Foto di Luca Perino
di Gianna De Masi
Premetto che non sono un’economista: sono stata insegnante e quindi la mia attenzione si concentra, per “vizio professionale”, non tanto sulla dicitura “PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA” bensì su quella “NEXT GENERATION ITALIA”.
Occuparsi e preoccuparsi delle generazioni future è l’anima della professione di insegnante: ecco perché mi sento di usurpare, per poco s’intende, il lavoro degli economisti, cui riconosco capacità e competenze che io sicuramente non ho.
Vorrei tuttavia provare ad applicare all’analisi della proposta di Recovery Plan un paio di parametri che per tanti anni ho cercato di prospettare ai miei alunni nell’accompagnarli nella costruzione di ragionamenti, nello sviluppo di capacità critiche di giudizio: la coerenza e la ragionevole consequenzialità tra premesse e conclusioni, tra cause ed effetti.
Mi chiedo se il Recovery Plan davvero si ispiri all’attenzione alle generazioni future, o se invece, rispetto alla next generation, non sia imputabile di millantato credito.
Si può da un lato definire la transizione ecologica uno dei tre assi strategici, sostenere che occorre diventare protagonisti del Green Deal Europeo (ridurre le emissioni inquinanti, aumentare i posti di lavoro nell’economia verde, affrontare la sfida della sostenibilità e della riduzione delle emissioni nella mobilità,…) e dall’altro destinare risorse alla più inutile, devastante e inquinante opera che da 30 anni cercano inutilmente di costruire? Il riferimento alla Nuova Linea Torino Lione (NLTL, meglio conosciuta come TAV) è evidente, opera assurta a icona dello spreco economico e del danno ambientale: e in questa chiave la userò nel mio ragionamento, facilmente applicabile ad altre opere, grandi o piccole che siano, delle quali non sono comprovate né l’utilità né la sostenibilità ambientale.
L’11 dicembre il Consiglio Europeo ha fissato entro il 2030, l’obiettivo di una riduzione del 55% delle emissioni di CO2 ed ha confermato anche il termine per raggiungere la parità climatica, ossia il totale azzeramento delle emissioni, entro il 2050.
Il tavolo tecnico che affianca le Amministrazioni della Val di Susa, costituito da docenti universitari e professionisti, ha dimostrato la portata climalterante immediata della NLTL: parliamo di un’opera che entrerebbe in funzione forse nel 2035, salvo ulteriori ritardi (il completamento del tunnel, parole della Ministra, è ora previsto per il 2032). Durante gli almeno 15 anni di cantiere circa 500 camion al giorno si riverseranno sulle strade della Valle e della cintura di Torino per trasportare verso le aree di stoccaggio il materiale estratto scavando i tunnel, con il conseguente aumento di inquinanti e polveri nonché di emissioni di CO2 in quantità superiore a quanto succede oggi.
E tutto questo per ottenere, finito il devastante cantiere, il mirabolante risultato di spostare l’1% del traffico merci attuale dalla gomma al ferro: il dato è fornito dai promotori dell’opera.
Ma non basta: sempre i promotori del progetto sostengono che entro il 2035 il traffico merci su rotaia sarebbe quasi 14 volte il traffico attuale, superando i 41 milioni di tonnellate all’anno! Possiamo crederci? Su quali basi razionali di calcolo si può fare un’affermazione del genere alla luce della situazione reale e dell’andamento storico del trasporto merci? (N.B. il dato è stato contestato anche dalla Corte dei Conti Europea)
È di tutta evidenza che siamo di fronte a risultati sproporzionati rispetto all’impiego di risorse, al consumo di suolo, alla pesante compromissione del territorio: coerenza e consequenzialità vacillano davvero vistosamente.
Dunque, a proposito di coerenza tra obiettivi e scelte, il consistente sostegno finanziario alle grandi opere (ricordo quanto detto in avvio di ragionamento: la NLTL è qui utilizzata quale esempio plastico di scelte politiche incoerenti) va in direzione decisamente opposta rispetto agli obiettivi di riduzione delle emissioni e di salvaguardia del territorio e si configura come vero e proprio crimine contro l’ambiente e il clima.
Con queste premesse verranno colpevolmente mancati gli obiettivi stabiliti in sede europea l’11 dicembre 2020. È così che si tutela la Next Generation?
È questo il Green Deal cui vorrebbe ispirarsi il piano di ripresa e resilienza?
E il lavoro? I millantati vantaggi occupazionali delle grandi opere possono facilmente venire smentiti da un serio calcolo del rapporto tra entità dell’investimento e dati occupazionali e dal confronto con il risultato che si otterrebbe con una seria politica di investimenti diffusi sul territorio per una manutenzione costante nel tempo.
Alle documentate obiezioni dei tecnici, in tutti questi anni, nessun governo ha mai risposto con pari rigore scientifico, quasi che aprire “grandi” cantieri costituisca una necessità imprescindibile e indipendente dalla reale utilità dell’opera.
Le risorse vanno destinate all’infrastruttura ferroviaria esistente, alla sua messa in sicurezza, al raddoppio dei binari ove necessario, al potenziamento delle linee per i pendolari, alla rivitalizzazione di una vera rete capillare cui garantire manutenzione e cura nel tempo.
Così come c’è necessità di investimenti sulla manutenzione del territorio: frane, incendi, alluvioni compromettono in tutta Italia i delicati equilibri dei diversi territori. Occorre forse ricordare che il nostro è diventato un Paese in cui si muore perché piove per più di due giorni?
Il Consiglio Europeo, sulla base della Risoluzione “European Green Deal” approvata il 15 gennaio 2020 dal Parlamento Europeo, ha ratificato il 21 luglio 2020 questo principio: “Le spese dell’UE dovrebbero essere coerenti con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e con il principio prescrittivo “Non Nuocere” indicato nei paragrafi 100 e 101 dell’“European Green Deal”, e dunque conformi anche agli obiettivi individuati in tema di emissioni.
Questo costituisce un altro motivo per escludere la Torino-Lione e altre grandi opere dal piano di ripresa: invece il governo pensa di destinare i fondi del Next Generation EU a opere climaticide, persistendo nel percorrere una strada decisamente contraria al conseguimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni.
L’importante è continuare a celebrare i paradigmi di una crescita infinita, incompatibile con i limiti del nostro Pianeta, incoerente con i principi sbandierati, priva di consequenzialità tra premesse e scelte, dimenticandosi del tutto di quelli che oggi non hanno voce ma sui quali ricadranno le conseguenze di scelte scellerate.
Su questo modo di ragionare, pianificare e progettare i miei allievi avrebbero molto da ridire!
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 45 di marzo-aprile 2021: “Recovery PlanET: per la società della cura”