C’è un giudice a Berlino?

Ascolta

una volta un giudice come me
giudicò chi gli aveva
dettato la legge:
prima cambiarono il giudice
e subito dopo
la legge.

(Fabrizio De Andrè, Sogno numero due)

I giudici […] sono antropologicamente diversi dal resto della razza umana.

(Silvio Berlusconi)

Pure io da grande voglio fa’ causa a tutti!

(da C’eravamo tanto amati di Ettore Scola)

Arnold il mugnaio

La recente pronuncia del Tribunale di Reggio Emilia sull’incostituzionalità dei DPCM emanati dal governo Conte, oltre ad accendere una candela di speranza nella notte della Repubblica, fa tornare in mente la storia di Arnold il mugnaio.

La vicenda, la cui narrazione viene attribuita (in modo apocrifo) a Bertold Brecht, fa parte del folklore tedesco e ne esistono diverse versioni: in una il mugnaio prussiano assetato di giustizia per l’espropriazione del suo mulino fronteggia un signorotto locale, in un’altra se la vede direttamente con l’imperatore Federico il Grande. Dopo essere stato vittima di un abuso di potere, Arnold si rivolge al tribunale  circondariale, i cui giudici danno ragione al potente. Successivamente, egli avrebbe affermato “ci sarà pure un giudice a Berlino”,  esprimendo così la volontà di rivolgersi ad un Giudice Supremo per ottenere la tanto agognata giustizia. Questa leggenda metropolitana ante litteram finisce bene o male a seconda delle versioni e delle inclinazioni politiche di chi la racconta: volendo, ci si può anche vedere un atto di fiducia nel sistema giuridico. Il giudice berlinese è dunque rappresentato come un’entità in grado di coniugare la legge e la Giustizia: una creatura leggendaria, per l’appunto.

Il mondo salvato dagli avvocati

Le buone notizie sul fronte del diritto non sono arrivate solo da Reggio Emilia, ma anche da Roma e dintorni.

Il pioniere di questa causa persa era stato Emilio Manganiello, giudice di pace a Frosinone, il quale aveva nel luglio scorso annullato due  multe di 400 euro ciascuna elevate a due cittadini durante la fase più cupa del regime segregazionista. A proposito della divisione dei poteri, poi, Manganiello era stato censurato dal prefetto di Frosinone Ignazio Portelli, cioè da un rappresentante del governo. Costui, per rimettere in riga il giudice che aveva ripristinato una parvenza di legalità, aveva usato parole contundenti come manganelli: “Il giudice di pace ha confuso le proprie idee con il diritto, ma una cosa deve essere chiara: la Prefettura si impegnerà affinché Frosinone non sia una zona franca dal diritto e dai principi costituzionali”. Frosinone città aperta, dunque (ma per poco).

Più rumore, almeno a livello mediatico, aveva invece fatto l’ordinanza del Tribunale di Roma del 16 dicembre, nella quale i magistrati, occupandosi di un processo civile per morosità, avevano dichiarato illegittimo il DPCM poiché limitante i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione. Tale era stato il fragore che pure i profeti della caccia alle “fake news” se ne erano dovuti occupare, affannandosi a spiegare che non cambiava nulla, che la segregazione era salva e che gli smascherati sarebbero stati severamente puniti: per una volta avevano ragione loro.

Segnali di fumo sono giunti anche da alcuni Tribunali Amministrativi Regionali: quello del Lazio ha sentenziato che i bambini delle elementari possono smascherarsi se rispettano il distanziamento di un metro mentre sono seduti al banco; quello della Calabria ha invece sancito la riapertura delle scuole precedentemente serrate dal governatore Spirlì, il quale si è pure permesso di dichiarare che il TAR si deve assumere la responsabilità della riapertura degli edifici scolastici, paventando la consueta strage di studenti . In entrambi i casi gli effetti son stati nulli o tutt’al più effimeri: nelle scuole laziali mamme e maestre han continuato ad imbavagliare bambini, mentre la nuova chiusura delle scuole calabre pare imminente dopo che la regione è stata tinta di arancione dal Pennellaio Matto.

