Epidemie e controllo sociale di Andrea Miconi è un libro importante, togliamolo dal cono d’ombra e dall’oblio

Epidemie e controllo sociale

Epidemie e controllo sociale

di Wu Ming

Grazie a una recensione di Roberto Ciccarelli sul Manifesto abbiamo letto – si divora in un’ora e mezza – il pamphlet di Andrea Miconi Epidemie e controllo sociale (Manifestolibri, 2020).

Abbiamo scoperto che è uscito a giugno, il che non toglie assolutamente nulla alla sua attualità, anzi: dimostra senza equivoco che i nodi di fondo sono rimasti gli stessi. Tutti.

Non conosciamo i motivi per cui il Manifesto lo ha recensito solo quattro mesi dopo. Altre recensioni per ora non ne abbiamo viste, fino all’altro giorno di quest’uscita non sapevamo nulla. L’impressione è che non sia nemmeno semplice reperirlo. Molti fattori, su cui è inutile soffermarsi qui, sembrano aver remato contro la sua diffusione.

Ma è un libro importante e merita molto miglior sorte.

Miconi è un sociologo, per la precisione un sociologo dei media, e qui propone una sintesi ragionata, scritta benissimo e puntuta, delle narrazioni tossiche della primavera scorsa, le stesse con cui ci ritroviamo ad avere a che fare in questi giorni.

Leggendo, abbiamo ritrovato in sequenza tutte le storture ideologiche e comunicative, le strategie di deresponsabilizzazione adottate dalla classe dirigente di fronte alla pandemia, le disastrose confusioni – un bell’esempio di Made in Italy, per fortuna imitato in pochi altri paesi – tra «lockdown» e arresti domiciliari di massa, i capri espiatori, le sanzioni assurde, gli orrori giuridici, amministrativi e mediatici, le deprimenti capitolazioni della “sinistra”, e i meccanismi che hanno cooptato i virologi nella politica-spettacolo trasformandoli in guitti che litigano tra loro nei talk-show.

Tutto attualissimo, tutte cose che qui su Giap abbiamo passato in rassegna e che – proprio come fa Miconi – abbiamo ricostruito ex post come reazione a catena causata dal rifiuto governativo (nazionale e regionale) di dichiarare zona rossa i comuni di Alzano e Nembro.

Miconi ha scritto il suo testo prima che fossero parzialmente desecretati i verbali del CTS del marzo scorso. Oggi noi sappiamo che ci fu il preciso intento politico di non chiudere, plausibilmente per non dispiacere Assolombarda. Di fronte a questa rivelazione, i fan del governo hanno fatto spallucce.

Sei giorni dopo la mancata chiusura in val Seriana il governo, in preda al panico, chiuse le nostre vite. I verbali desecretati dimostrano che la decisione non si basò su alcuna evidenza scientifica. Spallucce pure su questo.

Dopodiché, a colpi di deroghe – è ricordato anche nel pamphlet  – il governo tenne aperta la maggior parte delle fabbriche lombarde e non solo, cosa che fu oggetto di una nostra inchiesta pubblicata il Primo Maggio.

Poi, per mesi, ci siamo dovuti sorbire la retorica sul «modello Italia», su «noi che abbiamo fatto meglio di chiunque», su «tutti che vogliono imitarci», sugli «elogi che piovono sul nostro Paese per come ha gestito la pandemia».

In realtà non c’è alcuna prova scientifica che nella tarda primavera la curva dei contagi si sia abbassata grazie a questo fantomatico «modello». Le curve dei paesi europei hanno andamenti molto simili, che si sia adottato un pacchetto di provvedimenti o un altro, che si sia fatto il «lockdown hard» o «light», che le persone siano state blindate in casa (sorvegliate da vicini, polizia e droni) o che abbiano potuto uscire (senza alcuna autocertificazione), che sulla lavagna si sia dalla parte dei «bravi» (dove ci siamo autocollocati noi, a dispetto del record di morti in Europa) o degli «inetti» (il Regno Unito di Boris Johnson).

E intanto, pur attendendo la nuova ondata, non si faceva nulla per potenziare davvero la sanità, per potenziare i trasporti ecc. No, si parlava della «movida», a volte inventandola anche dove non c’era, per fare lo scoop.

Era evidente che, in caso di guai, si sarebbe di nuovo data la colpa a cittadine e cittadini, sparando nel mucchio, per disperdere la responsabilità orizzontalmente.

In Epidemie e controllo sociale Miconi anticipa anche questo, e anche il fatto che gran parte dei cittadini ci sarebbe ricascata, dando il proprio consenso acritico a nuove restrizioni anche surreali, finendo per

«concedere allo Stato quello che non accetteremmo da nessuno, e in nessun altro campo dell’esistenza: giustificare una mancanza con le proprie precedenti mancanze».

Le pagine più dure sono quelle sull’orrore mediatico quotidiano, che però viene analizzato come elemento di una «tempesta perfetta»:

«dall’alto il desiderio delle istituzioni di nascondere le responsabilità per la gestione fallimentare dell’epidemia; dal basso, la deriva verso la delazione di una maggioranza di persone impaurite; nel mezzo, la passione dei giornalisti per lo stereotipo, e il loro compiacimento per gli indici di ascolto che salgono, di qua, e per le battute paternaliste dei potenti di turno, di là.»

Ma quello di Miconi non è solo il compendio di una fase (con messa in guardia sul fatto che non eravamo usciti). No, a essere utilissime sono anche le analisi su populismo, familismo, confusione tra comunità e società, paternalismo autoritario e altre tendenze dell’ideologia italiana che con l’arrivo della pandemia sono state portate all’apice.

Meritevole anche lo smontaggio della retorica intorno all’app Immuni, con anticipazione del perché non avrebbe funzionato (e del perché forse è stato meglio così).

Consigliatissimo, davvero. Cerchiamo di procurarcelo in ogni modo, ordiniamolo nella libreria di fiducia (per noi è sempre la prima scelta) o in rete, segnaliamolo, facciamo girare titolo e copertina, e magari dopo averlo letto scriviamo all’autore.

Qui sotto i commenti sono aperti, ma consigliamo vivamente di commentare solo dopo aver letto il libro.

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