Coronavirus. Costa d’Avorio, Senegal, Sudan dichiarano lo stato di emergenza.
di Fulvio Beltrami (Fulvio Beltrami è un giornalista freelance che vive in Africa)
Brutte notizie dall’Africa. La speranza che i climi caldi potessero rappresentare un ambiente ostile al proliferarsi del virus COVID-19 sembra svanire nelle ultime ore. I casi di contagio stanno rapidamente aumentando in vari Paesi africani. Ieri sera il Presidente ivoriano Alassane Ouattara ha decretato lo Stato di emergenza anche se in Costa d’Avorio per il momento si registrano solo 25 casi di contagio. Il governo ivoriano da qualche settimana ha preso efficaci misure di contenimento risultando una delle Nazioni africane tra le più avanzate nella lotta contro la diffusione del virus. Nonostante ciò il governo e gli esperti sanitari hanno individuato la necessità di misure più drastiche per evitare la diffusione di massa del COVID-19 che il debole sistema sanitario nazionale non sarebbe in grado di fronteggiare.
Ouattara decreta lo Stato di Emergenza con il coprifuoco dalle 9 di sera fino alle 5 del mattino successivo. Bar, ristoranti, scuole e uffici pubblici vengono chiusi a tempo indeterminato. Divieto di spostamenti tra città, distretti. Divieto esteso anche nei centri urbani con l’introduzione di misure di confinamento progressive secondo aree geografiche e in funzione dell’evoluzione della pandemia. Verrà creato un corridoio umanitario per assistere i cittadini in difficoltà. Per sostenere lo sforzo sanitario e le aziende il governo ivoriano stanzierà 96 miliardi di FCFA (146,4 milioni di euro).
Il Presidente Ouattara, decretando lo Stato di Emergenza, si trova in una difficile situazione. Nonostante la dichiarazione ufficiale che non si presenterà candidato alle Presidenziali (previste per il prossimo ottobre) l’opposizione teme che la legge marziale per contenere il coronavirus possa essere utilizzata per rinviare le elezioni, permettendo a Ouattara di mantenere la carica di Capo di Stato a tempo indeterminato. A tale proposito il Presidente ha lanciato un appello a tutte le forze politiche chiedendo una unione di intenti e una disciplina morale per evitare tensioni sociali.
L’appello è stato esteso ai sindacati, imprenditori, Società Civile, leader religiosi e capi tribù tradizionali. La richiesta di unità nazionale è stata accompagnata da una velata minaccia. “Condanneremo tutti gli atti di indisciplina che possano ostacolare o fragilizzare le operazioni di contenimento dell’epidemia e la messa in opera della quarantena. Siamo tutti uguali davanti alla legge e davanti alla malattia COVID-19. Non accetterò nessuna forma di boicottaggio”.
In Senegal i casi di contagio sono duplicati nelle ultime 24 ore: da 31 a 67. I primi 10 casi rilevati le scorse settimane erano europei o senegalesi rientrati dall’Europa. Ora i casi sono comunitari cioè autoctoni all’interno del Paese. Il virus si sta diffondendo tra la popolazione. Il Ministero della Sanità informa che cinque pazienti sono guariti e dismessi dall’ospedale. Sono stati allestiti sul territorio nazionale quattro centri di trattamento del COVID-19 per poter isolare totalmente i pazienti ricoverati. L’Ospedale Nazionale Universitario di Fann a Dakar, l’Ospedale Pediatrico di Diammiadio, il Centro Santiario Darou Marnane a Touba e l’Ospedare Regionale di Ziguinchor.
Il Ministero della Sanità tenta disperatamente di contenere il contagio in stretta collaborazione con l’Istituto Pasteur. Si pensa anche di requisire degli alberghi per trasformarli in centri sanitari. Il governo è preoccupatissimo a causa dello stato in cui si trova la sanità pubblica. Come altri Paesi africani, anche il Senegal negli ultimi vent’anni ha seguito il diktat della Banca Mondiale e del FMI riguardante il taglio alla spesa pubblica. Sanità ed Educazione sono stati particolarmente colpiti da queste aberranti logiche del turbo-capitalismo voluto dalla dottrina della Globalizzazione Liberale.
