Cifra tonda quest’anno per l’anniversario della Liberazione italiana dal nazifascismo. Settantacinque anni fa il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia proclamava l’insurrezione armata generale in tutti i territori che erano ancora sotto il controllo delle forze tedesche e repubblichine. Non abbiamo mai amato l’aspetto liturgico di questo anniversario, pur conferendo a questa giornata un portato storico e politico che non ha eguali. A maggior ragione quest’anno, nel pieno della pandemia, dobbiamo ripensare alla Liberazione in un’ottica che va ben oltre il suo carattere simbolico.
Gran parte della narrazione mainstream ha utilizzato il parallelismo tra la seconda guerra mondiale e il virus Covid-19. Un parallelismo forzato, se non fuorviante, teso più che altro a legittimare una sorta di conversione in senso bellico delle linee di comando e della cultura materiale. Se c’è però un fattore per il quale vale la pena tenere in vita questa simmetria, questo è determinato dal fatto che guerra e pandemia sono state entrambe il prodotto degli squilibri del capitalismo, inteso come modo di organizzare le forme di vita. Entrambe, inoltre, hanno bisogno di rotture epocali per dirsi superate, come fu quell’ormai lontano 25 Aprile 1945.
Rileggere la prefazione di Michel Foucault alla traduzione americana del libro di Gilles Deleuze e Félix Guattari, L’Anti-Edipo: capitalismo e schizofrenia (Viking Press, New York, 1977), ci aiuta molo a cogliere alcuni aspetti della liberazione dal fascismo che vanno ben al di là della sua rappresentazione storica e che tendono a riverberarsi nella quotidianità. Va colto qui un altro parallelismo storico: quello con la seconda metà degli anni ’70, quando prende forma quel capitalismo post-fordista di cui l’attuale crisi prodotta dal coronavirus è diretta filiazione. Ed è qui, nella critica compiuta alle “teorie del negativo” che accompagnano quella fase del pensiero intellettuale, negli attimi in cui il cielo della rivoluzione sembra a portata di dito, che prende forma l’Anti-Edipo, quell’arte di vivere, “contraria a tutte le forme di fascismo, siano esse interiorizzate o prossime all’essere”.
Quell’arte oggi ci serve in tutta la sua potenza, nel suo essere poesia e azione, theorìa, praxis e poiesis per costruire un domani che è ancora tutto da immaginare.
Di seguito potete leggere integralmente l’Introduzione alla vita non fascista, la cui traduzione in italiano è di Carmine Mangone per l’edizione trilingue pubblicata nel 2012 da Maldoror Press e scaricabile online a questo link.
Durante gli anni 1945-1965 (mi riferisco all’Europa), c’era un modo di pensare ritenuto corretto, un preciso stile del discorso politico, una precisa etica dell’intellettuale. Bisognava avere familiarità con Marx, non lasciare che i sogni vagabondassero troppo distanti da Freud, trattare i sistemi di segni – il significante – col più grande rispetto. Queste erano le tre condizioni che rendevano accettabile quella singolare occupazione che consiste nello scrivere e nell’enunciare una parte di verità su di sé e sulla propria epoca.
Poi giunsero cinque anni brevi, appassionanti, cinque anni di gioie ed enigmi. Alle porte del nostro mondo il Vietnam, ovviamente, e il primo grande colpo inferto ai poteri costituiti. Ma cosa stava accadendo esattamente così addentro le nostre mura? Un amalgama di politica rivoluzionaria e anti-repressiva?
Una guerra condotta su due fronti – lo sfruttamento sociale e la repressione psichica? Un aumento della libido modulato dal conflitto di classe? È possibile. In ogni modo, è attraverso quest’interpretazione familiare e dualista che si è preteso spiegare gli eventi di quegli anni. Il sogno che aveva affascinato, tra la Prima Guerra mondiale e l’avvento del fascismo, le frazioni più utopiste d’Europa – la Germania di Wilhelm Reich e la Francia dei surrealisti – era tornato ad abbracciare la realtà stessa: Marx e Freud illuminati dalla medesima incandescenza. Ma è accaduto proprio questo? È stata davvero una ripresa del progetto utopico degli anni Trenta, sul piano, stavolta, della pratica storica? O c’è stato, al contrario, un movimento verso delle lotte politiche che non si conformavano più al modello prescritto dalla tradizione marxista, verso una esperienza e una tecnologia del desiderio che non erano più freudiani? Sono stati branditi di certo i vecchi stendardi, ma la lotta si è spostata e ha conquistato nuove zone.
L’Anti-Edipo mostra, anzitutto, l’estensione della superficie coperta. Ma fa molto di più. Non si perde nel denigrare i vecchi idoli, pur giocando molto con Freud. E, soprattutto, ci incita ad andare più lontano.
Sarebbe un errore leggere L’Anti-Edipo come il nuovo quadro di riferimento teorico (avrete sentito parlare di questa famosa teoria che ci è stata così spesso annunciata: quella che va ad inglobare tutto, che è assolutamente totalizzante e rassicurante, quella, ci assicurano, della quale «avevamo tanto bisogno» in quest’epoca di dispersione e di specializzazione in cui la «speranza» viene meno). Non bisogna cercare una «filosofia» in questa straordinaria profusione di nozioni nuove e di concetti sorprendenti: L’Anti-Edipo non è un pacchiano Hegel. Io credo che il modo migliore per leggere L’Anti-Edipo sia di avvicinarlo come un’«arte», nel senso in cui si parla, ad esempio, di arte erotica. Fondandosi su nozioni in apparenza astratte come molteplicità, flussi, dispositivi e concatenamenti, l’analisi del rapporto del desiderio con la realtà e con la «macchina» capitalista apporta delle risposte a questioni concrete. Questioni che si preoccupano meno del perché delle cose che del loro come. Come s’introduce il desiderio nel pensiero, nel discorso, nell’azione? In che modo il discorso può e deve dispiegare le sue forze nella sfera della politica e intensificarsi nel processo di rovesciamento dell’ordine stabilito? Ars erotica, ars teoretica, ars politica.
