Da quando la nostra vita è stata stravolta dal virus ci siamo ritrovate a fare i conti con le conseguenze di un sistema predatorio e scellerato, che causa sfruttamento, disuguaglianze e miseria. Come studentesse e studenti universitari lottiamo ogni giorno per costruire un’università libera, accessibile a tutte e tutti, di massa. La pandemia ha sconvolto la nostra quotidianità ed ha inevitabilmente intaccato le nostre possibilità economiche e sociali, senza parlare delle molte conseguenze psicologiche. Non che prima andasse tutto bene: viviamo in una città totalmente piegata alle perverse logiche del profitto, che la vorrebbero fagocitata dalle grandi navi e dal turismo di massa con il benestare di tutte quelle istituzioni, come l’Università, che ne dovrebbero invece preservare il tessuto sociale e culturale.
L’Università dove studiamo, Ca’ Foscari, è attrice fondamentale nelle dinamiche cittadine, e da sempre agisce in modo totalmente funzionale alle politiche neoliberiste dell’amministrazione veneziana, così come a quelle ministeriali. La decisione del Cda di stanziare quattro milioni e mezzo divisi (fino a diventare scarsi, buoni una tantum) tra residenzialità, trasporti, supporti telematici e parziale copertura delle borse di studio, ci sembra un goffo tentativo di recupero dopo l’inadeguatezza dimostrata nel far fronte alle emergenze che abbiamo vissuto quest’anno. E’ evidente che tale finanziamento non sarà in grado di sopperire al vero dramma che caratterizza il nostro sistema universitario: Ca’ Foscari è l’esempio (meno) virtuoso di quello che anni di tagli, privatizzazioni e riforme errate hanno generato.
Quello che viene fatto passare come un aiuto straordinario è in realtà la realizzazione – nemmeno sufficiente – di ciò che dovrebbe essere il Diritto allo Studio; insufficiente perché 600 euro di contributo affitto una tantum, senza pensare di investire seriamente in politiche a lungo termine di residenzialità studentesca (e non accordi ridicoli con proprietari di b&b), non servono a niente in una città in cui anche un posto letto in residenza costa 500 euro al mese. Insufficiente, perché ha poco senso fare l’abbonamento del treno se la maggior parte delle lezioni continueranno ad essere erogate per via telematica. Si lanciano crowdfunding “perché nessuno rimanga escluso” e poi si afferma che i fondi destinati al potenziamento della didattica a distanza servirà ad aiutare chi, “per difficoltà (anche) economiche” non potrà accedere agli spazi universitari.
Su questo, noi abbiamo una posizione ben chiara: l’ateneo, così come il ministero, dovrebbero impegnare i loro fondi per rendere possibile il rientro nelle aule e nei luoghi del sapere. In Italia ormai sta riaprendo ogni cosa: confini regionali, uffici, bar, ristoranti, spiagge, hotel, discoteche; le fabbriche non hanno mai chiuso. Se può essere garantita la produzione industriale, non si capisce per quale motivo debbano rimanere chiusi i luoghi della cultura. Non ci rassegneremo mai a un’università fatta di lezioni su Google ed esami telematici: a settembre vogliamo tornare a vivere i nostri spazi e pretendiamo che i soldi servano soprattutto a questo scopo.
Ma anche la mancata presa di posizione sul tema del ritorno nelle aule, in fin dei conti, rivela quanto questo stanziamento sia per lo più fumo negli occhi: i soldi non sono stati stanziati nei modi e nei tempi richiesti a più voce dagli studenti, che pretendevano ad esempio una misura sulla tassazione, non certo un misero buono per una connessione internet. Questi 4,5 milioni sono l’ennesima dimostrazione che serve, ora più che mai, un’università migliore, diversa; questi soldi mettono in evidenza che le pezze per coprire qualche buco non bastano più, che fino a quando la struttura dell’università rimarrà quella attuale non basteranno tutti i milioni del mondo a renderla migliore. Per noi questi soldi sono la conferma che bisogna tornare a parlare di Università e saperi con un più ampio respiro, con lo sguardo verso un orizzonte più lontano possibile.
In generale, non possiamo pensare di uscire da questa crisi senza un cambiamento radicale dello stato di cose presenti. I saperi, le/i giovani, le studentesse e gli studenti, le precarie e i precari della cultura, le ricercatrici e i ricercatori, il mondo della formazione, non possono che essere centrali in questa spinta verso il cambiamento. Dobbiamo tornare ad attraversare gli spazi del sapere, che necessariamente devono essere rivoluzionati. Proprio perché crediamo che l’Università sia il punto da cui far ripartire anche la nostra città, nella quale la cultura possa arricchire le persone e non la rendita immobiliare, nella quale le studentesse e gli studenti possano costruirsi un futuro, parteciperemo alla Catena umana lungo le Zattere: “Venezia fu-turistica”! che si svolgerà il 13 giugno lungo le Zattere. Porteremo con noi le mobilitazioni di questi ultimi mesi, l’esperienza di mutualismo avute durante l’acqua granda, la rabbia di un anno accademico stravolto nell’indifferenza del nostro rettore e degli organi maggiori ma anche la voglia ancora più forte di lottare per un’Università da cambiare radicalmente, a prescindere dalla crisi attuale, non solo per superarla. Attraverseremo la catena umana del 13 giugno ben consci del punto programmatico che abbiamo inserito nel manifesto della giornata: Venezia rinasce se scuole, università e ricerca sono fucine di pensiero libero e critico fuori da ogni logica di profitto e speculazione.
Facciamola rinascere tutte e tutti insieme!