Sul settore umanitario i principali donor (Unione Europea, Gran Bretagna, Paesi Scandinavi e Stati Uniti) negli ultimi anni hanno quasi azzerato i finanziamenti a progetti sanitari preferendo concentrare i fondi su progetti socio economici tesi a ridurre i flussi migratori dall’Africa all’Europa. Progetti che si stanno rivelando inefficaci per la maggior parte dei casi. Anche il nuovo partner: la Cina non ha prestato molta attenzione al rafforzamento della Sanità Pubblica in Africa. Il risultato di queste scelte politiche è ora drammaticamente evidente. Nessun paese africano, (ad esclusione del Sud Africa, forse) ha un sistema sanitario in grado di sostenere la pandemia di COVID-19.
“Cari compatrioti. L’ora è grave. La minaccia del COVID-19 si sta abbattendo sul nostro Paese. In virtù dell’articolo 69 della Costituzione e della legge 69-29 del 29 aprile 1969 a partire dalla mezzanotte di oggi, dichiaro lo Stato d’Emergenza su tutto il territorio nazionale. Il governo, le autorità amministrative, l’esercito e l’insieme delle autorità interessate prenderanno tutte le disposizione necessarie per l’applicazione del decreto di Emergenza.” Ha dichiarato il Presidente Macky Sall in un drammatico discorso alla Nazione trasmesso a reti unificate ieri sera.
Lo Stato di Emergenza prevede tra le altre misure il razionamento dei viveri e il coprifuoco serale dalle 8 alle 6 del mattino successivo. Il divieto di circolazione di persone e veicoli in certe fasce orarie che verranno pubblicate. Una specie di confinamento dei cittadini. Il divieto assoluto di cortei e manifestazioni politiche, religiose, ludiche. Il divieto di riunioni pubbliche e private. La chiusura di tutte le scuole e degli edifici pubblici. Il divieto di spostarsi tra una città e l’altra.
L’esercito è ora impiegato su tutto il territorio nazionale e di fatto entra in vigore la legge marziale che durerà tre mesi. Il Presidente senegalese ha messo le mani avanti affermando che le misure d’urgenza adottate possono subire ulteriori restrinzioni a secondo dell’evolversi dell’epidemia e delle circostanze. L’uso dell’esercito è teso sia per supportare gli sforzi del personale sanitario sia per prevenire il panico tra la popolazione ed eventuali saccheggi o rivolte. Per il momento il Presidente ha deciso di non fermare le attività economiche, prevedendo però degli orari ridotti. Per sostenere l’economia il governo ha creato un fondo pari a 1.000 miliardi di FCFA (1,5 miliardi di Euro). Macky Sall ha lanciato l’appello a tutti i cittadini di collaborare e mantenere la calma “per superare questa tremenda prova e vincere questo insidioso nemico invisibile”.
“È mio dovere essere sincero con tutti voi. Queste misure eccezionali e lo Stato di Emergenza sono necessari. Se continuiamo a far finta di niente il virus si propagherà e diventerà ancora più aggressivo mettendo a rischio le nostre vite. Nonostante che il personale sanitario sia pronto a fronteggiare la crisi, un alto numero di malati metterà in crisi il nostro sistema sanitario aumentando così i decessi. Questo è il peggiore dei scenari che dobbiamo a tutti i costi evitare grazie alla collaborazione e a una chiara presa di coscienza nazionale sulla gravità della situazione. In gioco è la nostra vita e quella delle nostre famiglie. Mobilitiamoci tutti insieme, miei cari compatrioti. Non lasciamo che il virus distrugga il Senegal. Proteggiamo e salviamo la nostra Nazione.” Conclude Macky Sall con la paura dipinta sul volto. Secondo vari media locali nei prossimi giorni si predono dai 1500 ai 1600 nuovi contagi. Se ciò si verificasse significherebbe che il Senegal entra in pieno nella crisi sanitaria con un evidente deficit di capacità di risposta all’epidemia rispetto altri paesi quali Cina, Iran, Israele, Italia e Corea del Sud.
