Silvia ha 28 anni, una laurea in Lingue slave con focus su politica, economia e relazioni internazionali e vive a Brno da sei anni circa, dove ora frequenta la magistrale in Studi ambientali alla Facoltà di scienze sociali della Masarykova Univerzita. Nella sua vita è stata attiva in diverse ONG, in collettivi informali e movimenti di protesta. Parla fluentemente ceco. In Italia è stata attiva nel collettivo trevigiano ZTL Wake Up. In questa intervista – a cura di Andrea Berta – prova a dare un quadro complessivo su come la Repubblica Ceca stia affrontando l’emergenza sanitaria.
Come si è evoluta la situazione in Repubblica Ceca?
Qui la situazione si è evoluta molto velocemente, non c’è stato molto tempo per abituarcisi, ad esempio in università di è visto un ca,bio molto repentino dato che le lezioni sono state cancellate addirittura prima che il governo adottasse misure restrittive sia per le altre istituzioni scolastiche, sia in generale. È stata una manovra decisa internamente da diversi atenei tra cui la Karlova Univerzita di Praga e altre due università, una qui a Brno e l’altra a Praga, entrambe incentrate su agraria, scienze forestali e simili.
In realtà il tema aveva cominciato a farsi molto pressante sui media già da fine gennaio, nella seconda metà di febbraio l’università ha cominciato a mettere in quarantena chiunque tornasse dai Paesi con contagi. Ma pareva che nessuno credesse che sarebbe arrivata anche qui. A inizio marzo ha cominciato a diffondersi il panico, con una nemmeno troppo velata “caccia all’untore”, ad esempio – come è successo ad una mia amica – il solo fatto di essere italiana costituiva motivo di “rischio contagio” e per questo ha dovuto smettere di lavorare.
Verso la metà di marzo il governo, nella settimana tra il 9 e il 15, sono iniziate le restrizioni, una dopo l’altra in un lasso di tempo abbastanza ridotto. Qualche esempio? Prima ha limitato il numero di persone in compresenza a eventi pubblici a massimo 99 partecipanti, due giorni dopo a 30 , poco dopo è arrivato l’isolamento generale. Prima ha limitato gli orari di certe attività commerciali tra le 8 e le 20 e poi le ha chiuse del tutto, dopo un paio di giorni. Insomma, tra il 12 e il 16 ci siamo ritrovati con solo le attività strettamente necessarie aperte, spostamenti limitati al luogo di lavoro o alle visite mediche. Il 18 è entrato in vigore l’obbligo generale di portare una qualsiasi protezione sul viso, mascherine, sciarpe, fazzoletti e simili. Un paio di giorni dopo è partito il divieto di stare in più di due persone per strada o altri luoghi pubblici all’aperto, che è tuttora valido. Nella settimana tra il 16 e il 22 marzo invece, quindi poco dopo l’introduzione delle prime restrizioni, il governo ha anche stabilito un orario (cambiato un paio di volte, ora fisso tra le 8 e le 10 di mattina) in cui possono andare a fare la spesa solo gli anziani.
Inutile dire che le modalità con cui le restrizioni sono state introdotte hanno visto un ruolo dell’Esecutivo visibilmente smoderato, che interpella il Parlamento con tempistiche a dir poco ristrette.
Le restrizioni hanno ovviamente influenzato l’economia del paese, se da una parte c’è un ritardo dello Stato nel ridistribuire i compensi finanziari promessi per i programmi di riforestazione – essendo la Repubblica Ceca uno dei maggiori produttori di carbone -, dall’altra all’ombra della crisi in corso, i giganti del carbone e lo Stato stanno portando avanti accordi che possono peggiorare le condizioni climatiche, per esempio concessioni di estrazione alle grandi aziende di servizi energetici.
Come stanno reagendo la cittadinanza al distanziamento sociale?
Se da un lato si può dire che in Cechia ci sia un approccio relativamente responsabile su queste cose, dall’altro i dati dicono che almeno metà di coloro che erano in stretta quarantena per svariati motivi, l’hanno violata almeno una volta.
Anche qui si ha cominciato ad aleggiare lo spirito della delazione, chi usciva a correre senza mascherina è stato molto spesso denunciato. Finché qualche giorno fa è stata concessa l’eccezione di non portarla per chi va a correre da solo.
