Mercoledì 14 ottobre, alla biblioteca Sala Borsa di Bologna, Wu Ming 2 e Giuseppe Palumbo, affiancati da Tiziana Roversi, hanno presentato La battaglia della merda, ultima uscita della collana «Fatterelli bolognesi» della casa editrice Minerva.
Il libro – scritto e illustrato per bambini dai 10 anni in su – era pronto già da fine marzo, ma tra lockdown e mascherate, arriva in libreria soltanto in questi giorni.
Il “fatterello” che ispira queste pagine accadde a Bologna tra il 1327 e il 1334, nel bel mezzo delle lotte tra guelfi e ghibellini, quando la città era governata dal francese Bertrando del Pogetto, rappresentante del Papa in Italia, durante il trasloco dei pontefici ad Avignone.
La battaglia del titolo, in particolare, è quella che permise ai Bolognesi di cacciare l’infame Bertrando, dopo averlo assediato per due settimane nel suo castello nuovo di pacca, usando come arma quintali di merda.
Quello della battaglia fecale è un topos letterario – che sia un assedio o una ribellione – e di solito è pressoché impossibile stabilire, nei resoconti di episodi del genere, dove finisca la Storia e dove inizi la leggenda.
Nel caso di Bologna, tuttavia, abbiamo almeno una fonte storica che racconta nel dettaglio quanto accadde. Una cronica di poco successiva agli eventi, scritta nel 1357. E’ un testo in volgare, che Carlo Emilia Gadda considerava di grande qualità letteraria, e che il filologo Giuseppe Billanovich ha attribuito a Bartolomeo di Iacovo da Valmontone. Il testo racconta la disastrosa guerra che Bertrando volle condurre contro Ferrara, e per la parte che ci interessa recita così:
Ora fu puosto lo assedio allo bello e nobile castiello dello legato. Lo assedio stette dìe quinnici. L’acqua li fu toita, perché lo curzo li fu rotto. Dentro era fodero de pane, vino, carne inzalata e moite cose. Li Bolognesi traboccavano lo sterco dentro dello castiello e valestravano.
Nel 1981, Dario Fo utilizzò questa cronica per costruire l’ultimo monologo del suo Fabulazzo Osceno, intitolato La battaglia di Bologna, e scritto nel grammelot dialettale che è un marchio di fabbrica del grande drammaturgo lombardo:
Sul Castèlo uno sgranghignasse che nol se pòl dire! I Provenzàli manco i se move. «Ma che rasa de guèra l’è quèsta?» E de bòta ariva tüti i compàri e i amìsi che vegn de Modena, de Mantova, tüti i aleàti de i Bulugnés cu’ vegn anco de Régio, de Forlì; u arìva de partüto quèsta zénte: «Ehi, Bulugnés, gh’ avit besogn de aiuto?»«Sì, merda! Tüta quèla che gh’it! Dòpo ve la darèm indrìo… quando podémo»
Tenendo come riferimenti la cronica del 1357 e il fabulazzo del 1981, Wu Ming 2 ha rivisitato la vicenda, raccontandola con la voce di un operaio, un manovale edile, che ce l’ha a morte con Bertrando per due motivi molto precisi. Il primo, è che ha lavorato per costruire il suo castello ed è stato trattato… di merda; il secondo è che gli è toccato pure andare in guerra contro Ferrara, si è salvato la pelle per un pelo, mentre due amici gli morivano sotto gli occhi. Saranno lui e sua moglie ad avere un ruolo chiave nella riuscita dell’assedio.
Delle altre caratteristiche del testo, e delle magnifiche illustrazioni, si è parlato più nel dettaglio durante la presentazione. Potete ascoltare qui sotto gli interventi di Wu Ming 2 e di Giuseppe Palumbo, le domande del pubblico e la discussione successiva.
Buon ascolto e buona lettura.
La battaglia della Merda – incontro in Sala Borsa, Bologna del 14 ottobre 2020
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