di Matteo Bortolon, Cadtm Italia*
articolo pubblicato su il manifesto del 13 marzo
La notizia che McKinsey, la celebre azienda globale, è stata coinvolta per una consulenza sul Recovery Plan è una delle polemiche della settimana, prima di essere sostituita da altri temi, in specie i possibili rischi dei vaccini. Per qualche giorno ha tenuto banco, suscitando perplessità il curriculum di essa, la più vecchia e potente delle tre maggiori aziende globali di consulenza, accusata di aver influito in maniera determinante sulla cultura aziendale statunitense in modo assai penalizzate per i lavoratori, di aver collaborato con regimi oppressivi (come quello saudita) e con l’amministrazione Trump in materia di gestione di immigrati, ecc.
A seguito delle polemiche, oltre ad una nota diffusa dal Ministero dell’Economia e delle Finanze che puntualizza e minimizza la collaborazione con la potente multinazionale, si sono moltiplicate le prese di posizione connotate da un filo di derisione se non dileggio in merito all’ingenuità dell’indignazione. Si fa presente infatti che non solo le attività di consulenze sono comuni in tutto il mondo presso i governi – incluso il governo Conte. Ma la stessa McKinsey ha collaborato su uno dei decreti Ristori, ed altre (Oliver Wyman, Boston Consulting Group) per altri temi dell’agenda governativa.
La consulenza da soggetti esterni è sicuramente diventata la normalità. Ma ciò non significa che non rappresenti un problema. Non solo come sintomo dello svuotamento dello Stato di expertise significativa in ossequio al principio per cui « il privato lo fa meglio» – e quindi, perché tenersi una propria mano d’opera?
E nemmeno, in senso stretto, per i contenuti delle consulenze, sebbene si debba tenere presente i possibili conflitti di interesse. In quei giorni in cui l’affaire McKinsey teneva banco è girata una Relazione della Corte di Conti del 2012 in materia di consulenze che certifica una spesa di 2,2 mld € per le loro parcelle. È stato poco notato il fatto che si trattava dei processi di privatizzazione. Questo ci dà un indizio per capire quale sia il punto fondamentale.
Si tratta di una inversione fondamentale: lo Stato, anziché sussumere sotto di sé il diritto privato – direzionandolo e dandogli una curvatura conforme alle proprie finalità e profili programmatici – si trova a nuotare in un mare di diritto privato come ambiente del suo sviluppo, dovendosi in qualche misura conformare ad esso; e nel processo è chiaro che ha bisogno delle migliori expertise di quel mondo. I consulenti in merito alle privatizzazioni avranno avuto anche cattivi risultati in termini di risultati – si pensi alla svendita di molti settori, favorendo i privati acquirenti – ma era la finalità in se stessa ad essere criticabile. In altri termini, se lo Stato si assimila ad un agente di mercato potrà avere consulenti più o meno validi ma da un lato si è già posto in un campo di gioco profondamente viziato.
E qui si mostra il limite di chi ha posto il problema della consulenza McKinsey senza valutare come l’intero impianto del PNRR sia interno a logiche privatiste. Chi, del resto, un po’ cinicamente, spande un ironico dileggio sopra questi ultimi, dichiarando tali processi come la nuova normalità, da un lato si mostra più consapevole della pervasività di essi, ma si è già consegnato mani e piedi al paradigma dominante, e tenderà ad interpretare le critiche come o attacchi pretestuosi dei nostalgici di Conte o inutili polemiche di chi vive fuori della realtà, anziché come la contestazione alle radici del paradigma privatistico che ha già mostrato la sua bancarotta a fronte dei più elementari criteri di democrazia, giustizia e tutela del bene comune ; contestazione che è quello di cui maggiormente abbiamo bisogno.