Può sembrare assurdo parlare di ambiente in un momento in cui tutto è dominato dall’emergenza sanitaria del Covid-19. Ma non dobbiamo mollare, occorre continuare a lavorare per un mondo migliore, sicuramente più pulito. E, come molti ormai stanno sempre più evidenziando, un mondo meno inquinato resiste meglio alle avversità, anche sanitarie, oltre che essere più bello. E’ importante, quindi, che non si abbassi adesso la guardia sui temi ambientali, anche per evitare che in momenti particolari come questi, ove l’attenzione è rivolta ad altro, si possano avallare scelte e decisioni di cui pentirsi subito dopo.
Un tema ambientale che merita di essere seguito con attenzione riguarda la gestione dei rifiuti nell’ambito della nuova direttiva 2018/850 sulle discariche che rappresenta uno dei cardini del pacchetto sull’economia circolare adottato nel 2018. Tale pacchetto, che ha come sottotitolo “un programma rifiuti zero per l’Europa”, ha, tra le sue originali intenzioni, proprio quella di sottolineare la sinergia tra l’attuazione di strategie che mirano ad azzerare la quantità di rifiuti prodotti e una visione circolare dell’economia. Se gli obiettivi generali della nuova direttiva vanno nella stessa direzione di quelli già definiti con la direttiva 1999/31/EC, tra gli obiettivi specifici del nuovo pacchetto sull’economia circolare troviamo l’obbligo di raccolta differenziata dell’organico in tutta Europa a partire dal 2024, il riuso e riciclo dei rifiuti urbani (almeno il 65% entro il 2035) e dei rifiuti da imballaggio (almeno il 70% al 2035), e la minimizzazione del ricorso alla discarica per i rifiuti urbani (massimo il 10% entro il 2035). Proprio su quest’ultimo punto, cogliamo l’occasione del recente policy briefing redatto da Enzo Favoino, uno dei massimi esperti di economia circolare, per conto di Zero Waste Europe, per fare chiarezza. In tale analisi, infatti, si ipotizza una contraddizione tra l’obiettivo fissato nella direttiva e il concetto stesso di economia circolare.
Sebbene l’obiettivo di minimizzazione dell’uso delle discariche sembra essere in linea con gli obiettivi strategici della direttiva quadro sui rifiuti , e cioè la massimizzazione delle attività propedeutiche al riciclaggio e al riutilizzo e gli obblighi di raccolta differenziata per specifiche tipologie di rifiuti, il nuovo obbligo genera anche obiettivi operativi che potrebbero contraddire i principi generali dell’economia circolare dettati dalla stessa Unione Europea.
Alcuni casi concreti evidenziano che il raggiungimento della soglia del 10% della quantità di rifiuti da conferire in discarica è estremamente impegnativo e ciò potrebbe spingere i decisori ad investire sull’incenerimento dei rifiuti in modo da ridurre al minimo tale quantità. Si potrebbe quindi determinare una situazione di stallo, con i rifiuti costretti ad andare verso l’incenerimento, contravvenendo però a questo punto ai principi e agli obiettivi strategici dello stesso pacchetto sull’economia circolare. Inoltre, la soglia definita in percentuale potrebbe anche scoraggiare le misure di riduzione dei rifiuti in quanto, con questa lettura, non sarebbe più rilevante quanti rifiuti produciamo, l’importante è che se ne conferiscano in discarica al massimo il 10% del totale.
Per questo motivo, l’associazione Zero Waste Europe ritiene importante modificare la direttiva in modo da allinearla ai principi generali e agli obiettivi strategici dell’agenda europea sull’economia circolare. Sono due i suggerimenti proposti:
● impostare l’obiettivo del conferimento in discarica facendo riferimento ad un anno base specifico, anziché a “ogni dato anno”. Ciò premierebbe gli sforzi di riduzione, azione questa che si attua prima nella ben nota gerarchia sulla gestione dei rifiuti e che dovrebbe essere sempre il faro per ogni politica di settore;
● adottare un obiettivo di conferimento in discarica espresso in kg di rifiuti per persona all’anno, anziché in percentuale, in modo da premiare quelle aree (comunità, autorità locali) che stanno attuando strategie di gestione dei rifiuti che mirano a ridurre al minimo la generazione di rifiuti residui. L’obiettivo espresso in kg/persona/anno dovrebbe quindi sostituire quello in percentuale.
