Prosegue la discesa dei dati relativi al Coronavirus in Italia: 1075 casi in più di contagio, 1531 malati in meno. Purtroppo ancora 236 decessi. Certo, ci si mantiene ben lontani dalle cifre di qualche settimana fa, ma il totale delle persone che hanno perso contro il virus segna 29.315.
Nel frattempo è ormai assodato il piano del Governo, affidato agli esperti del Comitato tecnico scientifico, che consiste in una riapertura scaglionata nel tempo per valutare l’andamento del virus. Aspettare circa quattordici giorni, soglia limite individuata per lo sviluppo dei sintomi, osservando un’eventuale sviluppo di nuovi focolai e poi agire di conseguenza.
Quali dovrebbero essere i prossimi passi da compiere? Il professor Massimo Andreoni, Direttore Scientifico della Società Italiana Malattie Infettive, ha risposto alle domande di Stefano Molinari e Luigia Luciani. Ecco l’intervento di Massimo Andreoni a ‘Lavori in Corso’.
Prospettive epidemiologiche
“Probabilmente dovremo aspettare un mese per capire se tutto stia procedendo per il meglio. Certo, un’eventuale ripartenza dell’epidemia sarebbe un brutto colpo anche psicologicamente. Dover ritornare indietro sarebbe complicato da far accettare. Dobbiamo procedere a piccoli passi controllando quello che succede.
Ormai tutta la popolazione ha imparato a conoscere il fattore R0, cioè la capacità di un singolo caso di riprodurre altri casi. Il suo valore deve essere sotto 1 per controllare l’epidemia. Io lavoro al Policlino Tor Vergata e sto toccando con mano che i pazienti in terapia intensiva sono sempre di meno. Un segnale fortissimo, abbiamo messo in atto misure importanti.
Su questi trend è possibile ragionare per predire quello che sta accadendo. Tutti gli indicatori sulla mortalità, sui pazienti gravi, sulle dimissioni, sui guariti sono favorevoli. Vederli ci permette di capire quello che potrebbe accadere”.
Mancanza di organizzazione
“L’Italia ha una buona sanità pubblica, ma ha una mancanza di capacità di tenere sotto controllo quello che accade. Non abbiamo un servizio efficace per riconoscere la reale numerosità dei malati, la comparsa di nuove malattie. Questo è un po’ lontano dalla nostra mentalità.
E’ un problema di organizzazione, cioè una buona sanità deve avere un sistema informatizzato sufficientemente rapido. Deve essere semplice inserire il dato di un caso di polmonite non riconosciuta in un paesino della Lombardia. Un sistema informatizzato ci deve dire che nel giro di una settimana ci sono state cento polmoniti non riconosciute in un’area molto ristretta. Questo dato banale in America, che ha una cattiva sanità pubblica, farebbe scattare un’allarme. E’soltanto capacità organizzativa. In questo siamo meno bravi”.
Non sarà difficile ottenere un vaccino
“Il virus dell’epatite C già così come si presenta a noi è un virus molto variegato. L’Hiv addirittura all’interno della stessa persona cambia pelle giornalmente. Sono due vaccini complicatissimi. Il Coronavirus è un virus che tende a mutare su aspetti secondari. Non cambia pelle. Per costruire un vaccino sul Coronavirus ritengo che non sia una cosa complicatissima. Anzi, io sono molto confidente sull’idea che avremo un vaccino in tempi abbastanza brevi, come scoperta. Poi sull’utilizzo ci vuole un po’ più di tempo. Credo che sia un virus per il quale fare un vaccino non sia complicatissimo”.
Il ruolo della politica
“In questo periodo la politica è stata spesso malconsigliata. E’ vero che è dovere di un politico scegliere i giusti consiglieri. Certamente sentire grandi discussioni tra i politici in un momento del genere, non mi piace da cittadino. Da medico dico che la politica deve creare strutture per poter fare diagnosi rapida e immediata sul territorio. Fatto questo, si possono riaprire le spiagge e fare tante altre cose. Anche il tampone va fatto bene. Fatto al casello autostradale in quel modo serve soltanto a dire di averlo fatto. Se il tampone viene fatto male sono soldi sprecati.
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