di Marco Bersani, Attac Italia e CADTM Italia*
articolo pubblicato su il manifesto del 16.01.2021 per la rubrica Nuova finanza pubblica
Mentre il Paese è ancora attraversato da una pandemia che lo ha messo in ginocchio, dentro la sfera istituzionale va in scena il teatro dell’assurdo di una crisi di governo, incomprensibile ai più, dettata da ambizioni personali e dallo scontro di potere in vista dell’arrivo di fondi che dovrebbero servire alla rinascita del Paese.
Ma se sulle prime poco si può fare, essendo il narcisismo un virus senza vaccino, sul secondo è bene fare un po’ di chiarezza, poiché da quanto traspare nella comunicazione politica e mass-mediatica sembra proprio si scambino lucciole per lanterne.
Partiamo dal Mes, agitato come una clava da Renzi e presentato da quasi tutti i partiti e stampa come un regalo di 36 miliardi per medici, infermieri, ospedali e assistenza, cui solo la tigna dell’ideologia impedisce di accedere.
É davvero così? Ci sono 36 miliardi per la sanità che, per colpa di qualcuno, stiamo buttando via?
La realtà è un’altra: il Mes è una delle modalità di reperimento di risorse per coprire le spese previste nel comparto sanitario, spese già approvate con la legge di bilancio, e il cui ammontare è indipendente dalle modalità con cui le si finanzia. Non ci sono 36 miliardi in più, c’è solo la possibilità di finanziare una parte della spesa deliberata per il Servizio Sanitario Nazionale (121,37 mld per il 2021, con un ridicolo aumento, in piena pandemia, di 853 milioni rispetto all’anno precedente) attraverso il Mes, invece che con l’ordinaria emissione di titoli di Stato.
Il “vantaggio” sarebbe nei tassi di interesse leggermente inferiori per quella parte; lo svantaggio, ben più considerevole, sono le condizionalità (leggi: politiche di austerità), inscritte nel Trattato e mai modificate, nonostante le dichiarazioni del Gentiloni di turno.
Proviamo a leggere meglio anche le mirabolanti cifre del Next Generation Ue, una serie di fondi europei, con in testa il cosiddetto Recovery Fund. Il governo ha in questi giorni approvato il Recovery Plan, ovvero l’insieme dei progetti per accedere a questi fondi.
Ci saranno altre occasioni per entrare nel merito di un piano che appare privo di una visione, incapace di raccogliere i drammatici insegnamenti della pandemia indicando la via della trasformazione sociale, costruito come una normale legge di bilancio, dove ciascuno cerca di portare a casa qualcosa.
Qui facciamo solo il punto sull’ammontare dei fondi. La prima cosa da sottolineare è che, mentre i fondi assegnati all’Italia corrispondono a 196,5 miliardi, il governo ha predisposto un piano per 209,9 miliardi. Di questa cifra, 68,9 mld sono trasferimenti e 141 sono prestiti.
Sono tutte risorse aggiuntive? No, le risorse aggiuntive sono i 68,9 mld di trasferimenti e 53,5 della quota prestiti, perché gli altri 87,5 mld di quota prestiti vanno a coprire spese già deliberate (cambia solo, come per il Mes, la modalità di finanziamento).
Risultato: non stanno arrivando 209,9 miliardi, ma solo 122,4 mld (di cui 68,9 senza interessi e 53,5 con tassi leggermente inferiori) nell’arco di un periodo di sei anni (2021-2026). Si tratta dunque di 20 miliardi all’anno e anche questi soggetti alle “Raccomandazioni Ue specifiche per paese”.
Tutto da buttare, dunque? Certo che no, ma un’informazione trasparente è il minimo che va garantito ad un Paese precipitato nella precarietà e nella fragilità del proprio quotidiano. Anche perché tutti siano consapevoli di come, indipendentemente da come andrà il teatrino della crisi di governo, senza forti mobilitazioni sociali i soldi saranno assolutamente insufficienti e tutti finalizzati a conservare l’esistente.