Non solo allevamento intensivo e soia: in Amazzonia a minacciare le terre indigene e’ anche la corsa all’oro il cui prezzo e’ volato durante la pandemia di Covid-19. Lo rivela un nuovo rapporto dell’Istituto per le risorse mondiali (World Ressources Institute, Wri) in base al quale piu’ del 20% delle terre indigene e’ esposto a concessioni minerarie e attivita’ minerarie illegali, per una superficie di 450 mila km2.
Il boom delle attivita’ di estrazione mineraria sta comunque colpendo a vari livelli circa il 31% di tutte le riserve indigene dell’Amazzonia. Mano a mano che il prezzo dell’oro cresce sul mercato mondiale – 2.100 dollari l’oncia lo scorso agosto, + 35% da inizio 2020 – aumenta la pressione sulle terre ancestrali all’interno del secondo polmone verde del pianeta, gia’ pesantemente indebolito da una deforestazione record in Brasile. Secondo Il Folha di San Paolo, tra gennaio ed agosto le esportazioni di oro brasiliano sono aumentate del 35%, per un importo di almeno 3 miliardi di dollari.
“L’estensione delle concessioni minerarie e delle aree minerarie illegali che si sovrappongono alle aree indigene dell’Amazzonia e’ molto piu’ significativa di quanto molti pensassero” ha detto Peter Veit, direttore dell’Iniziativa per i diritti sulla terra e le risorse del Wri, che chiede piu’ diritti legali per le comunita’ locali nel gestire le loro terre e maggiori tutele per l’ambiente. Secondo stime diffuse dalla stessa fonte, al momento mezzo milione di cercatori d’oro su piccola scala e’ in attivita’ nella regione amazzonica, ma solo meta’ delle concessioni sono state assegnate legalmente dalle autorita’ brasiliane. Per giunta il governo del presidente di estrema destra Jair Bolsonaro ha fatto arrivare al Congresso un progetto di legge per legalizzare le attivita’ minerarie anche nelle riserve indigene.
Del resto, come sta gia’ succedendo con gli incendi, dall’insediamento di Bolsonaro nel gennaio 2019, e’ aumentata l’invasione delle terre indigene da parte dei ‘garimpeiros’, ovvero i minatori illegali, responsabili di una crescita della deforestazione di almeno il 23% rispetto al 2018, mandando in fumo una superficie record di 10.500 ettari. Un dato allarmante riportato dal quotidiano locale O Globo, mentre a poco sono servite – e in alcuni casi hanno anche peggiorato la situazione – le operazioni militari lanciate dalle autorita’, ufficialmente per cacciare decine di migliaia di ‘garimpeiros’ dalla piu’ grande riserva indigena brasiliana, quella dei celebri Yanomani.
E’ altrettanto grave la situazione della riserva indigena Munduruku, nello Stato del Para, in cui investitori e minatori illegali pagano membri della comunita’ per poter entrare nell’area protetta e lavorarci dentro. “Una dinamica che poi altri Munduruku hanno imitato, provocando nuovi divisioni nella comunita’, oltre a problemi legati a droghe, prostituzione, alcool e violenze per non parlare del crescente inquinamento del fiume” ha denunciato un leader locale, Ademir Kaba Munduruku. Al momento, per vendere l’oro i ‘garimpeiros’ devono solo mostrare un documento d’identita’ e firmare un modulo. Per contrastare l’estrazione illegale, il thinktank brasiliano Instituto Escolhas (Choices Institute) ha aperto una consultazione pubblica per proporre alla Banca centrale del Brasile e alla Securities and Exchange Commission una nuova regolamentazione sugli acquisti d’oro, creando un apposito sistema di tracciabilita’. Anche l’estrazione legale sta avendo un costo elevato sulle popolazioni indigene del Brasile, di Peru’, Ecuador e Guyana. In molti casi le aziende non rispettano alla lettera le leggi vigenti ne’ gli accordi firmati con i governi, sfruttando le risorse in modo poco sostenibile e spesso inquinanti.
Foto: Mario Tama/Getty Images