La seconda edizione del Venice Climate Camp ha dato vita a cinque giornate di discussione e azione, animate dalle tante e diverse esperienze che da tutta Italia e da tutta Europa si sono riunite al Centro Sociale Rivolta di Marghera. Il campeggio si è svolto durante la pandemia globale di Covid-19 e ha avuto la capacità di porre conflitto e cura come pratiche imprescindibili per uscire da questa crisi, per attaccare il sistema che l’ha generata e crearne uno nuovo. Il culmine di questa edizione è stato il Climate Meeting del 12 settembre, una giornata dove teoria e pratica hanno preso forma grazie ad un’assemblea di centinaia di persone che ha sancito la nascita di un nuovo soggetto climatico “RISE UP 4 CLIMATE JUSTICE” e ne ha dato subito dimostrazione con l’occupazione e il sanzionamento della bioraffineria dell’ENI di Fusina. Pratiche dirette e radicali si basano sull’orizzonte teorico che si è andato a saldare durante il camp e nel corso del meeting, composto dalle molte battaglie che da sempre si oppongono ai vari volti dello sfruttamento sistemico di corpi e territori, inscrivendole all’interno di una cornice che pone la crisi climatica ed ecologica come terreno di lotta centrale in quanto dimostrazione evidente della contraddizione tra capitalismo e vita.
Come studenti e studentesse la nostra volontà è stata quella di far emergere i nessi che collegano la questione scolastica a quella climatica ed ecologica. L’assemblea nazionale che ha preso vita la mattina del 9 settembre nasce quindi e prima di tutto dalla necessità di confrontarci di fronte alla situazione che la scuola è stata costretta a subire nel corso della crisi sanitaria e le prospettive che si andranno a sviluppare dopo di essa.
Quest’ampio momento di confronto ha permesso a tutte e tutti noi di sviluppare riflessioni delle quali tenteremo di tracciare una sintesi nelle successive righe.
È secondo noi fondamentale partire da un’analisi di cosa la scuola sia stata fino ad oggi.
Partiamo da un assunto: la scuola odierna è uno degli strumenti che il sistema capitalista utilizza ai fini della sua riproduzione. Per noi che la viviamo quotidianamente, è tangibile quanto questa sia un’istituzione che organizza la nostra vita, la determina e la prepara sulla base di un modello che dobbiamo e dovremo rispettare per garantire al sistema tossico vigente di continuare ad esistere.
Su queste basi, diventa molto più facile leggere l’incuria e le modifiche strumentali che la scuola subisce da decenni.
A partire dalla didattica, infatti, vediamo come i metodi d’insegnamento siano vecchi e obsoleti e le uniche modifiche ad essi apportati mirino ad un’estrazione di ricchezza da un ambito che dovrebbe essere invece destinatario di investimenti, senza sentire la necessità di un ritorno economico. Siamo rimasti fossilizzati sulla lezione frontale, che difficilmente stimola curiosità e senso critico in alunni e alunne, ed è pochissimo, se non nullo, lo spazio a disposizione per sperimentare nuove forme ed esercitare la libertà di insegnamento da parte di professori e professoresse. L’aspetto nozionistico delle informazioni che ci vengono somministrate, vuote pillole di sapere indotto, è selezionato semplicemente per coltivare capacità e mentalità utili al solo mondo produttivo e, se sei donna, riproduttivo. A questo, da anni è stata aggiunta la famosa alternanza scuola-lavoro, altra attività che mira alla sola adattabilità di studenti e studentesse al lavoro, per come il sistema vuole che sia, quindi sfruttato, logorante, precario e alienante. Altro esempio dello schiacciamento della conoscenza su un modello standardizzato del sapere sono i test INVALSI, esami che valutano le competenze di ognun* sulla base di prove a crocette che eliminano qualsiasi forma di espressione al di fuori della mera compilazione. Introdotti come prove a campione nei licei, sono ad oggi obbligatori per tutti e tutte, affiancati all’esame di maturità.
Lo stesso obbligo di seguire i programmi a scapito di qualsiasi altro momento utile al coinvolgimento e alla partecipazione di studenti e studentesse è un dogma imposto dal sistema scolastico che restituisce infatti un programma formativo complessivo distaccato dal contesto in cui stiamo crescendo e non all’altezza di poterci fornire gli strumenti indispensabili per fronteggiare il presente e soprattutto il futuro. Al contrario l’unica modifica ai programmi proposta negli ultimi anni mirava non ad un loro ammodernamento quanto piuttosto ad una loro riduzione, a danno ulteriore della cultura della composizione studentesca. Conseguenze simili avrebbe avuto la proposta di riduzione del percorso di studio, con l’obiettivo di consegnare un anno prima generazioni di giovani al mondo del lavoro.
