trappola, edizioni Paginauno, 2024; pp 209, € 20

Qualche mese fa avevo scritto, proprio qui, a proposito di Stato di fermo del medesimo autore. In continuità con le righe di allora, scrivo, avendolo letto, di La trappola, come ebbi modo di scrivere allora, quanto Wainwright scrive lo deve, in particolare, al suo essere stato in polizia per ben 19 anni.

Conosce avendo sperimentato direttamente: “vita, morte e miracoli” di metodi, usi ed abusi delle forze dell’ordine. Nelle pagine che ho letto, abbiamo a che fare con il capro espiatorio di turno, perché un colpevole ci deve essere, ma soprattutto ci vuole: stando alle modalità previste dai tutori dell’ordine e per far questo viene predisposta  una “sala omicidi” apposita, perché non avverrà un normale interrogatorio, ma una vera e propria intimidazione, unica arma a disposizione degli investigatori.

Interrogatorio che si svolge, prima, nella  macchina di servizio, con tutte le pressioni del caso e psicologicamente sfavorevole per il presunto colpevole, che attorno a sé non può che sentirsi in trappola essendo circondato da dei veri e propri nemici. Interrogatorio nei confronti di un indiziato che avendo precedenti, diviene in automatico un assassino.

Oltre al volere a tutti i costi un colpevole, “creare il vestito”, visto che i poliziotti quando arrestano qualcuno lo terrorizzano, Wainwright evidenzia anche i pregiudizi esistenti, tra le forze dell’ordine, verso gli omosessuali, la cui comunità, e le rimostranze del presidente della comunità non servono a niente,  un presidente che dà una lezione di vita spiegando non solo, cos’è l’amore ma le difficoltà nel dichiarare il proprio orientamento sessuale, è messa sotto pressione.

Visto che c’è un omicidio di mezzo, è legittima la domanda: l’omicidio di uno sconosciuto omosessuale a chi può interessare, visto che la comunità del luogo costruisce una falsa unità su luoghi comuni, sull’asserzione che l’omosessuale, Richardson è stato ucciso da qualcuno della sua specie. Omosessualità che sarà elemento importante nel contesto di queste 209 pagine.

Quindi pregiudizi ed arroganza che danno vita ad un sistema di sopraffazione. La montatura che predispone la trappola: avere un colpevole comunque in fin dei conti non è niente di illegale, solo un po’ insolito. Si parlava  di arroganza verso i presunti colpevoli, ma l’arroganza, la sopraffazione è un qualcosa che si rivolge anche verso i propri colleghi, un detective  deve incutere timore anche tra loro.

Wainwright mette in evidenza anche il ruolo positivo , in quel contesto, del poliziotto di zona che mantiene rapporti cordiali con gli abitanti della zona a cui deve soprintendere (il poliziotto buono). Ciò che unisce il poliziotto buono e quello cattivo è l’usare il trucco più vecchio del mondo nel campo investigativo: non solo lasciare tutto il tempo necessario affinché nell’indagato subentri un senso di preoccupazione rispetto a ciò che potrebbe accadere, condurre un interrogatorio con ampi spazi di silenzio nei quali far logorare il presunto colpevole, ma soprattutto l’assillo di un quesito che gira nella testa degli uomini in divisa, lasciare un assassino a piede libero o arrestarlo con prove insufficienti?

Perché l’essere sicuri al 99% della colpevolezza dell’indiziato non è sufficiente: basta l’1% ed un omicida si ritrova libero. Ma tanto, chi è colpevole alla fine crolla.

Nel manuale del bravo poliziotto ma soprattutto esperto trovi sicuramente che è sufficiente ottenere reazioni alle proprie domande visto che ad esse le risposte non sono necessarie. Questi metodi sono parte del mestiere, dell’arte dell’essere detective, la cui abilità risiede nel mettere l’interrogato, di turno, in condizioni sfavorevoli, perché i detective non costruiscono, bensì demoliscono, distruggono.

In questo caso ci troviamo di fronte a un indagato che ostinatamente continua a negare per dirigersi piano piano verso una quasi ammissione. Il punto di domanda si riferisce esclusivamente al quando questo momento arriverà. L’ammissione arriverà, chissà, ma solo grazie ad una vera  propria tortura, certamente non fisica, ma mentale e psicologica, nascosta, metodica, al di là di ogni strategia e tecnica pervasiva di polizia.

Il risultato deve essere uno ed uno soltanto: la trappola ha funzionato ed il caso è risolto. Quante volte abbiamo assistito, anche in Italia, a situazioni di questo tipo: montature, “teoremi”, colpevolezze definite in base a prove costruite a tavolino. In Italia è ancora in vigore il Codice Rocco, per non parlare della Legge Reale, che trasforma il conflitto sociale in problema di “ordine pubblico”, e le “leggi speciali” tutt’ora in vigore. E se come pare il decreto legge in discussione (1236) (1) alla camera dovesse passare, non oso immaginare il concretizzarsi dell’attuazione del sorvegliare e punire.

Note:

1. https://www.osservatoriorepressione.info/sicurezza-il-governo-forza-la-mano-un-decreto-al-posto-del-disegno-di-legge/

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