Da cui i tre avversari coi quali L’Anti-Edipo si confronta. Tre avversari che non hanno la stessa forza, che rappresentano gradi diversi di minaccia e che questo libro combatte con mezzi differenti:
1) Gli asceti politici, i militanti cupi, i terroristi della teoria, coloro che vorrebbero preservare l’ordine puro della politica e del discorso politico. I burocrati della rivoluzione e i funzionari della Verità.
2) I tecnici mediocri del desiderio, gli psicanalisti e i semiologi che registrano ogni segno e ogni sintomo, e che vorrebbero ridurre l’organizzazione molteplice del desiderio alla legge binaria di struttura e mancanza.
3) Infine, il nemico maggiore, l’avversario strategico: il fascismo (laddove l’opposizione de L’Anti-Edipo agli altri suoi nemici costituisce semmai un impegno tattico). E non soltanto il fascismo storico di Hitler e Mussolini, che ha saputo mobilitare e impiegare così bene il desiderio delle masse, ma anche il fascismo che è in noi, che possiede i nostri spiriti e le nostre condotte quotidiane, il fascismo che ci fa amare il potere, desiderare proprio la cosa che ci domina e ci sfrutta.
Direi che L’Anti-Edipo (possano i suoi autori perdonarmi) è un libro di etica, il primo libro di etica che sia stato scritto in Francia da molto tempo a questa parte (forse è questa la ragione per cui il suo successo non si è limitato ad un «lettorato» particolare: essere anti-edipici è diventato uno stile di vita, un modo di pensiero e di vita). Come fare per non diventare fascisti anche (e soprattutto) quando ci si crede dei militanti rivoluzionari? Come liberare i nostri discorsi e i nostri atti, i nostri cuori e i nostri desideri dal fascismo? Come lavar via il fascismo che si è incrostato nel nostro comportamento? I moralisti cristiani cercavano le tracce della carne installata tra le pieghe dell’anima. Deleuze e Guattari, da parte loro, braccano le più infime tracce di fascismo presenti nel corpo.
Rendendo un modesto omaggio a San Francesco di Sales, si potrebbe dire che L’Anti-Edipo è un’Introduzione alla vita non-fascista.
Quest’arte di vivere, contraria a tutte le forme di fascismo, siano esse interiorizzate o prossime all’essere, si accompagna ad un certo numero di principî essenziali, che io, se dovessi fare di questo grande libro un manuale o una guida per la vita quotidiana, riassumerei come segue:
• liberate l’azione politica da ogni forma di paranoia unitaria e totalizzante;
• fate crescere l’azione, il pensiero e i desideri per proliferazione, giustapposizione e disgiunzione, anziché per suddivisione e gerarchizzazione piramidale;
• affrancatevi dalle vecchie categorie del Negativo (la legge, il limite, la castrazione, la mancanza, la lacuna), che il pensiero occidentale ha così a lungo sacralizzato come forma di potere e modo di accesso alla realtà. Preferite ciò che è positivo e multiplo, la differenza all’uniforme, il flusso alle unità, i dispositivi mobili ai sistemi. Tenete presente che ciò che è produttivo non è sedentario, ma nomade;
• non crediate che si debba esser tristi per essere dei militanti, anche quando la cosa che si combatte è abominevole. È ciò che lega il desiderio alla realtà (e non la sua fuga nelle forme della rappresentazione) a possedere una forza rivoluzionaria;
• non utilizzate il pensiero per dare un valore di verità ad una pratica politica, né l’azione politica per discreditare un pensiero come se fosse una pura speculazione. Utilizzate la pratica politica come un intensificatore del pensiero, e l’analisi come un moltiplicatore delle forme e dei domini d’intervento dell’azione politica;
• non pretendiate dalla politica che ristabilisca i «diritti» dell’individuo per come li ha definiti la filosofia. L’individuo è il prodotto del potere. Occorre invece «disindividualizzare» attraverso la moltiplicazione e la dislocazione dei diversi dispositivi. Il gruppo non deve essere il legame organico che unisce gli individui gerarchizzati, ma un costante generatore di «disindividualizzazione»;
• non innamoratevi del potere.
Si potrebbe addirittura affermare che Deleuze e Guattari amano così poco il potere da mettere in atto il tentativo di neutralizzare gli effetti dei poteri legati al loro stesso discorso. Da qui i giochi e le trappole che si trovano un po’ dappertutto nel libro, e che rendono la sua traduzione un vero tour de force. Ma non si tratta delle trappole familiari della retorica, che cercano di sedurre il lettore senza che egli sia cosciente della manipolazione, finendo per guadagnarlo alla causa degli autori contro la sua volontà. Le trappole de L’Anti-Edipo sono quelle dell’humour: altrettanti inviti a lasciarsi espellere, a prendere congedo dal testo sbattendo la porta. Il libro induce spesso a pensare che si tratti solo di giochi e humour laddove succede invece qualcosa d’essenziale, qualcosa che è della più grande serietà: la caccia a tutte le forme di fascismo, da quelle, colossali, che ci circondano e ci schiacciano, fino alle minute forme che fanno l’amara tirannia delle nostre vite quotidiane.