Questa settimana (22-27 marzo 2021) si preannuncia assai importante. Dopo un periodo di incubazione, reso ancor più arduo dalle limitazioni di movimento e di assemblea imposte dall’emergenza sanitaria, sono state indette due giornate di sciopero nel settore della logistica: lunedì 22 marzo sciopera, per la prima volta in Italia, l’intera filiera di Amazon, mentre il 26 marzo è stato proclamato lo sciopero nazionale dei Rider.
Entrambi gli scioperi, pur nelle differenze, sono interni al settore della logistica, un settore che è diventato sempre più nevralgico nell’organizzazione a flussi dell’odierna produzione capitalistica che ha saputo sfruttare in modo efficiente (dal punto di vista dei profitti) lo sviluppo delle piattaforme tecnologiche. Il settore della logistica (che sia funzionale al sistema delle imprese o al consumo finale) è soprattutto caratterizzato da condizioni di lavoro spesso manuali e con bassa qualifica (magazzinaggio e trasporto), e negli ultimi anni ha visto fortemente aumentare la presenza di lavoratori immigrati. Condizioni celate dall’apparente neutralità del freddo algoritmo.
Da un lato questo settore può essere un potenziale luogo di ricomposizione delle diverse produzioni sparse sul territorio, dall’altro è caratterizzato da una eterogeneità di contratti e condizioni di lavoro accomunate da un elevato tasso di sfruttamento. Non è un caso se proprio nella logistica si è registrato negli ultimi anni un livello di conflittualità costante, che spesso ha consentito di conquistare diritti precedentemente negati. E non è un caso se il nuovo paradigma tecnologico degli algoritmi di seconda generazione, della robotica, delle nanotecnologie punta proprio a incrementare il grado di automazione della logistica per ridurre tale conflittualità.
Entrambi gli scioperi presentano delle novità che vale la pena sottolineare.
Amazon: “Strike hard, have fun, make history”
Per la prima volta in Italia e in Europa, lo sciopero di Amazon del 22 marzo non riguarda solo i dipendenti della multinazionale di Bezos ma tutti i lavoratori e le lavoratrici dell’intera filiera produttiva, che smistano e consegnano in tutta Italia ben 1 milione di pacchi al giorno.
Sono circa 9mila i lavoratori diretti di Amazon Italia Logistica che operano negli hub (immensi magazzini) e nelle station (magazzini più piccoli). Ma accanto a loro, sempre più spesso e non solo nei momenti di picco (es. nel periodo natalizio), ci sono circa altri 9mila lavoratori interinali che portano il rapporto tra lavoratori fissi e precari a 1:1. Vanno poi aggiunti circa 1.500 lavoratori in appalto che in alcuni hub – come quello di Rovigo – gestiscono in completa autonomia il magazzino Amazon. La rete di Amazon è articolata anche in forme “congiunte”. A Soresina (Cremona) gli ordini Amazon vengono gestiti tramite Geodis (la vecchia Zust Ambrosetti) che a sua volta si serve di una società interinale rumena; occupano la struttura immobiliare del vecchio ipermercato chiuso tramite la società Kryalos-Fondo Tannic (il fondo di investimento americano Blackstone, che ha rilevato anche la sede di Via Solferino del Corriere della Sera). Finanza, lavoro e piattaforme così si congiungono nel modello di organizzazione del lavoro del futuro. E poi ci sono circa 19mila driver, gli autisti che portano il pacco direttamente a casa. Nessuno di loro è dipendente diretto Amazon perché il gigante di Jeff Bezos si appoggia su una pluralità di aziende di corrieri riunite in Assoespressi (sebbene usi anche Poste, Sda e altri corrieri).
In totale, la filiera di Amazon, in Italia dà lavoro a circa 40mila addetti, in continua incremento anche se non con lo stesso tasso di crescita dei ricavi dovuto all’aumento degli ordini a causa del Covid-19. In teoria a tutti viene applicato il contratto nazionale della Logistica – ad eccezione dei lavoratori del primo grande magazzino Amazon di Castel San Giovanni a Piacenza, ai quali è stato applicato storicamente il contratto del Commercio e che sono stati protagonisti del primo sciopero delle lavoratrici e dei lavoratori Amazon (24 febbraio 2017, ribattezzato “Red Friday”) – e per questo sono i sindacati dei trasporti ad avere costruito faticosamente una piattaforma di filiera che richiedesse ad Amazon un contratto di secondo livello, al fine di arrivare ad un accordo quadro che armonizzi le condizioni di lavoro e salariali su tutto il territorio.
A ciò si aggiunge una richiesta banale ma fondamentale: il monitoraggio dei ritmi e dei carichi di lavoro. Con l’emergenza sanitaria, il volume di lavoro è raddoppiato mentre non sono di certo raddoppiati né il numero dei lavoratori né i salari. Il risultato sono carichi di lavoro insostenibili sia nei magazzini che per i driver, e conseguente aumento dello sfruttamento. Ma è proprio su tale richiesta che il gigante di Bezos, insieme ad Assoespressi, fa orecchie da mercante.
Rider: “Non per noi ma per tutt*!”