La disoccupazione avanza: cosa fare?

A cura del Gruppo Tematico Decrescita & Economia MDF (*)

I dati sull’andamento della nostra economia e dell’occupazione in particolare sono sempre più drammatici: circa 7,5 milioni di lavoratori (pari al 45% di tutti i lavoratori dipendenti) sono stati in cassa integrazione (INPS 21/5); nel primo trimestre c’è stata una diminuzione del 7,5% delle ore lavorate pur in un contesto di sostanziale stabilità delle posizioni lavorative (-0,2% rispetto al trimestre precedente), corrispondente ad una perdita di 1 milione 659mila unità di lavoro “full time equivalent” (ovvero unità standard che ricompattano le ore lavorate in posizioni a tempo pieno) (Fonte: Il Fatto Quotidiano 11/6) . Non stupisce che si preveda una contrazione del PIL tra -9% e -13% (previsioni del Governatore della Banca d’Italia, Giuseppe Visco, nelle “Considerazioni generali” del 29/5);

Allargando lo scenario all’Europa, un report di McKinsey pubblicato a maggio 2020 prevede quasi 60 milioni di nuovi disoccupati, pari al 26% del totale degli attuali (o ex) occupati, molto concentrati in alcune funzioni (servizio clienti e vendite, servizi alimentari e costruzioni) ed industrie (vitto e alloggio, arti ed intrattenimento, commercio all’ingrosso ed al dettaglio, costruzioni e manifattura) (figure 1 e 2).

                   

Figure 1 e 2. Fonte: McKinsey & Company: Mitigating the employment impact of COVID-19

Ma ovviamente i problemi del lavoro non sono nati con il covid-19 ma vengono da molto più lontano. Sempre McKinsey, in una seconda analisi pubblicata a giugno 2020, rileva come i posti di lavoro più a rischio a causa della pandemia si sovrappongono in una certa misura a quelli più a rischio a causa dell’automazione (pari ad altri 51 milioni, 22% del totale): circa 24 milioni di posti di lavoro (pari ad oltre il 10% del totale) sono a rischio sia dal COVID-19 che dall’automazione (figura 3), con una correlazione variabile tra i settori ma con “servizio clienti e vendite” sempre al primo posto (figura 4).

                   

Figure 3 e 4. Fonte: McKinsey & Company: The future of work in Europe

E’ quindi sempre più evidente che l’attuale sistema non è più in grado di reggere quella promessa di “occupazione-reddito-consumo-produzione-occupazione” su cui pure sono basate tutte le nostre società e sistemi sociali, riuscendo al massimo a mantenere un’occupazione sempre più precarizzata e polarizzata, che non riesce più a garantire un’esistenza libera e dignitosa agli stessi lavoratori, nè tanto meno il rispetto degli obiettivi di Parigi per contenere il riscaldamento globale.

E’ altrettanto evidente che tutte le (vecchie?) ricette basate sulla chimera della crescita non siano riuscite negli ultimi anni, né tantomeno potranno riuscire in futuro, a creare né occupazione né benessere. Ci troviamo di fronte ad una vera crisi sistemica, per uscire dalla quale non basteranno né le ricette neoliberiste che ci hanno portato nella crisi, né le vecchie terapie espansionistiche proposte da Keynes quando la popolazione mondiale era meno della metà e i problemi ambientali non esistevano.

Ma cosa fare quindi? Come promuovere una vera giustizia sia ambientale che sociale, specie in un Paese come l’Italia che, ricordiamo, “è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”?

La strada indicata da tutti i movimenti per la decrescita è quella di riorientare la nostra economia e la nostra società verso il benessere e non la crescita e ridurre il nostro insostenibile impatto ambientale. In particolare per quanto riguarda occupazione e lavoro, la nostra proposta, espressa in questo “Documento di Visione”, prevede la completa ridefinizione del significato e perimetro del “lavoro” (riconoscendo il valore anche di tutti quelli oggi non retribuiti), la garanzia di servizi pubblici di base (e di un reddito universale a loro complemento), una profonda revisione del sistema fiscale, la rilocalizzazione dell’economia, la rivalutazione del ruolo delle comunità, il ri-orientamento di tutti gli investimenti pubblici, la revisione del sistema culturale ed educativo ed altre variabili collegate.

Ovviamente questa ridefinizione passa anche per nuove politiche energetiche, una significativa riduzione dei consumi ed un grande cambiamento degli stili di vita e delle scelte dei cittadini (come spiegato nel “Modello di Macroeconomia Ecologica per la Transizione Energetica”), per avvicinarsi ad una società realmente sostenibile e capace di creare benessere per tutti.

Vogliamo concludere con uno studio, pubblicato a Marzo su “Le Scienze”, per quanto riguarda la Carbon Tax. Marilyn Brown e Majid Ahmadi del Georgia Institute of Technology hanno analizzato i dettagli del Green New Deal in un modello economico-energetico della U.S. Energy Information Administration, valutando gli effetti di una tassa da 25 e una da 60 dollari su ogni tonnellata metrica di CO2 emessa dal sistema energetico statunitense. Oltre a tagliare le emissioni, con una tassa di 25 dollari, ci sarebbe un guadagno netto di 4,2 milioni di anni di lavoro nel 2050: i tradizionali lavori di fornitura energia diminuirebbero, ma quelli nel settore dell’efficienza energetica aumenterebbero molto di più.

Con una tassa di 60 dollari ci sarebbe una maggiore perdita di occupazione nei lavori “tradizionali” ma comunque un aumento netto dell’occupazione, sia pur meno forte.

Da sottolineare che il rischio che la tassa comporti un generalizzato aumento delle tariffe, può essere facilmente risolto tutelando le fasce più deboli della popolazione con una opportuna differenziazione delle tariffe, che penalizzi gli eccessivi consumi procapite.

E’ evidente quindi che soluzioni buone per l’ambiente ed utili per “tamponare” le perdite di posti di lavoro nei settori energivori e climalteranti (automotive, industria carnea, ecc…) ci sono e sono facilmente attuabili. Ma occorre (anzi è strettamente necessario) comunque puntare ad una strutturale modifica del sistema sociale, affinché la maggiore occupazione non inneschi una spirale economicamente ed ambientalmente insostenibile, ma serva a creare un benessere reale e duraturo per la comunità. Serve cioè che il circuito mercantile “occupazione – reddito – consumo – produzione – occupazione” riduca la sua importanza e sia affiancato da un altro circuito non mercantile, basato su “lavoro non retribuito per se e per la comunità – produzione di valore d’uso non mercantile – benessere della comunità e dei singoli – lavoro non retribuito per se e per la comunità”.

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(*) Gruppo Tematico Decrescita ed Economia MDF

Il Gruppo Tematico è nato nel giugno 2015 allo scopo di affrontare il rapporto tra Decrescita ed Economia in modo sistematico, sia a livello microeconomico (proposte economiche in ambiti specifici) che a livello macroeconomico (definizione dei parametri che possono caratterizzare uno scenario economico con un impatto ecologico sostenibile).

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