Giovedì 5 novembre il Collettivo Universitario S.P.A.M. e l’ Associazione Ya Basta! Êdî Bese! hanno fatto un presidio sotto Palazzo Bo, sede dell’Università di Padova. Queste le richieste fatte al Rettore: prendere seriamente in considerazione l’utilizzo di piattaforme libere, mirando quindi a contrastare il monopolio che le grandi aziende di comunicazione posseggono riguardo i dati e le informazioni di migliaia di student*; interrompere gli accordi con ENI e altre multinaziona; prendere una posizione pubblica non ambigua sulla questione palestinese, che superi la retorica della soluzione dei due Stati (evidentemente non più percorribile) e condanni la politica colonialista di Israele. Di seguito un testo che spiega meglio il senso dell’iniziativa.
“Piattaforme d’oro”: così titola uno degli ultimi editoriali del Bo Live[1], webzine ufficiale dell’Ateneo patavino. Nel video, il Professor Telmo Pievani si chiede se sia giusto che un oligopolio di aziende private abbia egemonizzato la gestione dei dati e delle piattaforme comunicative digitali, avendo così la possibilità di controllare aspetti estremamente importanti della nostra vita sociale, lavorativa e universitaria. Ce lo chiediamo da tempo anche noi e non abbiamo potuto fare a meno di notare come certi processi siano stati velocizzati e catalizzati dalle chiusure che la pandemia ha imposto e che hanno portato a dover implementare la didattica a distanza, il telelavoro e lo spostamento dalla forma fisica a quella digitale dei seminari e delle conferenze. Ci chiediamo, soprattutto, che prezzo siamo disposti a pagare nel compromesso che vede un ente libero per definizione e dotato di autonomia come l’Università, affidare la gestione dei dati a delle aziende che inseguono esclusivamente il profitto e che in passato sono già state al centro di scandali proprio legati alla mancanza di trasparenza nella gestione di queste informazioni, se non addirittura nella cessione di questi dati a governi e partiti politici.
Lupus in fabula: lo scorso 23 settembre docenti e studenti dell’Università di San Francisco, coordinati dalla direttrice del centro di studi arabi dell’Ateneo, si sono visti boicottare un webinar dal titolo “La narrativa di chi? Genere, Giustizia e Resistenza”[2]. Il motivo? Il relatore principale avrebbe dovuto essere Leila Khaled, icona della lotta anti-coloniale palestinese e membro del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, bollata come organizzazione terroristica dal governo USA a seguito della partecipazione al dirottamento di due voli di linea -senza vittime o feriti- nel 1969 e 1970, quando internet non esisteva e questi gesti erano tra i pochi efficaci a portare alla ribalta la questione palestinese agli occhi dell’opinione pubblica internazionale.[3]
Sia Zoom che YouTube e Facebook hanno cancellato l’evento a poche ore dall’inizio, su pressione di gruppi filo-sionisti ed il Rettorato dell’Università di San Francisco ha subito passivamente le scelte delle piattaforme di comunicazione via web, ignorando le richieste degli organizzatori del webinar.
Ci sembra quanto mai inverosimile che le aziende in questione, che inseguono esclusivamente il profitto, possano condividere gli stessi obiettivi della scuola e dell’università, ovvero la crescita dell’individuo attraverso la garanzia della libertà di espressione, l’accesso alla conoscenza ed al dibattito il più possibile plurale e disinteressato e temiamo che avvenimenti del genere possano diventare la normalità se non viene intrapreso immediatamente un percorso che ci porti a sviluppare delle piattaforme libere (free)e trasparenti (open) che siano bene comune delle Università. Ci sono, infatti, due visioni che partono da concezioni diametralmente opposte sul ruolo che le Università debbano giocare all’interno della società: sono aziende che erogano servizi, come i corsi on-line o luoghi che formano l’individuo, stimolandone il pensiero critico attraverso il confronto plurale?
L’Università che vogliamo e che difendiamo è un luogo fisico oltre che virtuale, aperto a tutte e tutti, dove le persone si incontrano e dove nascono idee alternative, indipendenti dalle catene che costringono le scelte dell’uomo economico, come ha fatto notare Jacopo Vivian, assegnista di ricerca e docente a contratto presso l’Università di Padova, che ha preso la parola durante il flash-mob.
