A pochi giorni dall’inizio ufficiale della seconda edizione, un gruppo di attivisti e attiviste del Venice Climate Camp ha occupato la sede della Giunta Regionale a Venezia. Un’azione che contesta il ruolo di Zaia e della Lega Nord nella gestione della pandemia. Il modello Veneto è stato additato a simbolo di efficienza nel contrasto alla pandemia, ciò nonostante le perdite umane ammontano a più di 2000 persone. Cifre che non possono essere sminuite. Se il sistema sanitario veneto è un sistema virtuoso, che si basa sulla sanità territoriale, di prossimità, quello che la Lega e Zaia provano a fare da anni è una riforma della Sanità sul modello lombardo, con una forte centralità del sistema privato, con ingenti tagli e con l’investimento su grandi aziende ospedaliere. L’occupazione denuncia la situazione attuale e passata e rivendica alcune richieste: l’implementazione della sanità territoriale, l’assunzione di nuovo personale sanitario in condizioni ottimali, la tutela delle fasce più a rischio della popolazione. Se il Veneto si è “salvato” non è grazie a Zaia, ma nonostante lui.
Di seguito il comunicato:
Sono oltre 2000 le morti contabilizzate in Veneto a causa del Covid-19. Come ovunque, queste stime vanno intese per difetto, molte delle vittime, soprattutto tra gli anziani ospiti delle case di riposo, non sono state tamponate e quindi non risultano nella contabilità finale.
Sulla perdita di migliaia di vite umane non è certo possibile applicare la logica del “meno peggio”. Eppure si dice: Il Veneto ha retto! Ma se gli effetti della pandemia sono stati meno tragici qui che altrove, ciò è avvenuto non grazie a Zaia e alla Lega, piuttosto nonostante loro.
Se l’operato di alcuni virologi è stato importantissimo per contenere il contagio (l’isolamento dei focolai e i tamponi a tappeto che hanno permesso di scoprire il peso degli asintomatici), l’altro elemento fondamentale è individuabile nella struttura della sanità veneta, progettata secondo il principio dell’integrazione territoriale tra i diversi elementi del sistema, dai nosocomi fino ai medici di medicina generale. È stato questo modello a permettere agli ospedali di accogliere e non scaricare i malati e, al tempo stesso, a consentire ai medici di prediligere le cure in casa, senza ricoverare i contagiati, quindi limitando il contatto fatale tra questi e le loro comunità. Come si è conservata questa formula virtuosa? Respingendo la spinta all’aziendalizzazione sanitaria contenuta nella riforma del 1992. Allora si scelse di mantenere gli ospedali all’interno delle ULSS (prediligendo l’integrazione territoriale) e di non puntare (come in Lombardia), su cliniche private convenzionate.
Il Veneto è, dunque, correttamente visto come portatore di un modello virtuoso, ed è proprio questo modello che Zaia ha sistematicamente depotenziato. Un lavoro di demolizione lento e costante, fatto di tagli di posti letto, mancato turnover del personale sanitario, progressivo taglio di servizi territoriali e via dicendo. Se la Lega continua su questa strada, la prossima pandemia potrebbe avere effetti ben più devastanti e, più in generale, il diritto alla salute (soprattutto quello delle persone più deboli ed esposte) sarebbe sempre meno garantito. Il progetto di Zaia è quello di destrutturare l’integrazione territoriale dei servizi sanitari e di dare vita ad un sistema in cui troveremmo da una parte aziende sanitarie locali e dall’altra ospedali azienda che non comunicano tra loro, spostando la priorità dalla salute di un territorio al bilancio di un’azienda.
Dal 2002, con un’accelerazione sostanziale negli ultimi 5, la Lega Nord e Zaia, sempre al governo della regione, sono responsabili dei seguenti tagli:
– Hanno contribuito al taglio di 3.629 posti letto, pari al -20,3% (da 17.879 a 14.250, un posto letto ogni 5 tagliato), mentre ne hanno aggiunto addirittura 517 per le cliniche private, pari al +16,2% (da 3.188 a 3.705, circa un posto letto ogni 6 in più)
– Si è passati dai 1176 posti letto totali regionali di terapia intensiva del 2002 a 717 nel 2019 (riduzione del 39%)
– Nell’ultimo piano sociosanitario regione veneto 2019-2023 si prevede addirittura di far gestire i pazienti anziani cronici complessi a équipes del privato convenzionato.
Va inoltre ricordato che il Sindacato Nazionale Autonomo dei Medici Italiani del Veneto ha recentemente denunciato il Presidente della Regione Veneto per avere disatteso il “piano regionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale” (2007), lasciando così migliaia di medici di famiglia privi di mascherine e DPI, mettendo a rischio la loro vita e quella dei pazienti.
Perché siamo qui oggi?
Perché un camp di attivisti climatici occupa un assessorato regionale alla sanità? Perché, pur avendo organizzato un incontro che terrà conto di tutte le precauzioni anticovid (distanze, mascherine, sanificazione, ecc.), siamo convinti che il solo ricorso a misure come il distanziamento sociale, o peggio il lockdown, non sono sufficienti come risposta alla pandemia, anzi, dette misure forniscono la foglia di fico dietro cui si cela una grave ingiustizia sociale: la programmatica distruzione della sanità pubblica ascrivibile a decenni di politiche neoliberiste.
Una società che vuole fermare il cambiamento climatico non può essere una società che accetta l’individualizzazione e l’isolamento quali vie privilegiate per ottenere il bene comune. All’isolamento opponiamo la cura comune (ovvero la capacità di comunità di stare insieme in sicurezza, senza essere negazioniste), all’individualizzazione della salute oggi vogliamo opporre un’azione collettiva per rimettere al centro la salute stessa quale diritto universale. Un diritto che oggi è negato, nonostante l’enorme generosità mostrata in questi mesi da tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori del settore sanitario. In prima fila, nonostante il decennale boicottaggio di chi ci governa.
Chiediamo quindi politiche che vadano nella direzione di maggiori investimenti nella sanità pubblica e che smettano di favorire il profitto privato.
Questi investimenti devono:
– favorire l’assunzione di nuovo personale sanitario e farlo a condizioni contrattuali dignitose.
– aumentare i posti letto negli ospedali pubblici.
– guardare alle diverse esigenze dei territori e mantenere saldo il principio dell’integrazione dei servizi.
– tenere presente che servizi sanitari e sociali sono entrambi necessari e devono comunicare tra loro.
– garantire il diritto alla salute anche alle fasce più deboli, i poveri, gli anziani, i migranti
– dare ulteriore impulso alla ricerca.