Sembra senza fine il tormentato cammino verso la verità dei familiari dei 43 studenti di Ayotzinapa, scomparsi la tragica notte tra il 26 e il 27 settembre di sei anni fa ad Iguala, Guerrero. A distanza di tanti, troppi anni e nonostante le promesse e i buoni intenti del presidente López Obrador, i genitori sono di nuovo scesi in strada a protestare alla vigilia di questo nuovo triste anniversario che ha cambiato drammaticamente per sempre le loro vite e quelle dei loro figli.
Martedì 21 gli studenti della normal riuniti nella Federación de Estudiantes Campesinos Socialistas de México, assieme ai rappresentanti dei genitori, hanno indetto un presidio davanti alla sede del potere giudiziario dello stato del Guerrero a Iguala, colpevole di aver “smarrito” alcuni video inerenti al caso. Il giorno successivo gli stessi studenti hanno fatto un blitz alla sede del Congresso del Guerrero dopo il rifiuto dei deputati di citare a giudizio il presidente del Tribunal Superior de Justicia, responsabile dello smarrimento dei video. Il blitz degli studenti ha provocato ingenti danni all’edificio che è stato dato alle fiamme e colpito da una fitta sassaiola che ha provocato la rottura di molte vetrate.
Normalistas arremeten contra Congreso de #Guerrero tras negativa de diputados de citar a comparecer al presidente del Tribunal Superior de Justicia, e informe sobre investigaciones por pérdida de evidencia de la “Noche de Iguala”. pic.twitter.com/D2bGMEYigr
— ReporTorres (@ReporTorres) September 22, 2020
I portavoce del comitato dei genitori, che hanno difeso l’azione, hanno sottolineato come la partecipazione di diversi settori dello stato nel crimine di sparizione forzata degli studenti non è avvenuta solo durante la “notte di Iguala” con la presenza dell’esercito e delle polizie federale e municipale ma si è perpetuata anche nei giorni, mesi e anni successivi in altri ambienti come quello giudiziario che ha messo in atto tutta una serie di azioni (e omissioni) volte a coprire il crimine e a garantire l’impunità per gli autori materiali e i mandanti politici. Infatti, come riportato anche dal Centro per i diritti umani Tlachinollan «l’aggressione agli studenti, l’interazione tra i diversi corpi di polizia nel luogo e la direzione in cui sono stati portati i giovani sono stati catturati da sei telecamere a circuito chiuso situate nel palazzo di giustizia. Secondo le perizie degli esperti indipendenti le telecamere avevano un raggio di azione che gli ha permesso registrare tutte le violenze commesse contro gli studenti e l’identità degli autori, tuttavia i video generati dal sistema a circuito chiuso non esistono più. Secondo le dichiarazioni dei tecnici e delle autorità della magistratura c’è stato un tentativo di recupero dei video ma i dispositivi erano rotti».
Mercoledì 22 il comitato dei genitori si è ritrovato a Città del Messico, questa volta sotto la sede della Suprema Corte de Justicia de la Nación (SCJN) per esigere dal potere giudiziario federale la risoluzione dei giudizi in sospeso sul caso e che non vengano più rilasciati i detenuti coinvolti nel caso. Il riferimento è al caso di “El Mochomo”, considerato il leader dei Guerreros Unidos (il gruppo criminale che avrebbe compiuto materialmente la sparizione forzata dei 43 studenti) arrestato a fine giugno e rilasciato qualche giorno dopo da un giudice federale. El Mochomo è stato finalmente arrestato qualche giorno fa ma non è l’unico caso di persona coinvolta nel caso e rilasciato per vizi formali o a causa delle torture subite dopo l’arresto.
Il giorno successivo i genitori hanno indetto un altro presidio, questa volta sotto la sede del Consejo de la Judicatura Federal (CJF) sempre a Città del Messico. Entrambe le iniziative fanno parte della settimana di attività per il sesto anniversario dalla sparizione forzata degli studenti. In questa sede, come riportato dal quotidiano La Jornada, l’avvocato Vidulfo Rosales, portavoce del comitato dei genitori ha dichiarato: «Nonostante un nuovo procuratore e un procuratore speciale per il caso, le indagini vanno a rilento e non procedono come dovrebbero per poter chiarire ciò che è accaduto il 26 settembre 2014. Il nostro caso è ancora impunito. E nonostante ci sia una volontà politica di questo governo, ci sono molte istituzioni che non sembrano camminare nella stessa direzione, una di esse è la magistratura che negli ultimi tempi più che un’istituzione dello Stato messicano che aiuta a chiarire gli eventi sembra essere un vero ostacolo al raggiungimento dei progressi richiesti nell’indagine».
Da parte sua López Obrador ha annunciato che il 26 settembre renderà pubblici ulteriori importanti sviluppi delle indagini. A fare da sponda al presidente, anche il Primo Ministro Sanchez Cordero: «il prossimo sabato si compirà il sesto anniversario della sparizione forzata dei 43 giovani normalisti di Ayotzinapa, Guerrero. Grazie al lavoro della Commissione Speciale abbiamo informazioni che fanno luce su ciò che è realmente successo quella tragica notte».
Ai genitori, ai compagni, agli studenti di Ayotzinapa e a tutto il movimento di solidarietà non resta che attendere il nuovo annuncio del presidente, consapevoli come sempre che nessuno è intenzionato ad abbassare la guardia e a smettere di lottare. Perché, come ha ricordato in questo editoriale il giornalista e regista di “Mirar Morir”, Temoris Grecko «al di là delle buone intenzioni, il Messico ha bisogno da parte della Procura di risultati forti e convincenti che comprendano tutta questa serie di crimini. La verità non è mezza verità. La giustizia non è mezza giustizia».
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