Chiediamo non solo spazi per la semplice didattica, ma anche luoghi (fisici e virtuali) in cui dal confronto libero e non direzionato possano nascere nuovi saperi e critiche rispetto al mondo che ci circonda.
Nell’Università che stiamo vedendo costruire (o forse sarebbe meglio dire “smantellare”) vediamo, invece, le Amministrazioni – sempre più simili a CDA aziendali – che inseguono il risultato numerico, puntando sulle eccellenze e tagliando le risorse ai corsi più inefficienti o inadatti all’inserimento nel mondo del lavoro.[4] In questa visione dell’Università come polo di eccellenze soprattutto tecnologiche, è ancora possibile coltivare un pensiero libero, indipendente ed alternativo?
Proprio la scorsa settimana, il Ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio è volato in Israele per formalizzare con il suo omologo Ashkenazi degli accordi di cooperazione[5] che riguardano la ricerca congiunta, la difesa (d’altronde Israele può fornire la garanzia di know-how “tested on Gaza civilians”!), le piattaforme e le strategie tecnologiche per l’estrazione e l’esportazione di gas naturale che hanno coinvolto anche aziende partecipate dello Stato come SNAM[6] ed ENI[7], ed infine la fornitura di un ingente numero di vaccini anti-Covid di Astra Zeneca non appena saranno resi disponibili.[8]
I due ministri, prima di siglare gli accordi, si sono prodigati con i giornalisti nel tessere le lodi dell’Accordo di Abramo che prevede la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Israele ed alcuni paesi arabi. Questo accordo non ha nulla che si possa definire democratico, lo scopo fondamentale di queste nuove alleanze è, infatti, quello di far pressione sui palestinesi, perché facciano marcia indietro sulle loro richieste politiche ed umanitarie fondamentali -radicate, per altro, nel Diritto internazionale e nelle risoluzione ONU-, senza richiedere la fine dell’occupazione militare. Rappresenta, invece, un ottimo affare commerciale per Tel Aviv, Washington ed i relativi alleati. Si sono inoltre dichiarati dispiaciuti per la posizione dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) di non riconoscere tale accordo come “uno sforzo verso il processo di pace in Medio Oriente” (a proposito della narrazione coloniale di cui sopra…). Tutto questo guardandosi bene dal menzionare avvenimenti recenti e di grande importanza nei territori in cui Di Maio ha messo piede, come lo sciopero della fame che si protrae da oltre 102 giorni del prigioniero Maher Al-Akhras[9], che sta sacrificando la sua vita per denunciare le detenzioni amministrative senza capo d’accusa, spesso legate a torture, che Israele utilizza da sempre come strumento repressivo nei confronti della resistenza palestinese, oppure il recente rapporto di Save The Children che denuncia le torture subite dai minori palestinesi nelle carceri israeliane.[10]
Perché gli Atenei, nel momento in cui si ritrovano a stringere partnership di collaborazione internazionale, non prendono una posizione pubblica non ambigua nei confronti della questione palestinese e delle politiche di Israele, dato che la questione etica e morale è più che mai dirimente?
Con queste domande il collettivo universitario S.P.A.M. e l’Associazione Ya Basta! Êdî Bese! hanno lanciato lo scorso giovedì 5 novembre un flash-mob sotto al Palazzo del Bo, sede storica dell’Università di Padova e sede del Rettorato, chiedendo di essere accolti in udienza.
Una delegazione dei due collettivi è stata ricevuta dal prorettore al trasferimento tecnologico ed ai rapporti con le imprese Prof. Fabrizio Dughiero.
Dalla discussione, sono emersi i seguenti punti:
L’utilizzo di piattaforme quali Zoom e Google è già stato oggetto di discussione da parte dell’Università che si è dichiarata consapevole della poca eticità nell’affidare la didattica a distanza a multinazionali di questo calibro. È stato assicurato che la questione verrà portata all’attenzione della governance universitaria. Soddisfatti che la pressione fatta abbia portato a questo pronunciamento però tardivo, in quanto la questione poteva essere affrontata durante gli ultimi otto mesi, durante i quali la DaD ha assunto una posizione centrale e sistemica nel dibattito. Purtroppo, la generale arretratezza digitale dell’università italiana in generale, come quella dell’ateneo patavino, ha finito per portare alla svendita in blocco a queste piattaforme di tutti gli spazi universitari nel momento in cui si sono trasformati da fisici a digitali a causa della pandemia. Nelle ore cruciali in cui la trasformazione è avvenuta, non ci si è resi conto della portata del cambiamento in corso: utilizzare altre piattaforme adesso ci costerà già mesi e mesi impiegati dai decine di migliaia di studenti e migliaia di professori per adeguarsi a questi strumenti.