Non abbiamo restrizioni estreme come in Italia, i 200 metri da casa, l’autocertificazione, i parchi chiusi; ma alcuni obblighi ci sono e secondo me, anche qui c’è un’esasperazione della responsabilità individuale e si pone un forte accento su un certo tipo di interazioni sociali, quando invece ci sono contesti (per es. le fabbriche) in cui il contagio è un rischio ben più alto e viene quotidianamente sottovalutato.
Per dirne una, di recente è girato un video di poliziotti che hanno picchiato dei ragazzi. Stavano bevendo birre in gruppetto, al parco, vicino a un laghetto. I poliziotti prima hanno tirato un pugno a un ragazzo, poi una sberla a una ragazza che aveva protestato in reazione al pugno. E la polizia è stata chiamata da dei civili.
E quali sono i numeri del contagio attuali?
Al 17 aprile la Repubblica Ceca ha 170 morti per coronavirus, 979 curati, 6499 contagiati e 154307 testati, su una popolazione di circa 10 milioni e mezzo di persone.
Così come in Italia, anche qui le protezioni in dotazione al personale sanitario non sono abbastanza e al 13 di aprile il numero dei contagiati nel settore corrispondeva al 9,6% sul totale dei contagi nel Paese, cioè 584 su 6059, tra dottori, infermieri, tecnici di laboratorio e altri.
Com’è intervenuto lo Stato per supportare l’economia?
I provvedimenti da parte del governo per l’economia sono arrivati intorno al 25 marzo, quindi quasi due settimane dopo l’introduzione delle restrizioni. In un essay scritto di recente per un corso all’università, un mio collega afferma: «later came serious talks of social and economic support schemes for the private economy and other social stabilisers mostly understood as pumping money», ossia che i provvedimenti sono indirizzati a pompare soldi nel sistema economico per tenerlo in piedi, ma non riguardano direttamente il lavoro dipendente o altre fasce della popolazione impiegate, in nero o meno, nei settori più colpiti dalle restrizioni.
I lavoratori con partita IVA possono richiedere un bonus monetario se rispondono a certi requisiti (tra cui quello di avere delle entrate annue superiori ad una certa cifra) e a tutti è stato rimandato l’obbligo di pagare i contributi per l’assistenza sociale e sanitaria per i prossimi tre mesi.
Inoltre, è stata facilitata l’erogazione di prestiti alle aziende da parte delle banche attraverso il pagamento degli interessi di prestito da parte dello Stato, prestiti che a detta del governo dovevano essere di aiuto a tutti, anche piccole e medie imprese. In realtà non solo il programma è stato bloccato a due ore dalla partenza perché le richieste avevano già superato il limite di 1,5 miliardi riservati a quegli interessi, con un totale di circa 700 richieste, ma sono anche stati concessi dei trattamenti preferenziali per le aziende di maggiore portata, che con le banche avevano rapporti già da prima. D’altronde non c’era da aspettarsi nulla di diverso, alle condizioni poste dallo Stato. La Equa bank ha anche abbassato la soglia minima sotto la quale solitamente non concede prestiti, per andare incontro ai piccoli imprenditori, ma resta un piccolo fattore di influenza di fronte agli altri. Le richieste di prestiti sono state esaurite così in fretta che, chissà perché, alcune banche non hanno neanche “fatto in tempo” a pubblicare i formulari di richiesta sulle loro pagine web.
Le prossime richieste, per il mese di maggio, si dovrebbero poter consegnare nei prossimi giorni, ancora non si sa quando. E come scrive Martin Dutkiewič, l’autore di un articolo sul caso e proprietario di una caffetteria a Brno, “Non mi illudo che qualcuno dei piccoli imprenditori o lavoratori autonomi riesca con successo nel suo tentativo di indebitarsi. “
Le esenzioni fiscali previste dal cosiddetto programma Antivirus riguardano unicamente gli imprenditori e i possessori di immobili. È stato concesso un blocco del pagamento degli affitti per le attività commerciali per i prossimi tre mesi, ma solo per chi affitta spazi di proprietà pubblica.
Il sogno di Babiš di gestire lo Stato come un‘azienda si sta avverando, in nome di un’economia dei più forti, a discapito dei più deboli, e con un corpo di funzionari statali scelto in base alla lealtà piuttosto che alla competenza.