Cile – La svolta paramilitare di Piñera?

Nonostante la pandemia stia aggredendo il Cile in maniera preoccupante, non si ferma la lotta politica iniziata lo scorso ottobre con la sollevazione popolare per l’aumento del biglietto della metro. «No son 30 pesos, son 30 años» e «No es el 10% vamos por todos» sono gli slogan che raccontano meglio di ogni altra cosa la situazione nel paese: il popolo cileno è stanco di trent’anni di neoliberismo e non si accontenta della vittoria di singole, seppur importanti, battaglie.

Su questo punto, è bene chiarire una cosa: l’approvazione di tale legge è avvenuta grazie alla grandissima pressione popolare di questi mesi di pandemia che ha costretto la maggioranza del parlamento, anche per calcoli politici, a decidere per l’approvazione. Di certo, come già sottolineato, questa è solo la fine di una battaglia e non della “guerra”, un passaggio importante ma di certo non conclusivo di un percorso rivoluzionario che ora punta al 25 ottobre (plebiscito per la nuova Costituzione) come ulteriore passaggio, anche questo non come punto di arrivo, per mettere la parola fine a 30 anni di neoliberismo.

Così, a seguito della vittoria popolare per l’approvazione della legge sul ritiro del 10% dei fondi pensione, a livello popolare il campo di battaglia non è stato abbandonato, tutt’altro. Troppe le questioni ancora aperte, troppe le cose irrisolte (per esempio le numerosissime violazioni di diritti umani perpetuate in questi mesi dai carabineros tutt’ora impunite), troppo insopportabile un governo che ha utilizzato la pandemia per inasprire le leggi contro i diritti civile e rendere economicamente impossibile la vita a milioni di cittadini cileni.

Se a livello popolare l’attenzione e la tensione sono ancora altissime, a livello istituzionale il governo di Piñera non ha certo perso tempo dopo aver perso la battaglia sui fondi pensione. Pochi giorni dopo è avvenuto il quinto rimpasto di governo, con il quale Piñera ha cambiato addirittura cinque ministri, tra cui il ministero dell’Interno passato a Victor Perez.

Il nuovo ministro è un ex collaboratore pinochetista, nominato alcalde di Los Angeles (capitale del Bío Bío, regione al centro-sud) durante gli anni della dittatura. La sua figura recentemente è stata al centro di polemiche perché, tra le tante cose ha avuto l’ardire di dichiarare che durante l’estallido social le azioni repressive operate dai carabineros «in nessun caso sono da considerare violazioni dei diritti umani». Con la nomina di Perez, il ministero dell’interno ritorna nelle mani dell’UDI, lo stesso partito di destra di Chadwick, ministro dell’interno durante la proteste di ottobre, entrambi pinochetisti convinti. Il nuovo rimpasto di governo va quindi interpretato come un giro di vite verso la destra più estrema e un rafforzamento dell’UDI nell’esecutivo.

Nei giorni seguenti la sua nomina Victor Perez ha visitato l’Araucanía, regione a sud, dove in queste settimane hanno ripreso vigore le proteste della popolazione mapuche, in sostegno ai prigionieri politici mapuche che da qualche tempo sono in sciopero della fame. Tra questi va ricordata la vicenda che vede protagonista il machi (leader spirituale) Celestino Cordóva. Condannato senza prove a 18 anni di carcere per l’assassinio di due latifondisti svizzeri e in sciopero della fame da oltre 80 giorni, nei giorni scorsi ha visto rigettata la richiesta dei suoi avvocati di scontare la pena ai domiciliari, nonostante le critiche condizioni fisiche e le preoccupanti condizioni generali dei carcerati a causa del covid.

Già i giorni precedenti la visita, il ministro ha attaccato pesantemente la lotta mapuche: «Avrò un’attenzione particolare per l’Araucanía, i cileni meritano di vivere in pace e tranquillità. Porteremo via i violenti per risolvere i problemi». Durante la visita poi, ha chiaramente fatto intendere come considera le popolazioni mapuche, vale a dire dei delinquenti: «con tutta la chiarezza affermo che in Cile non ci sono detenuti politici, qui le persone che sono private della libertà lo sono per risoluzioni della giustizia non per decisioni del governo».

Queste dichiarazioni sono alla base dell’aggressione razzista subita dai mapuche la notte tra il primo e il 2 agosto nei centri di Curacautín, Victoria, Ercilla e Trayen dove erano in atto delle occupazioni simboliche delle sedi della Municipalità a sostegno della lotta per la libertà dei prigionieri politici. Durante la visita il ministro ha coordinato un vertice con i sindaci riuniti nella Asociación de Municipios de la Araucanía e la APRA, un movimento suprematista e fascista i cui membri sono latifondisti usurpatori delle terre mapuche, agricoltori e imprenditori forestali. 

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