Riguardo le relazioni con Israele, ci è stata evidenziata l’importanza della libertà della ricerca e del suo dover essere slegata da vincoli politici. D’accordo, ma qui non parliamo solo di politica ma di etica della ricerca.
Non si può parlare di libertà se si collabora con un governo che limita quella dell’intero popolo Palestinese. Non si può parlare di etica con un governo come quello Israeliano, che fa ricerca sulla pelle di migliaia di civili e che uccide i palestinesi.
L’ultima questione trattata è stata quella degli accordi con ENI, dei quali l’Università si fa vanto, in quanto uno degli atenei fiore all’occhiello in Italia per la ricerca, motivo per il quale è stata scelta accuratamente dall’azienda. L’Università di Padova si fa promotrice della riconversione green di ENI, affermando che devastazioni come quelle presenti nel Delta del Niger[11] appartengono al passato, dimenticandosi forse del processo per corruzione in corso che vede Eni sul banco degli imputati. Il collettivo universitario S.P.A.M., ha già affrontato più volte la questione, evidenziando il fatto che una riconversione, soprattutto se non portata avanti in maniera radicale, è inutile e comunque, nel mentre, l’azienda continua a perpetuare le sue politiche estrattiviste, devastando popoli e territori. Se ENI è davvero disposta ad una reale conversione, inizi dal prendersi le responsabilità dei danni di cui è stata causa, come ad esempio il disastro ecologico ed umanitario nel Delta del Niger, solo per citare uno dei casi più eclatanti. Se l’Università vuole aiutare ENI nella riconversione ecologica, subordini il suo aiuto allo stop delle estrazioni petrolifere, che ogni anno invece vengono aumentate dall’azienda. Altrimenti più che riconversione stiamo parlando di greenwashing.
Queste non sono risposte soddisfacenti, vogliamo un cambiamento che sia radicale.
Continueremo a lottare per un’Università che sia per student* e non per grandi multinazionali private; per un’Università che adotti pratiche che non calpestino i diritti umani, ma anzi se ne facciano carico.
[1] https://ilbolive.unipd.it/it/news/leditoriale-piattaforme-doro
[2] https://www.middleeasteye.net/news/zoom-criticised-cancelling-leila-khaled-webinar
[3] https://electronicintifada.net/content/bio-shows-why-leila-khaled-remains-icon-resistance/11324
[4] https://www.ilgiornale.it/news/atenei-potano-i-rami-secchi-4-anni-cancellati-800-corsi.html
[5] https://www.esteri.it/mae/it/sala_stampa/archivionotizie/approfondimenti/il-ministro-luigi-di-maio-incontra-il-ministro-gabi-ashkenazi.html
https://nena-news.it/di-maio-vola-in-israele-e-rafforza-lunione-tra-roma-e-tel-aviv/
[6] https://quifinanza.it/finanza/snam-firmati-accordi-in-israele-su-idrogeno-e-mobilita-sostenibile-a-lng/428410/
[7] https://pubs.spe.org/en/jpt/jpt-article-detail/?art=6429
[8] https://www.corriere.it/cronache/20_ottobre_26/coronavirus-ultime-notizie-dall-italia-mondo-covid-19-8e03c1d2-1758-11eb-a554-aa444d891737.shtml
[9] https://www.middleeasteye.net/news/israel-palestine-akhras-hunger-strike-prisoner
[10] https://www.savethechildren.it/blog-notizie/la-condizione-dei-minori-palestinesi-nelle-carceri-israeliane
[11] https://www.theguardian.com/business/2020/jul/22/prosecutors-seek-jail-terms-shell-eni-executives-nigeria-oil-deal