La logica stessa dell’utilizzo degli inceneritori contraddice la nuova politica sull’economia circolare. Gli impianti di incenerimento, che alcuni definiscono termovalorizzatori per sottolineare la produzione di energia dalla combustione dei rifiuti, sono molto costosi da realizzare e così, al fine di ripagare gli investimenti fatti e avere un margine di profitto, essi devono avere garantiti una certa quantità di rifiuti. Tale garanzia viene data dalla sottoscrizione di contratti a lungo termine (20-30 anni) con le autorità locali per la fornitura di determinate quantità di rifiuti, pena il pagamento di penali per compensare l’azienda che gestisce l’inceneritore per i mancati profitti. Quindi, con tali contratti, le autorità locali si trovano a dover produrre una certa quantità di rifiuti invece che a diminuirne l’ammontare ed incrementare il tasso di riciclaggio. Una evidente contraddizione nell’attuazione di norme europee.
Esempi concreti in tutta Europa dimostrano che esistono alternative. In Italia, ad esempio, secondo i dati dell’ultimo rapporto sui rifiuti urbani di ISPRA, ben sedici provincie hanno superato il livello del 75% di raccolta differenziata di cui quattro sopra l’80% e due addirittura sopra l’85%. Tra le migliori, la provincia di Treviso che attualmente si attesta sui 49 kg/persona/anno di rifiuti residui e, in particolare, vi sono 45 Comuni trevigiani con meno di 40 kg di rifiuti residui e 12 addirittura con meno di 30 kg. Questi dati fanno capire il potenziale che c’è dietro programmi di economia circolare ispirati dal concetto “zero-waste” che puntano a minimizzare il conferimento in discarica mettendo in evidenza la reale quantità che si conferisce e, di conseguenza, la mole di rifiuti che non viene più prodotta. Approccio diverso da quello previsto dalla direttiva sulle discariche che, riferendosi ad un valore percentuale, non stimola la riduzione dei rifiuti a monte.
L’analisi condotta da Zero Waste Europe mette chiaramente in evidenza la differenza tra alcune aree. La Danimarca, per esempio, ha puntato sull’incenerimento dei rifiuti e riesce a rispettare il target del 10% in discarica; in realtà questa percentuale si traduce in una quantità di scorie e ceneri post combustione, pari a 98 kg/persona, molto più alta, praticamente il doppio, rispetto ai 49 kg/persona prodotti, ad esempio, nella provincia di Treviso a seguito dell’attuazione di una politica che punta alla riduzione, riuso e riciclaggio dei rifiuti. Ovviamente, la differenza parte dall’inizio: nella provincia di Treviso si registrano solo 288 kg/persona di rifiuti all’anno contro i 766 in Danimarca.
E’ questa la strada da percorrere: ridurre massivamente la produzione dei rifiuti, che veramente può arrivare a cifre molto vicine allo zero, e solo dopo occuparci di come gestire la piccola frazione residua che scaturisce a valle dei processi di riduzione, riutilizzo e riciclo. Ciò deve tradursi in un radicale ripensamento del modo di produrre e di consumare. Dobbiamo metterci in testa che è necessario cambiare il nostro comportamento e, quindi, l’attuale modello di sviluppo. E programmando bene le cose, in pochi anni si può fare, salvaguardando al contempo la nostra salute, l’ambiente e i posti di lavoro. Zero Waste Europe ha messo a disposizione un toolkit ove in 10 azioni è possibile pianificare un Piano comunale verso l’obiettivo “rifiuti zero”, sfatando miti e tabù che circondano questo concetto.