In questa situazione che difficilmente rende partecipi, coinvolt* e interessat* gli studenti e le studentesse, la stessa valutazione che dovrebbe rappresentare uno stimolo per affrontare le possibili mancanze di ognun* ha subito uno snaturamento, trasformandosi nel fine stesso dello studio tramite il perseguimento del voto, che raramente rappresenta realmente ciò che lo studente o la studentessa ha imparato ed elaborato.
Anche rispetto alla condizione fisica delle classi e degli edifici scolastici vediamo come il mondo della formazione sia spesso ignorato, e come l’attenzione dei governi gli si rivolga solo quando da esso è possibile risparmiare.
Ad oggi la condizione di moltissime strutture scolastiche, soprattutto nel sud Italia, è drastica e porta a disagi a danno del corpo studentesco che raramente ha la possibilità di passare le proprie giornate in un luogo sicuro e adatto al suo ruolo di luogo di apprendimento, crescita e condivisione. La stessa condizione, tanto discussa ultimamente, di sovraffollamento delle aule è frutto di anni di tagli che hanno portato ad accorpamenti di istituti e classi per dover mettere a disposizione un sempre minor numero di docenti e di personale scolastico, a danno, di nuovo, di studenti e studentesse.
Parallelamente da anni il mondo dell’istruzione subisce un processo di aziendalizzazione che rispecchia il modello di scuola che di riforma in riforma si sta andando a creare: un luogo all’interno del quale la priorità non è il bene del corpo studentesco quanto piuttosto far quadrare il bilancio a fine anno. È in questa chiave che sono andati a mutare sia il concetto di autonomia scolastica, che la figura stessa del preside, emblema del potere centralizzato sempre più delegato alla contabilità delle proprie scuole e al controllo e alla repressione di student* e professor*. L’entrata a gamba tesa da parte dei privati nella scuola avviene proprio in quest’ottica, in un contesto in cui il pubblico non è stato in grado di sopperire alle mancanze e alle necessità del mondo dell’istruzione. È qui che entrano in gioco le lobby, le multinazionali, le banche. Soggetti che irrompendo nella nostra formazione la possono manovrare, e contemporaneamente mettono a repentaglio l’accessibilità allo studio che dovrebbe essere, invece, garantita e indiscriminata, riproponendo l’individualismo e la competitività tossica come unici strumenti di realizzazione personale e “valori” ai quali educarci già dalla nostra gioventù. Allo stesso modo la suddivisione dei ruoli all’interno della scuola pubblica è una rappresentazione delle catene di comando alle quali vorranno vederci sottostare nel corso della nostra vita lavorativa. Basti pensare alla gerarchia alla quale siamo costrett* a sottostare, costituita da noi student* alla base della piramide, sovrastati rispettivamente dal personale scolastico, dai docenti e in ultimo dal preside.
In ultimo, le dinamiche classiste che dovrebbero essere abiurate dal sistema scolastico in nome di un diritto allo studio da assicurare egualmente a tutti e a tutte, ad oggi sono riproposte in diverse forme. Le spese che ogni anno ogni famiglia è costretta a spendere continuano ad essere esorbitanti e spesso proibitive. Semplicemente per far arrivare i propr* figl* a scuola vengono spesi centinaia di euro in abbonamenti per i trasporti pubblici, che tra l’altro continuano ad essere tendenzialmente insufficienti e non eco-sostenibili. A questa spesa vanno aggiunte quelle per i libri di testo e per i materiali scolastici che, volendo assicurare un reale diritto allo studio a tutt*, dovrebbero invece essere forniti dalla scuola stessa. È evidente poi la disparità tra scuole, anche della stessa città, in termini di possibilità e strumenti che ognuna fornisce sulla base dei fondi di cui dispone, che spesso coincidono con il ceto delle famiglie degli studenti e delle studentesse che le frequentano.
