Se il territorio veneziano è uno dei simboli dei cambiamenti climatici e della devastazione ambientale per tutto quello che ha subito negli anni, non poteva mancare la prima azione dal Venice Climate Camp, nella sua seconda edizione.
Il polo chimico industriale di porto Marghera che ancora rappresenta un pericolo concreto come dimostra l’incendio di fine maggio dello stabilimento chimico, un territorio che da anni aspetta le bonifiche promesse, il passaggio delle grandi navi che devastano l’ecosistema lagunare, il Mose, l’acqua alta dello scorso novembre che ha messo in ginocchio l’intera città e il pesante carico di inquinamento da polveri sottili sono solo alcuni degli agenti della crisi climatica in corso. Tuttavia, di fronte a questo quadro così preoccupante, stamattina attiviste e attivisti hanno raggiunto l’impianto di Eco-Progetto di Veritas in cui dovrebbe sorgere il nuovo inceneritore. Si tratta di un progetto che prevede l’aggiunta di due nuove linee di cui una destinata a bruciare PFAS. Il piano è stato approvato dal VIA durante il lockdown nonostante l’opposizione della comunità che vive in prossimità dell’area di Fusina.
L’iniziativa, partita dal campeggio climatico, coglie più contraddizioni: non solo la scelta di allargare un sito inquinante, ma anche la narrazione dell’impianto come infrastruttura sostenibile, cui si aggiunge la decisione di sbloccare il progetto approfittando dell’isolamento.
Il progetto dell’inceneritore di #Fusina prevede l’ampliamento da una a tre linee di incenerimento. Una di queste brucerà fanghi, #PFAS, percolati e rifiuti speciali. Tutti materiali molto inquinanti e pericolosi per la salute.#crisiclimatica #10settembre pic.twitter.com/Fs8L2j543g
— global_project (@global_project) September 10, 2020
Il blocco dei cancelli di ingresso sta impedendo ai camion di accedere all’area, mentre all’interno un gruppo ha scritto a caratteri cubitali “No inceneritore”.
L’iniziativa è partita dal campeggio climatico, e coglie più contraddizioni, dicono gli attivisti: non solo la scelta di allargare un sito inquinante, ma anche la narrazione dell’impianto come infrastruttura sostenibile contro la devastazione ambientale e contro ogni politica che mira a mettere in secondo piano la salute e la salvaguardia dell’ambiente.
Nel veneziano è attiva da molto tempo una campagna contro l’allargamento dell’impianto, questa iniziativa allarga però lo sguardo indicando l’impianto di Marghera come un tassello della distruzione del Pianeta operata dal modello di crescita economica dominante.
“La gestione dei rifiuti è un falso problema. Questo progetto è nato e pensato per soddisfare interessi economici molto forti sulla pelle dei cittadini; ed è frutto di precise scelte politiche compiute da quei partiti e da quegli amministratori che hanno scelto convintamente questa strada, rifiutando il confronto con i cittadini e con i comitati che fin da subito hanno proposto alternative più sostenibili, rapide e vantaggiose. La politica è rimasta quasi completamente in silenzio per paura di doversi confrontare una volta di più con dati che comprovano il grave stato di inquinamento generalizzato in cui versa il nostro territorio”, si legge nei tanti comunicati dei comitati territoriali che si stanno battendo contro l’inceneritore. Ma da parte di Veritas, i Sindaci e tutti gli sponsor politici dell’inceneritore di Fusina c’è la volontà di andare avanti e sostengono che questo impianto sarà all’avanguardia della tecnica, addirittura migliorerà l’ambiente e non sarà rischioso per la salute.
L’inceneritore ha dunque dei nomi e dei cognomi: “Si chiamano Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia, sostenitori della Giunta regionale il cui loquace presidente Luca Zaia si appresta a firmare il decreto finale senza nemmeno dire una parola. Ma si chiamano anche Partito Democratico, che con i suoi consiglieri regionali e con molti dei suoi Sindaci è stato fin da subito tra i tifosi più sfegatati dell’inceneritore, insieme al Sindaco fuksia di Venezia Luigi Brugnaro. Non va dimenticato nemmeno il Governo Conte (targato PD-M5S e Italia Viva), che con il Ministro dell’ambiente Sergio Costa avrebbe potuto e dovuto avocare a sé la valutazione di impatto ambientale e invece ha scelto di non farlo”.
E se tra il 3 e il 5 agosto 1970, cinquant’anni fa esatti, Porto Marghera fu teatro di una delle più grandi e dure rivolte operaie e popolari d’Europa del dopoguerra, oggi mobilitazione climatica vuole riportare al centro di quei territori che già furono teatro di altre iniziative parole come diritti, dignità e salute. Cinquant’anni fa i protagonisti erano i lavoratori all’epoca più sfruttati, gli operai delle imprese d’appalto, malpagati, mal trattati, poco difesi, oggi sono le giovanissime generazioni che lottano per la giustizia climatica.