L’agenzia del farmaco della Norvegia ha registrato 23 morti, tra persone anziane e fragili, «associate alla vaccinazione anti-Covid» di Pfizer-BioNtech. Lo si legge in una nota della stessa agenzia, ripresa anche dal Guardian. Secondo la nota dell’ente norvegese, «reazioni comuni ai vaccini con mRNA, come febbre e nausea, potrebbero aver contribuito ad un esito fatale in alcuni pazienti fragili e anziani». La nota sottolinea inoltre che i trial sul vaccino non includevano «pazienti con malattie acute o instabili» e pochi over 85.
Secondo l’agenzia di stampa Ansa, Pfizer e BioNTech stanno lavorando con l’agenzia del farmaco norvegese per indagare sui decessi di persone anziane associati alla vaccinazione anti-Covid.
Ci sono state altre segnalazioni sui media. Alla fine di dicembre un 88enne è morto dopo la vaccinazione in Israele e una 75enne a gennaio sempre in Israele ha avuto la stessa sorte.
A Genova una 89enne è morta dopo avere ricevuto la vaccinazione anche se la Ausl sostiene che sarebbe da escludere il nesso col vaccino; a Mantova è morto un medico dopo la vaccinazione ed è stata disposta l’autopsia; l’azienda sanitaria ha affermato che era già afflitto da patologie prima del vaccino.
Il VAERS americano, il sistema di raccolta delle segnalazioni di eventi avversi da vaccino, mette a disposizione le segnalazioni di presunti eventi avversi anche dopo vaccini Covid raccolti negli Stati Uniti, con aggiornamenti regolari: QUI per effettuare la ricerca (occorre impostare la ricerca utilizzando le funzioni di selezione).
Intanto, mentre gli esperti non trovano un accordo sui calendari vaccinali per dosi e richiami , sul British Medical Journal, Peter Doshi, che della rivista scientifica è associate editor, esprime perplessità e dubbi sulle percentuali di efficacia dei due vaccini Pfizer e Moderna, stimata dalle aziende intorno al 95%. Il suo intervento, pubblicato a inizio gennaio, segue quello già critico sulla disponibilità dei dati pubblicato in precedenza .
Come ripreso anche da Il Fatto Quotidiano, «il nodo della questione, secondo l’editor del BMJ, sono i casi Covid-19 sospetti. Pfizer ha riportato 170 casi di Covid-19 confermati con il tampone molecolare, suddivisi in 8 nel gruppo dei soggetti vaccinati e 162 tra coloro assegnati al placebo. Tuttavia, secondo Doshi, questi dati non tengono conto di una categoria importante del campione e cioè i “sospetti Covid-19”, cioè soggetti con i sintomi dell’infezione non confermati positivi al tampone. Secondo il rapporto della FDA sul vaccino della Pfizer, ci sono stati 3410 casi totali di ‘Covid-19 sospetti’ ma non confermati nella popolazione complessiva dello studio e di questi 1594 si sono verificati nel gruppo vaccino contro 1816 nel gruppo placebo. “Con 20 volte più casi sospetti rispetto a quelli confermati, questa categoria di malattia non può essere ignorata semplicemente perché non c’è stato un risultato positivo del test PCR”, scrive Doshi. “Anzi, questo rende ancora più urgente capire. Una stima approssimativa dell’efficacia del vaccino contro lo sviluppo di sintomi di Covid-19, con o senza un risultato positivo del test PCR, sarebbe una riduzione del rischio relativo del 19 per cento”, aggiunge. Quindi una percentuale di efficacia molto al di sotto della soglia del 50 per cento necessaria per ricevere l’autorizzazione dalle autorità. “Anche dopo la cancellazione dei casi verificatisi entro 7 giorni dalla vaccinazione (409 sul vaccino Pfizer vs 287 sul placebo), che dovrebbe includere la maggior parte dei sintomi dovuti alla reattogenicità del vaccino a breve termine, l’efficacia del vaccino rimane bassa: 29 per cento”, aggiunge Doshi. Se infatti molti o la maggior parte di questi “casi sospetti” riguardassero persone che avevano avuto un risultato falso negativo al tampone, questo ridurrebbe drasticamente l’efficacia del vaccino».
«Secondo lo scienziato i dati lascerebbero aperta alla possibilità che il vaccino non sia efficace al 95 per cento come annunciato, ma solo al 29 per cento» riporta ancora Il Fatto riprendendo l’intervento di Doshi.
«C’è una chiara necessità di dati per rispondere a queste domande, ma il rapporto di 92 pagine di Pfizer non menzionava i 3410 casi di ‘sospetto Covid-19’. Né la sua pubblicazione sul New England Journal of Medicine. Nemmeno nessuno dei rapporti sul vaccino di Moderna. L’unica fonte che sembra averlo segnalato è la revisione della FDA del vaccino della Pfizer», scrive Doshi.