È evidente a questo punto come ci sia un filo rosso che collega gli interessi che muovono le economie e i governi del mondo e che hanno causato la crisi climatica in atto perseguendo il guadagno ad ogni costo, con gli interessi che in nome del solo profitto hanno progressivamente snaturato e distrutto la scuola pubblica.
È in questo contesto che si introduce la pandemia globale di Covid-19. La risposta utilizzata dal governo e dal MIUR a questa situazione ha introdotto un nuovo metodo metodo didattico, la didattica a distanza, inimmaginabile prima della crisi sanitaria, ma imposta nel corso dell’emergenza come soluzione tampone e normalizzata nel corso dei mesi.
Partiamo da un dato. A differenza della narrazione dominante che la descrive come una soluzione necessaria ed inevitabile all’interno del contesto pandemico, essa è in realtà frutto di scelte politiche chiare e conseguenza dei problemi nati a causa di scelte politiche precedenti. L’origine stessa della pandemia, infatti, è da ricercarsi nella maggiore facilità che le specie animali hanno di trasmettere virus all’uomo a causa del sistema estrattivista e predatorio che ne distrugge gli ecosistemi. Allo stesso modo se la scuola pubblica non si fosse ritrovata in una situazione di sovraffollamento delle strutture scolastiche, a causa dei tagli che hanno prodotto un concentramento di migliaia di studenti in singoli edifici, la pandemia si sarebbe potuta affrontare in maniera diversa.
La scuola nel corso degli anni è diventata sempre di più un luogo in cui non si investe per il futuro dei ragazzi e delle ragazze, ma da cui si estrae valore sotto forma di un’educazione che sforna futur* lavorator* già piegat* dall’infanzia alla logica dello sfruttamento e a cui è già stato insegnato a non pensare troppo. L’ultimo strumento sperimentato in quest’ottica è proprio la DAD che infatti sta continuando a venir finanziata, a discapito di soluzioni reali, in un’ottica della sua introduzione stabile nel mondo dell’istruzione. Infatti, dopo diversi mesi dalla fine del lockdown la didattica online risulta ancora essere lo strumento privilegiato per sopperire alle mancanze al sistema scuola senza investire nuovi fondi che sarebbero stati necessari già da tempo per garantire un rientro a scuola in sicurezza a tutt*, a partire proprio dall’aumentare il numero degli edifici scolastici, recuperare quelli già esistenti, assumere nuovo personale scolastico, stabilizzare i precari e creare finalmente un reale welfare studentesco che garantisca a tutti gli studenti e tutte le studentesse un trasporto pubblico efficace ed ecosostenibile, i libri di testo e il materiale scolastico necessario.
Al contrario questa nuova modalità di “fare scuola” va ad amplificare ancora di più i molti problemi che il mondo della formazione già prima viveva, ponendosi a completamento di quel modello di scuola atomizzato, standardizzato e nozionistico che i vari governi hanno contribuito a dipingere nel corso degli anni.
Primo elemento imposto dalla didattica online è proprio la distanza tra le persone, che va a scardinare tutti quei meccanismi di inclusione e solidarietà caratteristici della scuola, dalla possibilità di conoscersi con gli altri all’essere consapevoli delle loro condizioni di vita. Vanno a perdersi le dinamiche di socialità e di scambio che consentono ai e alle giovani di sviluppare pensiero collettivo e capacità di analisi dell’esistente, lasciando così solo il puro nozionismo. Con la didattica a distanza ci viene impedito di crescere insieme ad altr*, di imparare a vivere in gruppo e in continuo rapporto con altre persone. Ciò che viene annullato è il ruolo sociale stesso della scuola.
Dal punto di vista didattico quello che accade è la riduzione al minimo del rapporto con i docenti e dei materiali e programmi di studio tramite la loro sempre maggiore standardizzazione. Si passa così dalla lezione preparata dal professore e dai libri di testo, alle unità didattiche online preconfezionate fornite dalle case editrici, che limitano sia la libertà di insegnamento sia la possibilità di confronto tra gli studenti e le studentesse. I programmi diventano così sempre più obiettivi aziendali da completare più che fili conduttori che aiutino alla lettura del mondo che ci circonda, andando a fare un ulteriore passo verso la creazione di un sistema scuola finalizzato a sfornare l’inconsapevole lavoratore del futuro tramite l’esasperazione delle già nozionistiche lezioni frontali.
