L’intervento di Roberto Ciccarelli, giornalista de Il Manifesto e autore – tra gli altri – del libro Forza lavoro. Il lato oscuro della rivoluzione digitale, al webinar “Reddito universale contro la crisi sistemica”.
Cercherò di fare un ragionamento politico pragmatico, calato nella contingenza, cercando di evitare toni da seminario, culturalisti, di riflessione opportuna, ma che merita probabilmente di essere approfondita con maggiore profondità.
La fase due per la rivendicazione del reddito dovrebbe essere l’organizzazione corpo a corpo con la politica, che sta formulando un’estensione della legge sul reddito di cittadinanza, rivendicandone il carattere incondizionato. L’alternativa è una giungla di piccole misure temporali, frammentarie e corporative, o peggio una riforma del reddito di cittadinanza che rischia di vedere l’inasprimento delle politiche attive del lavoro e un ruolo preponderante di settori, come le lobby del terzo settore che stanno spingendo, con indubbia efficacia, sulla definizione del nuovo dispositivo che sarà chiamato “reddito di emergenza”.
La domanda, sia in una chiave di sindacalismo sociale sia sulla politica in quanto tale è: che cosa possiamo fare ora nonostante i pesanti e tragici limiti in cui stiamo vivendo. Potremmo, ad esempio, accordarci perlomeno sulla parola da usare: io proporrei una moratoria linguistica perché ho sentito almeno 5 o 10 definizioni diverse di reddito.
Non è una questione nominalistica, ogni definizione ha un accento diverso che converge sul significato di universalità e incondizionatezza. Non trovare una parola comune significa non iniziare nemmeno il conflitto con il dibattito politico in corso in queste ore, che parla esattamente di reddito. La mia domanda è: si vuole o no fare politica ora, intervenire – con tutti i limiti della situazione – nel dibattito, orientarlo, modificarlo?
Io credo che la rivendicazione di “reddito di quarantena” ha già vinto, perché sarà istituito un “reddito di emergenza”, tutto da definire nell’ordine della platea, del significato, del meccanismo amministrativo, dell’inclusione e, soprattutto, dell’esclusione.
È chiaro che non basta. Ora bisogna rilanciare su un reddito che possiamo chiamare come troviamo più opportuno, ma che abbia delle caratteristiche di base che abbiano l’incondizionatezza, in prospettiva, e il fatto di essere un reddito minimo garantito, nell’immediato. Nello specifico si potrebbe formulare un’ipotesi di reddito, in coerenza con la stessa legge esistente, a 780 euro a persona (il massimale previsto dalla legge), stabile e strutturale, equiparato al bonus sulle partite IVA, che sarà innalzato a 800 euro dal “decreto aprile”. Potrebbe crescere questo reddito, a partire da questa cifra di base, seguendo un duplice criterio: composizione del nucleo familiare (ciascuno prende 780 euro), senza requisiti di accesso patrimoniale, residenziale, fiscale, e indipendente dall’importo dell’attività lavorativa, cessata o in corso.
Questo reddito di base, o come lo vogliamo chiamare, non può essere inferiore a 780 euro e questa condizione dovrebbe permettere di mantenere lo stesso salario in caso di disoccupazione, diversamente da quanto accade oggi per le casse integrazione. Va ricordato che la cassa integrazione presenta una perdita secca di salario a favore delle imprese e quindi bisognerebbe rivendicare quantomeno un salario pieno.
Altro discorso, per rendere ancora più generale la rivendicazione di reddito, sono i pensionati, esclusi ai contributi statali straordinari voluti dal governo. Questa platea va considerata a pieno diritto come tutte le altre categorie sociali destinatarie di queste misure, soprattutto perché, come è noto, la maggioranza del pensionati italiani prende meno di 1.000 euro e una quota cospicua di pensionati prende anche al di sotto dei 500 euro. Il governo precedente, proprio per rispondere a questa esigenza, ha coniato il nuovo termine di “pensione di cittadinanza”, che è una quota parte del provvedimento generale sul cosiddetto “reddito di cittadinanza”.
Altra questione decisiva è l’esclusione dall’attuale reddito di cittadinanza di tutti i cittadini extra-comunitari residenti in Italia da meno di 10 anni. Sarebbe molto importante e utile, così come stanno già facendo altre associazioni come l’Alleanza contro la Povertà, chiedere l’eliminazione immediata di questo bando. Senz’altro va chiesto, così come con ogni probabilità sarà ottenuto dal provvedimento sul “reddito di emergenza”, la cancellazione di tutti i vincoli e le condizionalità previste dal pericolosissimo sistema di workfare, ancora non attivato, che prevede un lavoro obbligatorio fino a 16 ore a settimana, in mobilità anche su tutto il territorio nazionale. E possiamo immaginare cosa possa comportare un meccanismo come questo, se attivato, in un Paese dove è in atto la più grave recessione dal secondo dopoguerra.
Per accedere a questo sistema si potrebbe prevedere un tetto pari almeno alla somma tra poveri relativi e assoluti, pari a 14 milioni di persone, numero che potrebbe aumentare anche di un terzo da qui a un anno. Questo tetto potrebbe costituire un obiettivo minimale anche per la riforma degli ammortizzatori sociali esistenti in un’unica misura universale annunciata anche dalla ministra del lavoro Nunzia Catalfo; su questo obiettivo si è espressa giorni fa anche la Cgil. In questo obiettivo rientra anche la rivendicazione sul salario minimo orario, che è necessario per evitare un dumping e riequilibrare l’intero sistema. Proposte di legge sul salario minimo orario ricordo che sono accantonate in Parlamento e quindi sarebbe interessante tornare a rivendicare, anche se su basi diverse, un lavoro parlamentare che è stato perlomeno istruito nei mesi scorsi.