«Un altro motivo per cui, secondo Doshi, abbiamo bisogno di più dati è per analizzare un dettaglio inspiegabile trovato in una tabella della revisione della FDA del vaccino Pfizer – scrive ancora Il Fatto – 371 individui esclusi dall’analisi di efficacia per “importanti deviazioni del protocollo entro o prima di 7 giorni dopo la dose 2”. “Ciò che preoccupa è lo squilibrio tra i gruppi randomizzati nel numero di questi individui esclusi: 311 dal gruppo del vaccino contro 60 del placebo”, evidenzia Doshi. “Quali erano queste deviazioni dal protocollo nello studio di Pfizer e perché c’erano cinque volte più partecipanti esclusi nel gruppo del vaccino?”. “Il rapporto della FDA non lo dice, e queste esclusioni sono difficili da individuare anche nel rapporto e nella pubblicazione della rivista”».
Doshi menziona anche l’assunzione di farmaci contro dolore e febbre che potrebbero aver mascherato i sintomi di Covid-19. «D’altro canto gli stessi farmaci potrebbero esser stati assunti per tenere a bada i classici disturbi provocati dalla vaccinazione, come febbre e mal di testa – si legge ancora su Il Fatto – Così come sono stati disegnati gli studi è difficile discernere i reali motivi di utilizzo dei farmaci. Allo stesso modo sono stati messi in dubbio i processi dei comitati di aggiudicazione dell’evento primario che hanno contato i casi Covid-19. “Sono rimasti all’oscuro dei dati sugli anticorpi – si chiede Doshi – e delle informazioni sui sintomi dei pazienti nella prima settimana dopo la vaccinazione? Quali criteri hanno utilizzato e perché, con un evento primario costituito da un esito riferito dal paziente (sintomi Covid-19) e dal risultato del test PCR, era addirittura necessario un tale comitato? È anche importante capire chi faceva parte di questi comitati. Sebbene Moderna abbia nominato il suo comitato di aggiudicazione composto da quattro membri, tutti medici affiliati all’università, il protocollo di Pfizer afferma che tre dipendenti Pfizer hanno svolto il lavoro. Sì, membri dello staff Pfizer”».
Altro nodo da sciogliere è l’efficacia del vaccino in persone che avevano già il Covid-19. Gli individui con una storia nota di infezione da SARS-CoV-2 o una precedente diagnosi di Covid-19 sono stati esclusi dagli studi di Moderna e Pfizer. Ma Doshi si chiede se quei 1125 (3 per cento) e 675 (2,2 per cento) partecipanti rispettivamente agli studi di Pfizer e Moderna sono stati considerati positivi per SARS-CoV-2 al basale, ovvero al momento iniziale del trial. “La sicurezza e l’efficacia dei vaccini in questi destinatari non ha ricevuto molta attenzione, ma poiché porzioni sempre più grandi della popolazione di molti paesi possono essere ‘post-Covid’, questi dati sembrano importanti, e tanto più perché il CDC statunitense raccomanda di offrire il vaccino ‘indipendentemente dalla storia di precedente infezione da SARS-CoV-2 sintomatica o asintomatica’”, scrive Doshi. “Secondo il mio conteggio, la Pfizer ha riportato 8 casi di Covid-19 sintomatico confermato in persone positive per SARS-CoV-2 al basale (1 nel gruppo vaccino, 7 nel gruppo placebo) e Moderna, 1 caso (gruppo placebo). Ma con solo da quattro a 31 reinfezioni documentate a livello globale – si chiede – come potrebbero esserci nove casi confermati di Covid-19 tra quelli con infezione da SARS-CoV-2 al basale in studi su decine di migliaia, con un follow-up mediano di due mesi? Questo è rappresentativo di un’efficacia significativa del vaccino, come sembra aver approvato il CDC? O potrebbe essere qualcos’altro, come la prevenzione dei sintomi del Covid-19, possibilmente con il vaccino o con l’uso di medicinali che sopprimono i sintomi, e niente a che fare con la reinfezione?”.
Secondo Doshi, bisognerebbe avere accesso ai dati grezzi dello studio. «E qui nascerebbe un nuovo sospetto: “Nessuna azienda sembra aver condiviso i dati con terze parti”, scrive Doshi. Pfizer afferma che sta rendendo disponibili i dati “su richiesta e soggetti a revisione” – si legge su Il Fatto Quotidiano – “Ciò impedisce di rendere i dati pubblicamente disponibili, ma almeno lascia la porta aperta”, scrive Doshi. “Quanto sia aperto non è chiaro, dal momento che il protocollo dello studio dice che Pfizer inizierà a rendere disponibili i dati solo 24 mesi dopo il completamento dello studio”, aggiunge. La dichiarazione sulla condivisione dei dati di Moderna afferma che i dati “potrebbero essere disponibili su richiesta una volta completato lo studio”. “Ciò si traduce in un periodo compreso tra la metà e la fine del 2022, poiché il follow-up è previsto per 2 anni” spiega Doshi. Forse l’Agenzia europea per i medicinali e quella l’agenzia canadese, potrebbero condividere i dati per qualsiasi vaccino autorizzato molto prima. L’Ema si è già impegnata a pubblicare i dati presentati da Pfizer sul suo sito web “a tempo debito”, così come Health Canada».