Tramite la DAD poi è enorme la possibilità di risparmio che il MIUR potrà ottenere sulle spalle del corpo studentesco. Basti pensare all’enorme numero di studenti che un solo docente potrà seguire in videolezione, o alla prospettiva che vede un sempre minor utilizzo degli edifici scolastici stessi, sostituiti dalle singole camere di ogni alunn*.
Come abbiamo potuto vedere nei pochi mesi di quarantena, la didattica online apre ancor di più le porte ai privati: i grandi colossi del digitale che forniscono le piattaforme dove milioni di student* faranno lezione avranno infatti a disposizione i loro dati personali, trasformando anche la scuola pubblica in un ambito di sfruttamento e controllo digitale, e CONFINDUSTRIA potrà avere voce in capitolo sulla scuola pubblica in quanto fornitrice dei device elettronici.
Come ormai sappiamo bene, la DAD comporta anche danni all’individuo, sia dal punto di vista fisico, sia per quanto riguarda l’aspetto psicologico. Gli studenti e le studentesse, come il corpo docente, vengono obbligati a passare numerose ore davanti allo schermo di un computer, affaticando molto gli occhi e spesso rovinandosi la schiena a causa di una postura errata. Sappiamo anche come la dose di stress durante i mesi di didattica online sia stata enorme a causa delle ore passate davanti ad uno schermo, tra il seguire le lezioni, il ritrovarsi spesso abbandonat* ad affrontare da sol* interi argomenti di studio, e con lo svolgimento di una grande mole di compiti per casa.
La didattica a distanza entra senza nessuna cura anche in quella che è la sfera privata di ogni individuo. Infatti la casa, la camera, le persone che vivono insieme allo studente o alla studentessa, sono tutti elementi che durante le lezioni online vengono resi forzatamente noti, andando a annullare la distinzione tra ciò che è personale e ciò che è pubblico. Non per tutti questo è semplice e più volte durante questi mesi di didattica a distanza abbiamo potuto assistere a casi dove la sfera intima e personale di un individuo veniva resa pubblica attraverso la telecamera del computer. Un esempio lampante possono essere le famiglie dove i figli e le figlie non possiedono ognuno una propria stanza.
Con il sopraggiungere di settembre si è andato sempre di più stabilizzare un modello di scuola classista che accentua le differenze sociali, culturali ed economiche preesistenti invece di provare ad appianarle il più possibile. Il rientro in aula organizzato autonomamente da ogni istituto, dove le scelte sono lasciate quasi del tutto nelle mani dei presidi e delle possibilità fisico-strutturali di ogni singolo edificio scolastico, va ad accentuare ancora una volta quella che è la disparità di strumenti e possibilità tra scuole, sia su scala nazionale che sul locale, tra le varie scuole della stessa città. Queste differenze si erano già rese evidenti durante lo svolgimento delle lezioni online, a causa della diversa possibilità di accesso agli strumenti adeguati per seguirle, come una stabile connessione ad internet, un device personale o condizioni abitative favorevoli. Oltre a ciò in caso di necessità sono stati solo alcuni gli istituti che hanno potuto sopperire alle mancanze degli studenti.
La DAD ha infine posto ogni singola famiglia davanti ad uno dei ricatti più osceni dei nostri tempi. Essa infatti non darà mai la possibilità di raggiungere ogni singolo individuo in modo soddisfacente a livello formativo e al contempo non permetterà di seguire singolarmente ogni studente come necessiterebbe. Alle mancanze della dad, o nei casi in cui cui gli studenti non siano in grado di sopperire autonomamente ad esse, ecco che per necessità entrano in campo i genitori, costretti a decidere tra la cultura dei loro figli e il proprio lavoro. Molt* infatti sono stat* costrett* ad aggiungere il “lavoro di insegnante” al proprio lavoro e alle pratiche di cura all’interno del nucleo familiare o, in alternativa, ad abbandonare i propri figli e le proprie figlie ad affrontare soli la propria formazione culturale.
Viene così normalizzata una scuola che riafferma in maniera ancora più evidente dinamiche individualiste, senza curarsi in alcun modo delle persone che la vivono, siano essi student*, professor*, personale ata o genitor*.