Ho trovato molto interessanti anche alcune suggestioni riguardanti il finanziamento di questo tipo di misura, all’interno di una più generale riforma del welfare, sia a livello nazionale che sovranazionale. A livello europeo è stato istituito un pacchetto di misure del tutto insufficienti, ma che sono comunque positive perché possono essere l’inizio di un percorso più ampio che, sia pur tardivamente, verrà sviluppato nel corso dei prossimi anni, man mano che la crisi nei vari Paesi diventerà più grave.
Posso brevemente citare che cosa negli ultimi è successo 20 – 25 anni a livello di Unione Europea e di Parlamento Europeo sulla questione del reddito minimo e di base, che son categorie molto ricorrenti e oggetto di importanti orientamenti e decisioni dello stesso Parlamento Europeo a partire dal 1992 per finire nel 2017. È proprio in virtù di queste importanti decisioni, che hanno poi dato vita negli anni a grandi campagne di petizioni in parecchi paesi europei, che si può ricominciare a pensare una dimensione sovranazionale effettiva e reale della rivendicazione di un reddito di base incondizionato, proprio perché esiste un’opinione pubblica già sensibilizzata e protagonista di queste battaglie. È un’opinione pubblica molto sensibile all’intreccio e all’intersezione di una rivendicazione sul reddito con la questione ecologica e con la trasformazione della produzione, anche nei termini di una critica del capitalismo. Esiste anche un grande orizzonte da questo punto di vista sia di movimenti che di sindacati che hanno partecipato e sostenuto queste tipo di campagne in questo lungo lasso di tempo.
C’è poi anche la questione fiscale, molto spesso nominata nel vasto dibattito sul finanziamento di un reddito di base. È stata ad esempio già citata la grande questione delle multinazionali, del web, delle piattaforme digitali e del capitalismo digitale, che anche in virtù di questa crisi sta conoscendo un’esplosione di profitti sia finanziari che pubblicitari. Non è un mistero: bisogna tornare a collegare la questione del finanziamento di un reddito di base incondizionato alla tassazione delle piattaforme digitali. Anche su questo la discussione a livello europeo è molto avanzata, ma non si è ancora effettivamente arrivati ad una definizione precisa di una misura fiscale possibile, anche perché intervengono i governi e quando lo fanno tutto diventa molto complicato. Tuttavia potrebbe essere un punto qualificante di una piattaforma politica non solo nazionale, ma sovranazionale, che abbia un progetto politico e culturale da proporre, alternativo al dibattito troppo ristretto sull’emergenza e su tutte le priorità di sostenibilità del sistema messo in grave crisi dall’epidemia.
Da questo punto di vista mi limito a citare due ottime e molto interessanti proposte, avanzate da Philippe Van Parijs da un lato e da ultimo da Yanis Varoufakis: l’istituzione di un Euro-dividendo, ovvero un fondo dove versare sia tutte le multe derivanti da una rigorosa politica fiscale condotta fino ad oggi dalla Commissione Europea sull’abuso di posizione dominante sul mercato da parte delle grandi piattaforme, da Google a Facebook a Apple ecc… E proporre inoltre che questo sia un fondo sovranazionale, dove versare gli importi di una web-tax sovranazionale, e coordinato a quelli nazionali se e quando verranno istituiti. In questo fondo potrebbero confluire anche altre forme di tassazione europea di queste multinazionali, e insieme pensare di destinare il totale di questa somma all’erogazione di un minimo vitale per tutti i residenti in Europa, che sarebbe aggiuntivo alle risorse esistenti e future che possono andare in ogni caso a finanziare su scala nazionale un reddito di base perlomeno concepito come reddito minimo garantito.
Tutto questo ragionamento per invitare, per quello che è possibile e alla luce anche della condizione materiale in cui tutti siamo, a rinvigorire una campagna culturale, social e web, perché ha già funzionato. Negli ultimi tre mesi la campagna del reddito di quarantena ha orientato l’opinione pubblica e i decisori politici in questo paese, i quali stanno naturalmente provando a declinare le interessanti intenzioni della campagna in maniera parziale, categoriale e soprattutto emergenziale. Ma ciò significa che in questa situazione, gravemente coatta e difficile, è possibile intervenire nel dibattito politico nazionale. Si potrebbe concretamente, laicamente e pluristicamente lavorare tutti insieme a un’idea di piattaforma più ampia, porosa, aperta possibile. Da considerare non come mera sommatoria delle identità esistenti, ma come una piattaforma capace di intervenire attivamente nel dibattito politico reale su questioni urgentissime, che soprattutto non finiranno da qui a giugno, ma che costituiranno la vera questione sociale da qui ai prossimi 3 anni. È quindi molto importante anche in questa fase difficile immaginare sia culturalmente che anche con campagne web e sociali, una fase di rinnovamento, accumulazione e rigenerazione per andare oltre sé stessi, perché tutto questo è già avvenuto nel caso della campagna per il reddito di quarantena.