di Marco Bersani
Poteva mancare l’impero Benetton nell’assalto alla diligenza (le nostre risorse collettive)?
Certo che no e, infatti, subito a ruota di Fca, ecco spuntare, puntuale come un orologio svizzero, la richiesta del gruppo Atlantia (che controlla Autostrade per l’Italia) di 1,8 miliardi di finanziamenti a totale garanzia dello Stato.
La richiesta ha dell’incredibile perché parliamo di una società, contro la quale, dopo il disastro del crollo del ponte Morandi a Genova, è stata approvata una norma che stabilisce la revoca della concessione (art.35 Legge n.8/2020).
Tra l’altro, essendo il contenzioso ancora aperto, non è secondario ricordare come, ad oggi, la ricostruzione del Ponte Morandi sia stata interamente pagata dallo Stato e neppure un euro sia stato versato dal privato, il quale ha però chiesto, in caso di ritiro della concessione, 20 miliardi di indennizzo.
Nel bel mezzo di questa relazione di amorosi sensi, ecco la richiesta di fondi pubblici, motivata dalla situazione debitoria di Autostrade per l’Italia, attribuibile, secondo la holding, al blocco determinato della pandemia e alla conseguente riduzione delle entrate.
Peccato che, dentro questa arguta analisi economica, nessuna menzione sia riservata al fatto che negli ultimi due decenni siano stati drenati da Autostrade per l’Italia oltre 10 miliardi di dividendi, che, invece di essere investiti nelle infrastrutture, sono stati utilizzati per uno shopping internazionale, con cui i Benetton hanno incamerato gli aeroporti di Roma e di Nizza, il 15,5% dell’Eurotunnel e il 50% delle autostrade spagnole (Albertis).
La holding controllata da Benetton ha anche chiesto a Cassa Depositi e Prestiti di riattivare una linea di credito aggiuntiva stipulata nel 2017 per 1,3 miliardi e sinora mai utilizzata (guarda caso, dovevano servire a potenziare investimenti sulla rete autostradale, in particolare relativi agli interventi ambientali e alla sicurezza).
Che, nel frattempo, i mancati investimenti abbiano provocato il crimine di Ponte Morandi e abbiano reso il passaggio sopra i viadotti di gran parte della rete autostradale una sorta di roulette russa per autotrasportatori e semplici viaggiatori non ha destato alcuna preoccupazione.
Neanche da parte del Ministero competente, che avrebbe dovuto vigilare ed intervenire.
Ma perché farlo, quando arriva una pandemia che tutti i raggiri nasconde via, e si può tranquillamente addossarle ogni difficoltà insorta per l’imprenditore privato?
Il quale può quindi mettersi diligentemente in fila davanti alle casse pubbliche e intonare col labiale il “Fratelli d’Italia” di Mameli, mentre nelle viscere vibra il “chiagni e fotti”, unico inno dei capitani coraggiosi.
Cosa risponderà il governo a questa accorata richiesta di aiuto?
Non lo sappiamo, ma mentre languono i quattro miliardi necessari a rendere degne le scuole e a permettere a otto milioni di bambini e giovani di recuperare il loro posto nella società e mentre ai Comuni sono negati cinque miliardi per permettere loro di svolgere appieno la funzione pubblica e sociale che gli compete, decine e decine di miliardi sono pronti per adempiere il motto “se sta bene l’impresa, sta bene la società”.
La loro.