In occasione della due giorni di mobilitazioni indette per il 30 aprile e il 1 maggio da ADL e SI Cobas sono state circa una trentina le iniziative promosse da centri sociali e lavoratori e lavoratrici in veneto.
In un dibattito pubblico polarizzato tra il “riapriamo tutto” in nome del profitto e della ripresa della produzione e il “teniamo tutto chiuso”, le cui derive ipersecuritarie vanno ad incidere sulle libertà individuali e collettive e vengono usate come strumento di limitazione delle lotte, l’obbiettivo delle mobilitazioni era di rimettere al centro le lotte per la riconquista di diritti per tutte e tutti.
L’appiattimento del discorso su un piano di salvaguardia dell’economia opposta ad una salvaguardia della salute, distoglie l’attenzione sulle cause che hanno portato a questa emergenza, sanitaria, sociale ed economica.
Nella piattaforma rivendicativa si chiedeva un maggiore investimento sulla sanità pubblica e sulla sicurezza nei posti di lavoro, la semplificazione e dell’allargamento degli ammortizzatori sociali, che devono garantire un reddito dignitoso a tutte e tutti, a prescindere dalla tipologia di lavoro ( o non lavoro ) svolto, una una sanatoria generale per i migranti senza documenti, la costruzione di percorsi di mutualismo e solidarietà dal basso non come strumenti di volontariato ma come motori delle lotte e il rifiuto del principio del debito come exit strategy dall’emergenza in favore di una più giusta redistribuzione della ricchezza e degli investimenti.
Al di là delle iniziative nei singoli posti di lavoro era importante riuscire a portare in piazza queste istanze, indicando nella partecipazione e nella presa di parola collettiva l’unico ero antidoto contro gli effetti di questa emergenza (pratica già sdoganata dai sit in dei commercianti, affiancati dalle amministrazioni, in molte città italiane).
Nella giornata di giovedì 30 aprile a Vicenza, Verona, Treviso e Mestre sono andate in scena delle iniziative davanti all’INPS, alla prefettura e al municipio, con parole d’ordine semplici e dirette: reddito e diritti per tutte e tutti, e riapertura di una stagione di lotte come strumento di difesa dalle conseguenze della emergenza.
Nella giornata di venerdì 1 maggio invece è stata la volta dei lavoratori e lavoratrici dello spettacolo, categoria che risentirà per più tempo di questa emergenza.
A Padova, a Venezia e in molte altre città italiane i tecnici hanno occupato simbolicamente i luoghi della cultura: il teatro Verdi a Padova e i giardini della Biennale di Venezia sono diventati il simbolo di chi spesso è invisibile agli occhi di chi assiste agli spettacoli o agli eventi, ma che con il suo lavoro ne permette lo svolgimento.
Per convivere con il virus non possiamo accontentarci di mascherine e guanti in lattice, ma è necessario istituire adeguati strumenti di protezione collettiva, quali forme di reddito slegate dal lavoro salariato, l’allargamento dei diritti alle fasce più deboli e una redistribuzione più giusta della ricchezza, in modo che nessuno venga lasciato indietro.
Per far si che le conseguenze di questa emergenza non vengano fatte pagare a lavoratori, precari, disoccupati ed invisibili, è necessario andare oltre ai divieti e mettere in prima linea la partecipazione e la lotta, come unici strumenti in grado di sovvertire gli attuali rapporti di forza.
Riapriamo una stagione di lotta!