Anche il Sudan ha deciso di dichiarare lo Stato di Emergenza e il coprifuoco dalle 8 di sera alle 6 di mattina. A deciderlo è stato il Consiglio Sovrano, un governo di transizione formato dalla giunta militare e da civili dopo la rivoluzione sudanese che ha abbattuto il regime dittatoriale islamico di Omar El Bashir. È stato creato un Comitato di Emergenza Sanitaria per fronteggiare la crisi pandemica. Le misure di contenimento adottate sono simili a quelle del Senegal e della Costa d’Avorio. Le autorità sono state chiare con i propri cittadini: “Non esiste vaccino e cura. L’unica possibilità di salvezza è la quarantena nelle vostre case”.
Per far fronte alla crisi sanitaria il Ministero della Salute necessita di 76 milioni di dollari. Un piccolo problema: dopo trent’anni di regime islamico e 20 anni di sanzioni economiche internazionali le casse dello Stato sono vuote. Il governo ha lanciato un disperato appello per una colletta nazionale e internazionale al fine di poter reperire i fondi necessari per tentare una risposta sanitaria. Al momento si è riusciti a raccogliere 200 milioni di sterline sudanesi (circa 1,8 milioni di euro) offerti dal Sindacato degli Imprenditori Sudanesi, il Sindacato della Banche e da due compagnie di telecomunicazione.
È stato aperto un conto bancario di urgenza dove i cittadini sudanesi possono versare le loro offerte. La situazione in Sudan è disperata. La sanità, praticamente non esiste e la crisi economica, iniziata nel 2011 con la perdita dei giacimenti petroliferi causa la scissione del Sud Sudan, persiste tutt’ora. La maggioranza dei sudanesi non ha nemmeno i soldi per comprare i viveri necessari all’auto-confinamento. Ad oggi si sono registrati in Sudan 17 casi sospetti di contagio da Coronavirus.
Nei prossimi giorni probabilmente assisteremo a dichiarazioni di Stato d’Emergenza e legge marziale in altri Paesi Africani in quanto queste misure estreme sembrano al momento essere l’unica risposta efficace per contenere il virus visto che la speranza che il clima caldo lo fermasse sembra tramontata. Su teme che nei prossimi giorni si possa assistere ad una esplosione del contagio su tutto il continente che metterebbe fine all’anomalia che fino ad ora ha visto l’Africa la regione meno colpita dalla pandemia di COVID-19. Le speranze degli esperti sanitari espresse sulla rivista scientifica New Scientist lo scorso 11 marzo, che il clima caldo africano potesse in un qualche modo inibire o indebolire il virus si stanno infrangendo contro una realtà che potrebbe presagire uno scenario da incubo.
Il rischio di pandemia era stato previsto tre giorni fa (il 21 marzo) dal Direttore Generale del OMS, l’etiope Tedros Adhanon Ghebreyesus. “Il miglior consiglio da dare all’Africa è quello di prepararsi al peggio e prepararsi sin da oggi”. Un consiglio che Senegal, Costa D’Avorio e Sudan hanno preso alla lettera. Nei prossimi giorni la situazione potrebbe sfuggire di mano anche in Egitto che conta 210 casi, in Sudafrica (205 casi) e in Nigeria (120 casi). Con un sistema sanitario distrutto dalle logiche del turbo-capitalismo liberale, la diffusa povertà tra la popolazione, gli abitanti in Africa, già notevolmente esposti a malattie come Malaria, tubercolosi e HIV e in alcuni paesi alla malnutrizione dovuta dalle guerre o dalle crisi politiche (Sud Sudan, Repubblica Centrafricana, Mali, Est del Congo, Burundi) sono ora considerati ad alto rischio sanitario.