Questi risultati, magri o incoraggianti a seconda del punto di vista, sono stati ottenuti grazie alla tenacia di alcuni coraggiosi avvocati che da un anno a questa parte provano a salvare ciò che resta dello stato di diritto. Supportando le iniziative dei cittadini (come quelle della rete “Io Apro“), fornendo assistenza gratuita ai multati, divulgando attraverso la rete suggerimenti sull’autotutela in caso di abuso, questi legali resistenti  hanno dato un notevole contributo alla lotta contro i Grandi Resettatori. Fra essi, è bene ricordare innanzitutto gli avvocati Edoardo Polacco e Mauro Sandri, promotori di una “class action” contro il governo Conte e aggregatori instancabili di reti come  “1000 avvocati per la Costituzione”, oltre ai loro colleghi sardi Francesco Scifo e Linda Corrias, molto attivi anche sul fronte dell’opposizione ai vaccini e fondatori del comitato “Giuristi per la legalità”, all’avvocato libertario Alessandro Fusillo, al suo collega sovranista Marco Mori  e a tanti altri a cui va la stima e l’appoggio di tutti gli oppositori del nascente regime sanitario. Non ci si crede, ma ci si spera: potrebbero essere gli avvocati a salvare il mondo. Intanto, grazie lo stesso.

La mistica della magistratura

“Ho fiducia nella giustizia”, “Se ne occuperà la magistratura”, “Lasciamo lavorare i giudici” e formule simili fanno parte di un repertorio comune al riccone e al poveraccio, al colletto bianco e allo scamiciato, al ladro di Stato e al ladro di polli. Curioso che questo sentire abbia preso piede nel paese in cui la magistratura è stata nei secoli  percepita come la più temibile delle articolazioni dello Stato  poichè organicamente votata all’ingiustizia e al sopruso. Celebre è il passo del Pinocchio di Collodi in cui il Giudice, dopo aver ascoltato con apparente partecipazione il racconto del burattino raggirato dal Gatto e dalla Volpe, lo consegna ai gendarmi condannandolo a quattro anni di prigione: una perfetta rappresentazione della “giustizia” vista con gli occhi del popolo. Suggestioni letterarie a parte, il potere giudiziario nella Repubblica Italiana nasce in perfetta continuità di uomini, prassi e principi con il regime fascista: negli anni saprà onorare queste premesse. Verrà infatti la fase della giustizia di classe nel quadro della “guerra civile fredda”, poi quella degli insabbiamenti e dei depistaggi nelle indagini sullo stragismo e sull’eversione, poi quella dei magistrati piduisti, dei pentiti a orologeria, degli ammazzasentenze, fino alle scene da basso impero delle cronache degli ultimi anni, culminate nell’esplosione del bubbone Palamara. La tanto decantata “indipendenza della magistratura” non ha mai trovato riscontri fuori dai libri. Eppure, con la saga di “Mani Pulite” i giudici vengono promossi ad eroi nazionali, artefici di una rigenerazione palingenetica della repubblica italiana all’insegna di quel “rispetto delle regole” che negli anni assumerà connotati sinistri. In quella partita truccata, ulteriore capitolo di una storia infame, col paese reale scosso dalle bombe della strategia della tensione 2.0, i magistrati giocano un ruolo evidentemente “politico”, ponendosi come punto di riferimento di una nuova “maggioranza silenziosa” che, col senno di poi, appare una mera costruzione giornalistica. Dopo di allora, diverrà consuetudine per i magistrati darsi alla politica in senso stretto, con altissimi indici di gradimento da parte degli elettrori: De Magistris, ora candidato pure in Calabria, è solo l’ultimo di una serie lunghissima.

