La variante inglese: The Ripper, l’Emergenza e il tempo che ci attende

di Wu Ming 4

Il documentario Netflix in quattro episodi sullo Squartatore dello Yorkshire ci racconta che un tempo – negli anni Settanta – i movimenti sapevano affrontare politicamente l’Emergenza.

Tra il 1975 e il 1981 questo emulo del più celebre Jack the Ripper uccise 13 donne e ne aggredì un’altra mezza dozzina. Senza spoilerare sulla detection e su come gli inquirenti arrivarono a risolvere il caso dopo cinque anni di indagini, basti dire che fu una delle inchieste più lunghe e dispendiose nella storia della giustizia britannica, al cui confronto quella sul vecchio Squartatore vittoriano – che pure era il modello – pare di ben minore conto.

Era l’alba del declino del nord industriale, e i quartieri operai del West Yorkshire, in quella grande area che andava da Leeds a Manchester, con le loro città satelliti, iniziavano ad assomigliare a ghetti o si “riconvertivano” a luci rosse. Ed ecco comparire le prostitute bersaglio dello Squartatore: corpi abbandonati in un campo, o meglio nella waste land dietro una fabbrica o una fila di casette a schiera, in mezzo a sterpaglie e mobili sfasciati. Con il cranio sfondato a martellate e il petto pugnalato a colpi di cacciavite.

Fino a circa metà del racconto le donne compaiono soprattutto così, come vittime, in fototessere bianco e nero, oppure come parenti delle vittime, o ancora come vittime potenziali intervistate nei night club o nei pub di Leeds. Le voci narranti principali sono quelle maschili, gli “eroici” poliziotti e funzionari nelle interviste di repertorio o sopravvissuti al trascorrere del tempo.

Tutto cambia quando entrano le voci delle donne, e delle femministe in particolare, che raccontano la storia da tutt’altro punto di vista, ribaltandola completamente. Il movimento narrativo è tanto efficace quanto spiazzante e carico di implicazioni.

Il succo del racconto delle attiviste e giornaliste che seguirono il caso e che lo ricordano molti anni dopo, è presto detto: a un serial killer che ammazzava donne sole, di notte, dopo averle rimorchiate, la polizia e i mass media appiccicarono l’etichetta di «killer delle prostitute». Questo portò con sé tutto lo strascico di illazioni e pregiudizi sullo stile di vita delle vittime, spesso giovani donne proletarie con tanti figli, costrette magari a fare marchette per integrare il magro sussidio. E anche se altre vittime erano ragazze borghesi e dabbene, una volta scattata la narrazione tossica maschilista e moralista niente poteva scalfirla: le uniche vere vittime erano le prostitute (le malefemmine), mentre le altre erano errori di valutazione del killer, che le scambiava per prostitute perché le trovava in giro di sera da sole. Non era un uomo che odiava le donne, ma un folle giustiziere puritano. E siccome il killer era così sbadato, il consiglio delle autorità che, come si suol dire, brancolavano nel buio fu per tutte: «Donne, restate a casa la sera».

Così il patriarcato suggellava la propria autonarrazione: la cultura sessista che aveva partorito il maniaco era la stessa che finiva per trovare il rimedio all’abominio maschile nella limitazione dell’autonomia delle donne, di fatto scaricando la colpa della mortalità reale sui loro comportamenti «irresponsabili», che fossero prostituirsi o uscire la sera per socializzare e divertirsi.

Mentre le indagini si facevano tanto più accanite e dispendiose quanto più mancavano il bersaglio, le femministe del West Yorkshire reagirono facendo cortei notturni e rivendicando la libertà di uscire di notte da sole e in sicurezza. La buttarono, giustamente, in politica. Lo fecero rovesciando in senso paradossale lo slogan delle autorità, per rivelarne il vizio concettuale. Dai cortei partiva il grido: «Gli uomini a casa!». Il senso evidentemente era che se la risposta a una minaccia reale è la clausura, perché questa dovrebbe valere per le potenziali vittime e non invece per i potenziali carnefici?

Le femministe affermavano che l’opzione resta-a-casa confermava i rapporti sbilanciati, la subordinazione e soprattutto la vittimizzazione delle donne. Come risposta all’emergenza equivaleva ad accettare che la società regredisse culturalmente e politicamente, perché là fuori si rischiava di morire. E loro a questo ricatto non volevano sottostare. Volevano vivere.

Vedendo le immagini di repertorio e ascoltando le interviste a queste tipe tostissime, viene da pensare che c’è stato un tempo in cui anche di fronte a un pericolo reale, anzi, proprio di fronte a un pericolo reale il movimento che cambia lo stato di cose presente attivava strumenti di analisi e di lotta comunicativa e politica per ribaltare il tavolo apparecchiato dai dittatori inetti. E li dipingeva per quello che erano: goffi ominicchi, prigionieri delle proprie false credenze e pregiudizi piccolo-borghesi, che mentre davano la caccia al mostro, paradossalmente reggevano il moccolo della sua weltanschauung schizoide. Un po’ come voler fermare un’epidemia continuando a mandare gli operai in fabbrica per poi chiuderli in casa nel tempo libero, o aprendo i negozi per poi accusare la gente di entrarci.

La logica paradossale dell’apertura/chiusura non può affrontare l’emergenza. Gli sbirri di Sua Maestà non potevano catturare lo Squartatore, se non grazie a un clamoroso colpo di fortuna. Così come i nostri dittatori inetti non possono fronteggiare la pandemia, possono solo aspettare che passi o che Madonna Scienza faccia il miracolo, fornendo il vaccino a tutti (e sperare che sia buono). Vaccino che ci salverà la vita, ma non ci salverà dalla miseria, dall’autoritarismo, dalla paranoia, dal non senso, che nel frattempo si sono radicati nella nostra vita e nella società. Con il placet dei movimenti che non cambiano lo stato di cose presente, ma anzi, lo legittimano spacciandolo per l’unica soluzione possibile e trasformandosi nella propria nemesi. There Is No Alternative.

Nella miniserie c’è un sottotesto implicito o involontario, chissà. Lo si coglie di sfuggita, quando affrontando gli eventi del 1979, si mostrano le immagini dell’insediamento di Margaret Thatcher a Downing Street, dove sarebbe rimasta per gli undici anni successivi (fantastica l’interpretazione che ne dà Gillian Anderson in un’altra serie Netflix, The Crown). Quando nell’81 il caso trova una soluzione, la Lady di Ferro è ormai saldamente al potere e negli USA viene eletto Ronald Reagan, suo degno compare. Il caso dello Squartatore dello Yorkshire accompagna questo passaggio dalla seconda metà degli anni Settanta all’inizio degli anni Ottanta, quelli in cui la risacca dei movimenti avrebbe visto sorgere il neoliberismo, con il suo falso sogno di arricchimento per tutti, la macelleria sociale, la repressione dei sindacati. Dissero che quella cura da cavallo serviva per riprendersi dalla recessione economica degli anni Settanta. Senz’altro servì a chiudere i conti con un’epoca e a inaugurarne una nuova.

Vedremo cosa toccherà a noi nel tempo post-pandemico che si apre davanti.

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