Il 10 aprile scorso, il Ministero degli interni ha predisposto una lunghissima lettera ai Prefetti avente oggetto il “monitoraggio del disagio sociale ed economico e attività di prevenzione e contrasto dei fenomeni criminosi e di ogni forma di illegalità”.
Come noto, la gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, ha comportato l’adozione di una serie di provvedimenti che hanno profondamente interessato la dimensione sanitaria sino a quella, ancor più devastante, sociale ed economica del Paese.
Nel solco di quanto previsto dalle circolari del Viminale, relative al rafforzamento delle funzioni di rappresentanza generale del Governo sul territorio, la nuova lettera si muove allo scopo di “affinare gli strumenti di analisi e di intervento a disposizione e di calibrarli rispetto alla fase attuale della gestione emergenziale”.
In soldoni, il Ministero dell’Interno invita i Prefetti a potenziare gli strumenti a contrasto di ogni forma di illegalità e di criminalità attraverso un kit degli attrezzi dal doppio fondo. Da un lato, in chiave paternalistica, si annoverano le azioni di “mediazione dei conflitti” e di “tutela dei diritti civili, sociali, politici ed economici” attraverso la predisposizione di sportelli d’ascolto ad hoc e attività di sburocratizzazione volta a facilitare il rapporto cittadino/impresa-PP.AA. Dall’altro, onde evitare che i cittadini interloquiscano con gli esponenti della criminalità organizzata per ottenere liquidità, lavoro e protezione, l’Autorità nazionale di pubblica sicurezza mette in campo una strategia complessiva di “presidio della legalità in chiave preventiva” (mai opportunamente specificata).
Nel prosieguo della lettera, è facile individuare un punto estremamente critico, già ampiamente rimbalzato sui media. I Prefetti dovranno evitare da un lato “il manifestarsi di focolai di espressione estremistica” e, dall’altro, il rischio che si annidino “perniciose opportunità per le organizzazioni criminali”. Una combinazione che assume rilievi infelici, volto a rappresentare come ipotetici ‘focolai estremistici’ possano essere direttamente interconnessi alle organizzazioni criminali e dalle stesse alimentati, e non, invece, azioni – autonome e libere – frutto dell’insoddisfazione dovuta dall’attuale congiuntura, composta da diseguaglianza assoluta e povertà più nera.
Di poi, la lettera inserisce sotto la lente delle premure il tema del disagio abitativo che, verosimilmente, è “destinato a subire un incremento significativo, a maggior ragione in quei contesti territoriali nei quali più alto è il rischio di tensioni”. Tuttavia, l’interrogativo che vien facile porsi si incentra sulle competenze affidate ai Prefetti, ovvero sia quelle di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica nella provincia. Come potranno i prefetti affrontare il tema del disagio abitativo se sprovvisti di competenze e incarichi relativi al potenziamento del welfare? Probabilmente in un’unica chiave: quella repressiva.
La critica da effettuare nei confronti di tale missiva è dunque ben evidente. Il Ministero dell’Interno consiglia ai suoi organi ausiliari periferici di incaricarsi dell’ascolto delle esigenze dei cittadini, dell’azione di mediazione, finanche di avere “premura” di tutti gli eventuali disagi che si manifestino in seno alla cittadinanza, senza che vi sia mai alcuna menzione al coordinamento coi Comuni che, per eccellenza, sono i detentori di tali osservanze, nonché gli Enti più prossimi al cittadino.
La finalità della lettera la si ritrova nel fondo delle corpose dieci pagine: “bisogna sviluppare un’ampia azione di intelligence sul territorio”, che sia volta a valorizzare, secondo quanto specificato, “le evidenze di natura info-investigativa e la capacità di analisi dei contesti e dei fenomeni criminali a cura delle Forze di polizia territoriali”.
Sarà mica un atteggiamento sin troppo sospettoso, pensare che quanto scritto, con un corredo di parole vacue e generaliste, sia volto alla militarizzazione dei territori, in particolare quelli più “disagiati”?
La prova del 9 è alle porte!
Il Ministero, infatti, prega tutti i Prefetti di far pervenire un primo sintetico resoconto dell’attività intrapresa entro il 27 aprile, solo allora, attraverso lo studio dei singoli report, potremmo verificare se i sospetti abbiano delle basi -pragmatiche- sulla quale poggiare.