Quasi vent’anni fa Marco Revelli, allora più attento alle dinamiche sociali e ai relativi movimenti più che alla politica politicienne, scrisse un saggio che fece clamore e sollevò un acceso dibattito. “Oltre il Novecento” proponeva una disamina impietosa di tutti i lati oscuri e drammatici del cosiddetto “secolo breve”. In particolare sotto accusa era tutto l’impianto ideologico del comunismo di Stato e dei suoi pilastri: “il partito”, “la figura del militante d’acciaio”, l’ideologia e l’esaltazione dell’homo faber. Insomma quella prigione teorica e pratica, in cui erano naufragate tutte le rivoluzioni che si richiamavano all’ortodossia comunista, da quella sovietica, alla cinese fino alla cubana, quest’ultima vista con una simpatia particolare, per aspetti anche “romantici”, in considerazione della mitica figura del nostro amato Che.
Un testo che dopo una disamina lucida e piena di suggestioni, concludeva mettendo al centro del nostro futuro una figura assai poco considerata: il Volontario. “Figura aurorale, dal profilo sfumato, certamente diversa da quella – scolpita nella pietra e nel metallo – del militante novecentesco”. Figura “che fa della propria debolezza un punto di forza”, importante “per il suo carattere integralmente “civile” e altre considerazioni che alla base avevano il distacco dalla “teoria del soggetto”. Devo dire che allora, eravamo agli inizi dell’esperienza del movimento “altermondialista”, il libro di Revelli incontrò il favore di molti, almeno parzialmente, a fronte delle scomuniche dei sacerdoti e delle vestali dell’ortodossia nostrana. Le uniche perplessità si manifestarono proprio in quelle conclusioni che preconizzavano la centralità di una figura quanto mai lontana non solo dal patrimonio storico tradizionale, ma anche da quell’area di movimento che stava costruendo le premesse per una stagione importante, durata alcuni anni, e che, come abbiamo visto successivamente, ha seminato frutti rilevanti in diverse parti del mondo, con l’eccezione dell’Italia dove purtroppo si sono affermate dinamiche di tutt’altro tipo, sia sul piano strettamente politico, che nella società.
Però quella figura del volontario, tradizionalmente figlia del mondo cattolico, ha invaso confini impensabili e contagiato anche i nostri ambiti. E’ una riflessione che vale la pena fare.
Mi sembra che abbiamo assistito a una “volontarizzazione della politica e ad una politicizzazione del volontariato”. Il confine tra “attivista sociale” e “volontario” è venuto in parte a cadere, con una commistione a mio avviso interessante e per molti aspetti feconda. Basta analizzare le esperienze che sono maturate in questa vicenda del Covid. Con le pratiche di mutuo soccorso di vario genere, c’è stato un evidente rimescolamento dei ruoli; lo si è visto anche nella piccola realtà dove vivo, Senigallia, dove si sono affacciati all’impegno tanti giovani o persone senza un particolare bagaglio di esperienze alle spalle, o chi si era allontanato dall’attivismo di vario genere.
Certamente tematiche come quella dell’immigrazione da anni hanno messo in contatto realtà così diverse come, per esempio, i centri sociali e il variegato mondo del volontariato. In questo senso posso citare una vicenda come quella delle Scuole di italiano Penny Wirton, che ho vissuto e sto vivendo in prima persona. Progetto didatticamente molto eretico perché basato sul rapporto estremamente empatico di uno a uno, massimo un volontario e due studenti, apparentemente “impolitico”, e che vede oggi molti degli ottanta poli didattici che compongono le PW, impegnati anche su fronti non strettamente incentrati sull’insegnamento, ma su altre attività sociali legate alle questioni dell’immigrazione.
Tornando al nostro ragionamento va detto che naturalmente rimangono differenze sostanziali tra attivismo sociale e volontariato. Da sempre il primo vuole trasformare le cose con la lotta e l’autorganizzazione dei soggetti sociali, l’altro assiste e aiuta, ma non si prefigge una reale emancipazione collettiva. Per questo è auspicabile che le attività solidali di questi mesi con la distribuzione dei pacchi alimentari e quant’altro debbano gradualmente mutarsi in autorganizzazione sociale, in mobilitazioni – e già le avvisaglie ci sono – per rivendicare reddito, casa e tutto ciò che le istanze sociali in atto stanno chiedendo. Ma ritengo che ormai si sia innescato un meccanismo di rinnovamento assai interessante che se riusciremo a rafforzare e ad allargare potrà rivelarsi prezioso di fronte ai tempi difficili che ci aspettano.
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