di Giovanni Iozzoli
Chiara Comito e Silvia Montesi (a cura di), Arabpop. Arte e letteratura in rivolta dai Paesi arabi, Mimesis, Milano-Udine, 2020, pp. 219, €18,00
Le rivolte delle cosiddette “Primavere arabe” nel 2011, oltre ai grandi sconvolgimenti geopolitici, tuttora in atto, hanno rivelato e liberato una straordinaria vitalità culturale e artistica, solitamente ignorata dagli osservatori superficiali. Una generazione di scrittori, artisti, musicisti, performers, nella crisi dei vecchi assetti sociali, sta producendo un discorso nuovo, spesso sganciato dal settarismo e dal conformismo – mali storici del mondo arabo. Queste pulsioni esistevano anche prima, sotto traccia, ma dopo il 2011 emergono, si danno visibilità, conquistano platee inaspettate usando quasi sempre canali mediatici non ufficiali. I poteri costituiti non sanno come rapportarsi a queste voci autonome: si oscilla dalla rozza repressione ai tentativi di cooptazione; ma in generale le élite dei paesi arabi non sono abituate alle giovani insorgenze della società civile e le temono.
Naturalmente, un incontro serio tra l’Occidente e queste culture diventa difficile, in questi tempi di ignoranza diffusa, in cui il mondo arabo è raffigurato come un “altro” indistinto e antagonista: “In Europa e in particolare in Italia, le mistificazioni e i pregiudizi sul mondo arabo sembrano difficili da correggere. C’è ancora chi confonde l’essere “musulmano” con l’essere “arabo”, chi inserisce l’Iran e l’Afghanistan tra i paesi arabi, e chi spiega l’Arabia Saudita e il Libano, come se ogni paese arabo fosse intercambiabile con l’altro.” (pag. 9)
E’ l’idea di un Occidente eurocentrico che legge il mondo attraverso le lenti dello stereotipo orientalista, coltiva i suoi rituali democratici e riproduce quella che lo scrittore iracheno Hassan Blasim definisce “l’ignoranza dei colti” – l’ignoranza di coloro a cui non mancano gli strumenti di conoscenza, ma che scelgono di ignorarli, per pigrizia o contraddizione di interessi.
Ma perché intitolare questo libro Arabpop, azzardando qualche elemento di ambiguità o fraintendimento sui contenuti?
Doveroso è inoltre un chiarimento sul titolo scelto per il volume: se in Italia il termine pop viene spesso utilizzato per descrivere un’espressione cultural artistica “commerciale” (cioè creata appositamente per le vendite), qui va invece inteso secondo due delle accezioni della parola italiana popolare: famoso e distante dalla cultura “formale” o d’élite. Il termine pop descrive, quindi, in questo libro, le espressioni e i fenomeni artistici ibridi nati spesso dal basso, che dileggiano e contrastano la cultura ufficiale e di regime e che, anche grazie ai nuovi mezzi di comunicazione e alla “cassa di risonanza” delle rivoluzioni, sono riusciti a raggiungere un buon successo localmente e spesso anche al di fuori dei confini nazionali. (pag. 11)
I regimi crollati o entrati in crisi nel 2011, con la loro oppressione burocratica, avevano prodotto un vuoto di valore e di senso, che era già stato attraversato da migliaia di esperienze artistiche protese tra passato e futuro:
Da piazza Tahrir alle strade di Tunisi, i versi della poesia araba classica e moderna, appositamente e ironicamente modificati e riadattati, sono divenuti slogan di protesta. Declamati durante le manifestazioni, hanno poi anche riempito i muri delle città attraverso la street art, sono entrati nei testi dei giovani rapper, noi copioni delle rappresentazioni teatrali o cinematografiche che raccontavano la rivoluzione. Anche il romanzo arabo è mutato per poter narrare una nuova epoca, ha esplorato nuove commistioni, mescolandosi al reportage giornalistico o al graphic novel che in questi anni ha avuto uno straordinario sviluppo. I generi, gli stili e i linguaggi si sono combinati, creando opere di raro valore intellettuale. (pag. 11)
E così i diversi capitoli sono dedicati ad altrettante rassegne di espressioni culturali. Chiara Comito, nel suo contributo – E’ il momento del romanzo arabo? – discute di quella che definisce “la primavera del romanzo arabo”, colto in un suo momento di particolare fioritura. Dal movimento sotterraneo di giovani scrittori nella galassia egiziana di blog letterari e piccole case editrici indipendenti, fino alle grandi Fiere del Libro di respiro internazionale, come quella di Abu Dhabi. In Egitto, in particolare, la forma romanzo è diventata una espressione di autocoscienza e riflessione nazionale per interrogarsi sugli anni grigi della presidenza Mubarak: libri come Palazzo Yacoubian di Alaa Al Aswani aiutano a rielaborare, soprattutto per il ceto medio egiziano, i temi della decadenza della grande nazione egiziana. Tunisi, Damasco, Tripoli, rispondono con autori che sanno raccontare in prima persona la miseria e lo squallore dei regimi autoritari e hanno contribuito a creare un humus culturale che nei giorni della Primavera, ha prodotto una coscienza rivoluzionaria diffusa. L’approdo verso Occidente di questa letteratura è sempre problematico, per via delle priorità “politico-ideologiche” che orientano le scelte degli editori:
Nel caso della letteratura araba, siamo stati testimoni di un netto aumento dell’interesse verso il mondo arabo-israeliano dopo l’11 settembre 2001. L’interesse era stato tale che lo scrittore iracheno Sinan Antoon aveva affermato che quando un paese arabo veniva distrutto, l’Occidente “illuminato” improvvisamente ne scopriva la cultura e si precipitava a tradurre i suoi libri. Lo stesso Antoon consigliava ai lettori occidentali di non approcciarsi alla lettura dei romanzi arabi con un atteggiamento etnografico, ovvero per diagnosticare i presunti mali del mondo arabo, ma di leggerli come romanzi tout court. (pag. 39)
La raccolta continua con un saggio di Catherine Cornet – Dis-orientamenti Visivi – che riflette sui nuovi strumenti social che hanno contribuito a creare una vera e propria rottura estetica, provocando enormi cambiamenti nella produzione, nella diffusione e nella esperienza di fruizione delle opere d’arte.