La pandemia, la crisi sanitaria, la quarantena e in ultimo la didattica a distanza testimoniano come cause e conseguenze della situazione che stiamo vivendo si intersechino in maniera imprescindibile e come, quindi, la questione climatica ed ecologica, che ogni giorno ci interroga sul modello di produzione utilizzato sul pianeta, abbia effetti diretti sempre più devastanti anche sulle nostre vite. È ormai stato fatto cadere il velo che la faceva percepire come qualcosa di distante e astratto, restituendo solo un piccolo assaggio di quello che sarà il futuro di tutti e tutte se continueremo a sfruttare il Pianeta e le altre specie animali, oltre alla nostra. Torniamo ad affermare: l’emergenza climatica ed ecologica è la più grave crisi che la specie umana si sia mai trovata ad affrontare e pone il capitalismo in contraddizione con la vita stessa. Lo sappiamo bene e l’abbiamo gridato in tutte le piazze climatiche dell’ultimo anno e mezzo, quando abbiamo dato vita all’urgenza e alla centralità della lotta contro la crisi climatica ed ecologica insieme a centinaia di migliaia di nostre coetanee e nostri coetanei. Su questa base si sviluppano i nostri ragionamenti.
Ogni volta che la scuola nel corso di questi anni ha subito un attacco da parte dei diversi governi che l’hanno trasversalmente oltraggiata, la risposta di studentesse e studenti non ha aspettato per farsi sentire, riempiendo le piazze per fermare l’ennesimo peggioramento ed evocare un’idea diversa di scuola. La domanda che tutti e tutte ci siamo fatti è stata “cosa dovrebbe essere, invece, la scuola?”, e più passano gli anni più sentiamo che la risposta si sta allontanando dalla scuola che ogni giorno viviamo. La distopia a cui la didattica a distanza fa prendere vita, il caos e l’incertezza dominanti nella situazione attuale, ripongono con forza quell’interrogativo.
Alla scuola riconosciamo il ruolo di aiutarci nel leggere il nostro presente. Alla scuola riconosciamo il ruolo di fornirci gli strumenti tramite cui affrontare il futuro. Quindi, di fronte ad un presente governato da sistema globale basato sullo sfruttamento, l’ingiustizia e la violenza repressiva, che ci sta portando sempre più nel vivo di una crisi climatica ed ecologica che sta minando l’esistenza stessa di un futuro per tutti e tutte, che cos’è la scuola? Ad oggi, come scritto all’inizio, la scuola è stata completamente snaturata e progressivamente trasformata in uno strumento di riproduzione del sistema capitalista. Consapevoli del ruolo centrale che essa ha in funzione di un cambiamento radicale della società, ci torniamo a chiedere: che cosa dovrebbe essere la scuola?
Oggi riteniamo fondamentale dare una prima embrionale risposta a questa domanda. Vogliamo che il mondo dell’istruzione torni ad essere un ambito di cura nei confronti della collettività, un ambiente dove venga perseguito il bene comune tramite l’aiuto nella crescita di ognuno e ognuna, lo stimolo di curiosità e passioni, l’educazione al rispetto della vita, della natura e a valori quali l’antifascismo, l’antirazzismo, l’antisessismo, e l’opposizione all’omotransbifobia come ad ogni altra discriminazione. La scuola in quanto luogo di crescita delle generazioni che andranno a diventare il tessuto sociale della comunità futura dovrebbe incarnare il cambiamento che vogliamo vedere in essa. Se il sistema all’interno del quale siamo inseriti è in netta contraddizione con i valori umani di cui la scuola dovrebbe farsi portavoce, è la scuola stessa a dover trasmettere la consapevolezza e la necessità di dover far si che lo stato di cose esistenti cambi.
Un cambiamento radicale che rimetta al centro il ruolo di cura del bene comune che la scuola dovrebbe avere non può che passare per una rivoluzione dell’organizzazione interna degli istituti e della didattica stessa, rimasta invariata da decenni.
La situazione che stiamo vivendo, il colpo di grazia che la scuola sta ricevendo tramite la didattica a distanza e lo snaturamento ultimo dell’ambiente scuola, dimostrano come nessun riformismo sia più possibile. Se vogliamo che la scuola inizi ad incarnare il ruolo di cura di cui abbiamo tracciato delle prime linee di demarcazione, allora essa va ricostruita proprio a partire dagli studenti e dalle studentesse, riempiendo tutti quegli spazi, fisici e non, che questa situazione sta lasciando vuoti, coinvolgendo tutte quelle persone che di fronte a questo contesto si sentono abbandonate e dando vita con i mezzi e gli strumenti a nostra disposizione ad un’idea diversa di istruzione.