All’interno dei pessimisti emergono due voci contrarie. Gli epidemiologi Jimmy Whitworth della London School of Hygiene and Tropical Medicine e il Dottore Mark Woohouse dell’Università di Edimburgo, sono fiduciosi sulla possibilità che l’Africa riesca a superare la difficile prova, anche meglio dell’Europa. Pur ammettendo le varie fragilità strutturali che potrebbero trasformare l’epidemia in un olocausto sanitario continentale, Withworth e Woohouse sono convinti che gli Stati di Emergenza, le chiusure delle frontiere, le quarantene obbligatorie, se imposti preventivamente possono evitare il disastro sanitario in questo momento in cui “L’assenza di decessi al momento potrebbe significare che non ci sono ancora grandi focolai non rilevati in Africa” come afferma Woolhouse. Speriamo ardentemente che abbiano ragione. Senegal, Costa d’Avorio e Sudan sono i primi ad adottare misure drastiche per evitare i grandi focolai pandemici nei loro Paesi.
In questo inizio della Pandemia COVID-19 in Africa non mancano le risposte deliranti. in Burundi, il regime che da 15 anni ha instaurato una sanguinaria dittatura razziale e mafiosa, ha deciso di non intervenire contro il Coronavirus, affidandosi a Dio. «Lo confermo e lo attesto! Non dico che l’epidemia non può arrivare in Burundi. Per questo siamo pronti a prendere delle misure adeguate in caso di contagio diffuso. Ma, attenzione, non le stiamo prendendo ora perché sappiamo che il Burundi è protetto avendo firmato un patto speciale con Dio. Saremo tutti salvi, che lo crediate o no», afferma alla ‘BBC’ il portavoce della Presidenza, Jean-Claude Karerwa Ndenzako, un giorno dopo la prima intervista.
L’assurda presa di posizione del governo burundese ha creato un coro di indignazione e di condanne tra l’opposizione, la società civile, i media internazionali e una viva preoccupazione da parte di Nazioni Unite e OMS. Dal Paese comuni cittadini segnalano oggi che il regime sarebbe ritornato sui suoi passi e avrebbe iniziato a chiudere le frontiere, i negozi, le banche. Informazioni smentite dai media africani. “Il governo burundese ha annunciato misure supplementari questo fine settimana per evitare la diffusione del COVID-19 come per esempio la sospensione dei voli. Eppure il traffico aereo commerciale rimane, le frontiere terrestri aperte e le riunioni politiche autorizzate. Presso i principali ospedali del paese nessuna misura sanitaria è stata predisposta per accogliere eventuali pazienti gravi di Coronavirus, spiega il Dottor Jean-Bosco Girukwishaka porta parola del Ministero della Sanità”
Queste le informazioni fornite ieri dal sito di informazione PressAfrik. Le informazioni ricevute oggi da alcuni abitanti di Bujumbura vengono smentite da Radio France International in un articolo pubblicato oggi alle ore 09.58 GMT. Un corrispondente di RFI in Burundi riporta che le uniche misure prese dal governo sono quelle già in atto una settimana fa: centro di quarantena per i viaggiatori stranieri presso l’Hotel Source du Nil, divieto di ingresso per i viaggiatori provenienti da paesi con alta percentuale di contagio, divieto di voli arei – passeggeri per una settimana. Il corrispondente RFI afferma che il regime organizza meeting per la campagna elettorale (prima che questa inizi, il 17 aprile) e, addirittura partite di calcio.
Il governo afferma che non vi sono casi di contagio da COVID-19 registrati in Burundi. Di diverso parere il sito di informazione PressAfrik. “Dall’inizio delle blande misure contro il virus, si sono registrati 135 casi sospetti di COVID-19 che sono ora in quarantena presso le loro residenze e 107 casi sospetti che sono stati messi in quarantena presso l’Hotel Source du Nil. Il Ministero della Sanità continua ad affermare che nessuna persona tra questi casi sospetti ha sviluppato i sintomi del COVID-19”.
“In realtà “abbiamo zero casi, perché finora abbiamo fatto zero test”, ha detto amaramente un altro medico del settore pubblico, indicando il desiderio di “negare” la realtà. Ciò che le autorità negano ferocemente.” Afferma categoricamente Radio France International. Chi ha ragione? I cittadini da Bujumbura che ci segnalano una inversione di rotta delle autorità burundesi o la stampa internazionale che smentisce queste notizie? Difficile comprendere la realtà poiché dal 2015 il Paese africano è di fatto chiuso su se stesso modello Corea del Nord e l’informazione è controllata dal regime di Pierre Nkurunziza.