La curva dei contagi sta risalendo in tutta Europa in modo preoccupante. Già nel Regno Unito, Francia e Paesi Bassi si stanno attuando o sono stati annunciati nuovi lockdown.
In Italia, dove la situazione è maggiormente “sotto controllo” ma non certamente rosea, il Governo ha emesso un ennesimo DPCM che entra in vigore oggi 14 ottobre 2020 e avrà validità sino al 13 novembre prossimo (proroghe permettendo).
Durante la conferenza stampa di presentazione, il Premier Giuseppe Conte ha dichiarato: «sono necessari altri sacrifici per affrontare la nuova fase ed evitare che il Paese piombi in un lockdown generalizzato. Non ci possiamo permettere distrazioni e abbassare il livello di attenzione e concentrazione. Chiediamo agli italiani uno sforzo di responsabilità e prudenza».
Le scelte del governo, secondo quanto riferito, sono legate agli studi che gli “esperti” – parola più volte utilizzata dal primo ministro in sede di conferenza stampa – hanno condotto in questi ultimi giorni e dai quali si è ricavata l’interconnessione tra relazioni familiari o amicali e aumento dei contagi.
Il DPCM, infatti, entra a spada tratta nelle relazioni e nella sfera privata delle persone. La misura tuttora più chiacchierata, non a caso, riguarda la “forte raccomandazione” di evitare feste nelle abitazioni private, nonché di evitare di ricevere persone non conviventi di numero superiore a sei. Dunque non un divieto (per ora), che sarebbe risultato assolutamente impraticabile a livello giuridico e organizzativo delle forze dell’ordine preposte a vigilare, ma una “raccomandazione”, volta ad una autoregolamentazione e responsabilizzazione demandata al singolo cittadino.
Eppure, ogni singolo fa parte di una macro-organizzazione che va ben oltre le quattro mura del focolare domestico! Sin dal mattino, se pendolare, dovrà immettersi insieme a centinaia di persone in un circuito di trasporti urbani, regionali, quotidianamente stipati, specie se nelle ore di punta della giornata.
A riguardo, nonostante i rumors davano per fatta la riduzione della capienza massima all’80%, il DPCM non regolamenta nulla di nuovo e rimanda alla specifica evergreen di attenersi ai Protocolli Sanitari di prevenzione al Covid-19. Tutt’oggi, a bordo di alcuni treni regionali viene enunciata, da una voce registrata, la “decisione” di viaggiare con una capienza pari all’80% di quella massima, ma nessuno controlla quanta gente salga a bordo né tanto meno ci sono zone sedili dei treni non utilizzabili.
Cosa rilevante, in palese controtendenza, si ritrova all’interno dell’art. 1 comma 6 lettera ii) in cui si legge che «il Presidente della Regione dispone la programmazione del servizio erogato dalle aziende del trasporto pubblico locale, anche non di linea, finalizzata alla riduzione e alla soppressione dei servizi in relazione agli interventi sanitari necessari per contenere l’emergenza COVID-19». Ne consegue che il DPCM prevede – a fronte dell’aumento dei contagi – la riduzione al minimo dei trasporti, la cui erogazione deve, comunque, non si sa in che modo, «essere modulata in modo tale da evitare il sovraffollamento dei mezzi di trasporto nelle fasce orarie della giornata in cui si registra la maggiore presenza di utenti».
A quanto pare, il ragionamento – nelle menti dell’Esecutivo – fila come l’olio: da un lato si raccomanda fortemente ai lavoratori e alle lavoratrici, laddove possibile, di passare allo strumento dello smart working, dall’altro, si autorizza ancor di più alla diminuzione dei trasporti pubblici, in palese controtendenza rispetto a quanto viene avanzato dalle parti sociali e a quanto sarebbe dettato dalla razionalità.
Eppure, dovrebbe essere ben noto che non tutti possono usufruire dello strumento del lavoro agile, e che – come specificato dalla ministra Azzolina – gli studenti continueranno ad andare a scuola, essendo stata bocciata la richiesta di Didattica a Distanza avanzata dalle Regioni.
Il Governo, ad oggi, appare come un intermediario che si muove su un terreno scivoloso: non fa veti poiché si rimette all’autocoscienza dei singoli, si comporta come un “padre di famiglia” che dirama pompose raccomandazioni che, in soldoni, sembrano più soluzioni mediatiche che altro.
Invero, ad oggi non esiste una piattaforma di ausilio per i lavoratori dello spettacolo, ma si persiste con il divieto di non più di 200 spettatori per eventi in luoghi chiusi, provvedimento che decreta la quasi-morte di questo settore.
Si consentono le attività di palestre e piscine e lo sport per le discipline associate ad associazioni ed enti di promozione sportiva, ma sono invece vietate tutte le gare, le competizioni e tutte le attività connesse agli sport di contatto aventi carattere amatoriale, che, a parte nella denominazione, poco hanno di diverso dalle associazioni di promozione sportiva. Si può continuare ad andare in piscina, ma non si può giocare una partita di calcio con gli amici, anche se in un campo all’aperto.
Per evitare assembramenti i locali non potranno dopo le 21 servire cibo e bevande da consumare in piedi davanti ai locali e a mezzanotte tutti gli esercizi commerciali dovranno essere chiusi. Fino alle 21 viene richiesto il buon senso, dopo la mezzanotte scatta il coprifuoco.
La schizofrenia è semplice da spiegare: bisogna provare ad evitare le chiusure – anche se molti saranno costretti ugualmente a farlo – di esercizi commerciali, centri sportivi, palestre, e luoghi che abbiano a che fare con flussi economici onde preservare lavoro, reddito ed economia.
Una ratio ragguardevole, in fondo, ma che rende il DPCM un mero esercizio familista di parole inutili.
Il problema reale, sul piano politico, è che non ci sia stata alcuna emancipazione dalla logica emergenziale nella gestione della pandemia. Nessun investimento strutturale nelle public utilities, nessun sostegno ai redditi, nessuna ricollocazione delle risorse nel Welfare: solo scaricamento verso il basso delle responsabilità.
Al momento, seppur non si corra ancora ai ripari, l’emergenza che si erge all’orizzonte è nuovamente quella sanitaria. Secondo il monitoraggio dell’Istituto Superiore della Sanità, l’Italia nell’autunno-inverno potrà ritrovarsi da uno scenario con una bassa incidenza a quello, ultimo e più pericoloso, in cui la situazione sfugge di mano, con indice Rt sopra all’1,5.
Il sistema sanitario nazionale tornerà ai limiti della sopportazione, mostrandone i deficit e le inadeguatezze. A farne le spese saranno ancora una volta, le fasce più deboli della popolazione, senza contare il peggioramento delle condizioni di lavoro degli operatori sanitari impiegati nelle aziende ospedaliere e nelle attività di soccorso extraospedaliero.
La sanità si ritroverà sotto innumerevoli sforzi, specie in alcune Regioni del Sud e dove la il sistema è stato colpevolmente privatizzato, ed il Governo, nei mesi antecedenti all’irreparabile, avrà diramato raccomandazioni singole, vietato sport amatoriali e ricordato i crismi imprescindibili: distanziamento, igiene e sanificazione.
Ma quanto potrà servirci tutto ciò di fronte ad uno scenario economico, sociale, sanitario così drammatico?