In quanto studentesse e studenti, ma anche in quanto giovani attiviste e attivisti per il clima che da un anno e mezzo animano le piazze di Fridays For Future, sentiamo la necessità di collegare finalmente la lotta climatica con quella studentesca. La scuola è il luogo che sta ospitando e formando le generazioni che dovranno confrontarsi direttamente con la crisi climatica ed ecologica, che dovranno salvare il mondo e costruire una società nuova. Di fronte a questa sfida il mondo della formazione ha l’impellenza di cambiare. Esigiamo che la scuola sia il luogo dove per primo prenda forma il cambiamento radicale e sistemico di cui abbiamo disperatamente bisogno, per affrontare la crisi climatica ed ecologica, per distruggere e superare il capitalismo che ci sta portando all’estinzione.
Diversi sono sicuramente i nodi da attaccare per poter iniziare un processo che veda avverarsi tutte le prospettive che fino ad ora abbiamo posto.
Il più evidente punto di congiunzione tra la lotta scolastica e quella climatica è ENI, multinazionale italiana dell’energia che continua a macchiarsi di crimini contro l’umanità e il pianeta, e alla quale è stato affidato il ruolo di educare le nuove generazioni al cambiamento climatico e al rispetto dell’ambiente. Un controsenso di un’ipocrisia inaccettabile. Questo tassello si aggiunge ad un processo di greenwashing che l’azienda porta avanti, che mira a farla percepire come una multinazionale “verde” quando in realtà essa è responsabile della distruzione del territorio nigeriano e congolese, della cacciata di alcune popolazioni del Mozambico per fare posto all’industria del gas, del disastro ambientale in Basilicata e sotto accusa di corruzione internazionale per la più grande tangente della storia. Non possiamo accettare che un soggetto del genere abbia accesso alle nostre scuole e men che meno sia delegato ad educarci rispetto alla questione ambientale, climatica ed ecologica. Vogliamo veri percorsi di formazione in merito, che ci diano gli strumenti per capire il presente e affrontare il futuro!
Altre grande contraddizione della situazione post-covid sono i trasporti pubblici. Da anni in molte città d’Italia studenti e studentesse lottano per un servizio di trasporto pubblico gratuito, sostenibile e quantomeno efficiente. Questa tematica oggi si inserisce anche in un contesto di cura e prevenzione in ambito sanitario. A poco servono mascherine, distanziamento fisico e banchi con le ruote se il trasporto pubblico al posto che venire potenziato per evitare il sovraffollamento dei mezzi, viene tagliato per risparmiare sulle spalle della popolazione scolastica. La questione di un reale welfare studentesco che andasse ad ammortizzare le spese che le famiglie degli studenti e delle studentesse devono affrontare ogni anno, è stata riposta come centrale durante la pandemia e in previsione della crisi economica che essa ha generato. Ora che la scuola è cominciata non possiamo che riaffermare con ancora più forza questa necessità.
Terza grande mancanza emersa in questa situazione è quella degli spazi. Abbiamo già affrontato in questo report il processo che ha portato al sovraffollamento delle classi, e come anche in questo caso tale dinamica si intrecci con la crisi sanitaria in atto. In molte città in tutt’Italia stiamo vivendo contemporaneamente una situazione di abbandono e svendita di diversi edifici, pubblici e non, in nome della cementificazione e della speculazione. Riteniamo fondamentale rimettere al centro la riappropriazione di questi spazi e l’utilizzo di essi per dare vita a nuove forme di socialità e formazione che vadano a riempire i vuoti lasciati dalla crisi odierna del mondo dell’istruzione.
Parallelamente anche gli spazi di agibilità politica nelle scuole e in città durante l’era del Covid sono stati drasticamente ridotti in nome del distanziamento fisico, della tutela, spesso fittizia, della salute e dell’emergenza sanitaria in generale. Basti pensare al divieto, tuttora vigente, di dare vita a cortei in città e alle mille difficoltà che riscontriamo nel poter parlare con i nostri compagni e le nostre compagne a causa dell’impossibilità di dare vita ad assemblee di istituto, dell’atomizzazione che la scuola pubblica sta subendo e della precarietà generale di questa situazione che spesso va ad ovviarsi nella didattica online.