Fernanda Fischione – Cantare la rivoluzione – illustra il panorama musicale che ha fatto da colonna sonora alle rivolte che hanno attraversato quasi tutto il mondo arabo nel 2011. Il sanguinoso scenario egiziano – tra a caduta del Rais e il golpe di Al Sisi – ha espresso anche una grande fucina di talenti e iniziative musicali. Importante la carrellata sul rap magrebino che nasce nelle grandi periferie nord africane assolate e desolate, ma mantiene una vocazione naturale a guardare verso Nord, verso Lampedusa e Parigi, per una identità consapevolmente meticcia.
Anna Gabai – Si scrive fumetto si dice rivoluzione – parla dei nuovi spazi creativi apertisi nell’ultimo decennio per il fumetto d’autore; un’arte che ha comunque una sua storia ricca e radicata, soprattutto nei paesi di nuova indipendenza o negli snodi più caldi del conflitto (celebre la figura iconica di Handala, il bambino palestinese creato da Naji Al Ali, sempre ritratto di spalle, a simboleggiare la criticità della sua identità e l’intollerabilità del suo quotidiano).
Luce Laquaniti – La strada è lo Spazio Comune – racconta l’eloquenza dei muri del mondo arabo, tra graffiti e street art, in un contributo in cui la parte fotografica è alquanto esplicativa di una ricerca originale sugli artisti di strada, protesi tra le suggestioni delle metropoli d’occidente e uno sguardo profondamente radicato nei drammi dei piccoli quartieri e dei grandi ideali. La satira, i volti struggenti dei martiri, la rinomata arte calligrafica traslata sugli intonaci di periferia, ridisegna gli spazi urbani e li arricchisce di nuovi significati.
Silvia Moresi,nel suo contributo – E io sognavo una poesia che terminava in una rivolta di piazza – offre un affresco suggestivo sul mondo poetico arabo, ricordando al lettore che in quei paesi la poesia e’ arte popolare e non d’élite, fin dall’epoca preislamica. E l’arte poetica dopo il 2011 e’ “scesa sulla terra”, virando dal lirismo romantico o mistico, in direzione del racconto in versi della realtà. Le ultime parole di Mohamed Bouazizi, il giovane disoccupato tunisino che scelse di suicidarsi davanti alla protervia poliziesca e alla mancanza di futuro, vengono considerate da molti una forma di “poesia in prosa”, straordinariamente potente ed evocativa:
me ne vado mamma, perdonami, non servono a nulla i rimproveri, mi sono smarrito su questa strada che non mi appartiene più. Perdonami, madre… incolpa questa epoca crudele, non me. Me ne vado e il viaggio e’ senza ritorno. Sono stanco di piangere senza che le lacrime escano dai miei occhi… Sono stanco, ho cercato di dimenticare tutto quel che e’ stato. Me ne vado, chiedendomi se questo viaggio mi aiuterà a dimenticare. (pag. 153)
Queste poche parole, diffuse via social da un giovane precocemente sconfitto dalla vita, infiammeranno Tunisi, contribuiranno al rovesciamento di Ben Ali e si propagheranno ovunque come un J’accuse generazionale contro le classi dirigenti arabe: se non è forza poetica questa, cosa è?
Anna Serlenga – See you on the streets – propone una riflessione sulle arti performative, la dimensione più moderna dell’esperienza artistica, quella in cui i corpi, la rappresentazione, la piazza, l’istanza rivoluzionaria, si sono intrecciati in modo naturale e con esiti imprevedibili – trasformando l’agorà della partecipazione in un palcoscenico diffuso e in un luogo di sperimentazione.
Olga Solombrino – Still recording. La rivoluzione del grande schermo – chiude con una rassegna della cinematografia araba, nata o cresciuta all’ombra delle mobilitazioni del 2011. Per un racconto della società arguto, struggente e che solo in pochi casi raggiunge l’attenzione delle sale, dei festival e delle televisioni occidentali: nonostante la qualità estetica (si veda: Cafarnao. Caos e miracoli) o la complessità, mai banale (si veda: L’insulto) degli intrecci narrativi di queste opere.
Un volume agile e documentato, ricco di informazioni, suggestioni e meriti, per cogliere frammenti di un mondo sconosciuto che noi rappresentiamo come decadenza o caos, ma che è anche gioventù, cultura ed energia creativa, sfida alla mortifera sicumera occidentale.