«Filiere, logistica e lavoro, è questo il mondo che vogliamo? Che cosa succede quando il sistema produttivo globale viene riorganizzato e la logistica diventa il principio guida di questa trasformazione della filiera globale?»: sono le domande che si sono posti, e a cui hanno provato a dare una risposta, le organizzazioni Re:Common e Counter Balance nel rapporto appena uscito “Corridoi come Fabbriche”, che apre uno sguardo su questo processo dove la catena di distribuzione ha “soppiantato” la fabbrica fordista. «Oggi infatti la produzione si sviluppa sempre più tra le maglie delle reti logistiche che spostano le merci da un punto all’altro e che sono diventate la fabbrica in sé».
«Una riorganizzazione che prevede da un lato la costruzione di mega corridoi infrastrutturali – via mare e via terra – che permettano di concentrare le diverse fasi del processo produttivo, e la forza lavoro, lungo degli assi geografici ben determinati. Dall’altro che trae profitto dalle Zone economiche speciali, dove vengono sviluppati gli hub logistici in deroga alle normative vigenti. Qual è l’impatto sull’ambiente e sul clima di questo processo? Quali le implicazioni ambientali e sociali più ampie? Se è questa la direzione che sta prendendo il sistema, sarà quella giusta?».
«In Corridoi come fabbriche, Counter Balance si propone di esaminare a fondo l’assalto al lavoro collegato alla globalizzazione delle catene di distribuzione e dei corridoi infrastrutturali ad esse associate – si legge nel rapporto – Attingendo all’opera di accademici come Deborah Cowen, questo rapporto vuole analizzare l’attuale stretta della “logistica” (la pratica gestionale che orchestra il movimento di merci lungo corridoi e filiere) su produzione, distribuzione e consumo globali, cercando di capire come certe pratiche abbiano permesso al capitale di estendere la produzione oltre la fabbrica convenzionale, lungo le catene di distribuzione ed oltre, permettendo di spremere il lavoro in ogni fase al fine di aumentare i profitti».
«Siamo sempre più – nel nord come nel sud – “logisticizzati”. Per l’approvvigionamento quotidiano, ci affidiamo a reti di potere politico-economico finalizzate al profitto, piuttosto che alla mutua sopravvivenza. Più rimaniamo invischiati in queste reti, più ogni nostro movimento verrà inglobato in un sistema di generazione di ricchezza iniquo, ingiusto e distruttivo».