Ogni centimetro di agibilità politica andrà riconquistato e preservato. Consapevoli della drastica realtà imposta dalla pandemia, essa va affrontata con spirito di cura nei confronti della comunità a cui apparteniamo, rimettendo però al centro il conflitto come parte della soluzione ad una crisi creata da un sistema nocivo per il bene comune che potrebbe andare a causare altre e nuove pandemie ed emergenze se il problema non venisse affrontato alla radice. Non vogliamo tornare alla normalità perché la normalità era il problema.
Ad una crisi causata su più fronti dall’aver messo sempre il profitto di fronte alla cura della collettività, il governo reagisce riconfermando di non considerare il bene della scuola tra le sue priorità, e riproponendo invece lo stesso meccanismo volto al solo profitto che ha originato questa situazione, sacrificando scientemente tutto il mondo della formazione sull’altare della ripartenza economica. La situazione che abbiamo di fronte è vaga e confusa, studenti e studentesse, come tutto il corpo scolastico, sono abbandonat* a loro stess*. La minaccia della didattica a distanza si è trasformata in normalizzata realtà con la nascita della Didattica Digitale Integrata, quindi metabolizzata dal nostro sistema scolastico come occasione e opportunità da sfruttare, nonostante studenti e studentesse la rifiutino, denunciando i mille problemi che essa crea e il fatto che questo tipo di digitalizzazione della scuola ne comporterà la morte. Sicuramente la scuola in cui torniamo a crescere, studiare, fare politica, socialità e aggregazione è completamente diversa da quella che avevamo lasciato a febbraio scorso. Ascoltare tutti quegli studenti e tutte quelle studentesse che hanno subito questa crisi sulla propria pelle sarà fondamentale per entrare in contatto con i nostri compagni e le nostre compagne, che molto avranno da dire sulla situazione attuale e su quella passata. Sarà fondamentale dotarsi di strumenti nuovi per affrontare la situazione in cui stiamo vivendo. Se la scuola ha perso il suo ruolo sociale, come centro della vita di migliaia di giovani, altri spazi vissuti e attraversati andranno ad aprirsi, dove dovremo essere in grado di entrare in contatto con tutti quegli orfani e quelle orfane di un mondo dell’istruzione moribondo.
La nostra esigenza primaria, quella della vita, si contrapposizione nettamente con le esigenze del sistema capitalista e ciò rende necessario fare tutto il possibile affinché si interrompa la catena che fa della scuola e, quindi di noi, strumento di riproduzione del sistema stesso. Riteniamo irriformabile l’istituzione scolastica, in quanto qualsiasi dinamica cristallizzata all’interno di essa sia irriducibilmente conforme allo scopo a cui è stata destinata e quindi la riproduzione degli assi di dominio, dei ruoli e delle gerarchie necessari al capitale per continuare a fagocitare ogni cosa. Ogni relazione, dinamica, attività e informazione veicolata diventa campo di battaglia, strumento di cui è necessario riappropriarci per fornire un’alternativa al presente.
Ci lasciamo con una considerazione di fronte all’anno scolastico appena iniziato che dovremo essere in grado di far vivere, durante e oltre l’autunno, con la consapevolezza dell’intersezionalità delle lotte che ogni giorno vengono portate avanti, e della necessità di agire e cambiare l’esistente che mai come ora sentiamo sulla nostra pelle.
Il sistema che da sempre contestiamo è arrivato a mettere a rischio l’esistenza stessa di un futuro che per noi, studentesse e studenti, non è una vaga datazione cronologica ma rappresenta il terreno su cui dobbiamo e dovremo sviluppare le nostre vite. Un terreno, quello, ad oggi inquinato, in fiamme, sconquassato dalle tempeste, infettato da virus e batteri, inondato dalle mareggiate, assente di qualsiasi prospettiva.
Tante volte in tutt’Italia si è sentita la voce di studenti e studentesse gridare “Riprendiamoci il futuro!” consapevoli che, riforma dopo riforma, stava venendo rubato da chi progettava un modello indegno sotto il quale schiacciare la vita di tutti e tutte. Oggi la situazione che ci si presenta davanti impone un altro imperativo: “Salviamo il futuro!” dai boia che in nome del proprio guadagno lo stanno condannando a morte.
Siamo di fronte ad una sfida epocale, non possiamo permetterci di perderla.
Da “La scuola nella crisi climatica. Assemblea nazionale studentesca al Venice Climate Camp” – 9 settembre 2020, Centro Sociale Rivolta (VE).