La mistica della magistratura alligna soprattutto a “sinistra”: negli anni del berlusconismo, i leader dell’opposizione agli occhi del progressista medio sono pm e procuratori. Quando Borrelli lancia il suo grido di resistenza dalle barricate della procura di Milano, sembra che egli si rivolga ai suoi colleghi togati, ma parla in realtà a quel popolo immaginario di “italiani perbene” meticolosamente costruito negli anni da La Repubblica e da Rai3.  Una plastica rappresentazione di questa mistica è data dal finale de Il caimano nel quale un mite magistrato che ha appena condannato il Berlusconi interpretato da Nanni Moretti a sette anni viene preso di mira da una folla ostile (gli lanciano addirittura una molotov, come neanche negli anni di piombo). I magistrati percepiti quindi come  pacati eroi borghesi, imparziali cultori e applicatori della Legge, inflessibili antagonisti dei Veri Cattivi (che sarebbero poi i politici corrotti ecc.): una rappresentazione molto lontana dalla realtà.

La Legge del più forte

Una volta si dominava con la spada e il timor di Dio; oggi sono proprio le leggi, i trattati, i commi e i codicilli a sancire la supremazia dei più forti ed a legittimare il loro arbitrio.

Il più forte fa e disfa la tela della Legge: la scrive, la interpreta, la aggira,la modifica, la stravolge. Tutto è funzionale al suo dominio. Ecco che, per non avere fastidiosi grattacapi, Draghi passa dal DPCM al Decreto Legge “classico”, strumento di cui i governi hanno sempre abusato, ma sottoposto in passato alla vigilanza, almeno formale, di un’opposizione parlamentare che oggi non esiste. Ecco che, per procedere più speditamente col siringamento di massa, si pensa ad uno scudo penale per tutti i siringatori, dopo aver opportunamente protetto con lo stesso strumento maggiordomi di più alto rango come i membri del Comitato Tecnico Scientifico, i megadirettori delle multinazionali, i farmacoburocrati di Stato. Il principio dell’elasticità della Legge è stato di recente ribadito, in modo un po’ naif, da un esponente di spicco dell’intellighenzia, l’attore Alessandro Gassmann; questo sincero democratico, dopo aver bandito una social-crociata per l’obbligatorietà del vaccino, così rispondeva ad un utente che gli faceva notare l’incostituzionalità della norma: “Si cambia un cavillo e si fa”.

Anche le recenti indagini sulle morti da vaccino attestano il ruolo effettivo della magistratura nel Grande Gioco al quale stiamo tutti partecipando. A tal riguardo, così si esprime Gaetano Bono, sostituto procuratore a Siracusa e titolare dell’inchiesta sulla morte del sottufficiale della Marina Stefano Paternò, spirato 24 ore dopo la somministrazione del vaccino (circostanza in seguito alla quale è stato posto sotto sequestro un lotto del salvifico elisir): “Sono convinto che la campagna vaccinale deve andare avanti, perché prima saremo vaccinati e prima supereremo questa emergenza sanitaria. Non si può non avere fiducia”. Egli, inoltre, ci tiene a far sapere all’opinione pubblica che, dopo i primi accertamenti sulla morte del malcapitato, è corso a vaccinarsi con la prima dose di Astrazeneca. Il suo collega Giuseppe Amato, procuratore capo a Bologna chiamato ad indagare sulla morte dell’insegnante Giuseppe Morabito, è se possibile ancor più perentorio, ed usa pure il plurale maiestatis: “Insistiamo con il dire che le vaccinazioni se ci sono vanno fatte, anzi dovrebbero essere fatte a tutti. Al momento non c’è alcuna preoccupazione in questo senso”.

Pare dunque che questi magistrati non assolvano una funzione meramente “tecnica”: si fanno promotori attivi di un’agenda politica, di un sistema di (dis)valori, di un’ideologia, di un regime.

La magistratura non è quindi, nel nostro attuale ordinamento, uno dei tre poteri dello Stato di diritto, ma un’articolazione di un Potere superiore che agisce al di fuori di qualunque assetto costituzionale e di qualunque controllo. Maggiordomi di medio rango, molti magistrati saranno convinti di non essere resettati: poveri illusi.

Dal nostro lato, riporre fiducia nel proverbiale “lavoro della magistratura” si pone come un puerile atto di pura fede, analogo, per certi aspetti, alle professione di fede vaccinista. Difficile, inoltre, che la foga dei bruti in divisa venga arginata da qualche cartaccia sbandierata a mo’ di scudo. La Rivoluzione non si fa con le carte bollate.

Moravagine

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