di Ivana Suerra, ComeDonChisciotte.org
Per il momento, fortunatamente, le favole di Esopo sono ancora note ai più. Tuttavia, nutrendo seri dubbi sulla Didattica A Distanza, mi soffermerei alle basi:
– la cicala, chiassosa e spavalda, che, avendo cantato tutta l’estate, patirà il rigido inverno;
– la formica, previdente e laboriosa, la quale si prepara diligentemente al clima che verrà.
Le critiche alla stolta cicala sono piuttosto comuni, ma, una volta tanto, è della formica che mi vorrei occupare. Essendo nata nella stessa cittadella di Rodari non mi è difficile (fosse anche per banale campanilismo) concordare con la sua rima: “Chiedo scusa alla favola antica, se non mi piace l’avara formica”.
Oggi, a ben vedere, i panni della formica li indossa la grande Repubblica Popolare Cinese. Quest’ultima, a forza di accumulare briciole, si è trasformata – con il 36% di riserve sfruttabili – nel primo possidente al mondo di terre rare (1).
Tale strategia monopolistica ha avuto inizio negli anni settanta, quando la Cina si aggiudicò il primato delle esportazioni dei prodotti derivati dalla lavorazione degli rare-earth elements/metals. Seguono gli anni dell’ascesa del mercato Hi-Tech, in cui il colosso asiatico riveste il ruolo di protagonista prevaricante. Trova così giustificazione l’adozione irrinunciabile di politiche protezioniste: forti restrizioni sul rilascio delle licenze estrattive nel proprio territorio; favoritismi alle imprese statali ed a quelle che operano in sintonia con gli interessi nazionali; imposizione di tassazioni elevate sulle esportazioni (2).
Sul finire degli anni novanta la Cina può, a ragione, rivendicare il suo successo nello sfruttamento delle terre rare, trasformato ormai in un proficuo monopolio di Stato. I più avveduti cominciavano, già in allora, ad intravedere il sorpasso cinese sugli USA nell’ambito della c.d. guerra commerciale.
I sorpassati, gli Stati Uniti d’America, non possono che essere la cicala. La fatica degli Statunitensi nel rincorrere la conquista delle terre rare fa il tipico chiasso del canto della cicala, verso cui tutti concentrano l’attenzione muovendo critiche a dir poco scontate.
È delle ultime settimane la notizia relativa alle ingerenze negli affari interni della Bolivia da parte degli Stati Uniti e del Regno Unito. In particolare, il recente arresto dell’ex Presidente Jeanine Áñez ha fatto luce sui fatti risalenti al golpe militare del Novembre 2019, caldeggiato da Washington e Londra con lo scopo di far capitolare Evo Morales (3).
Ben lungi dal rivelarsi originale, la trama è sempre la medesima…
Le potenze coloniali, attratte dalle immense risorse dell’America Latina, hanno fatto di tutto per disinnescare i tentativi promossi da alcuni Presidenti – eletti democraticamente – di imboccare le vie dell’autosufficienza e dell’indipendenza effettiva.
L’11 Settembre, in coloro che hanno buona memoria, evoca ancora l’anno 1973. I misfatti del mondo anglosassone, così come il canto della cicala, fanno oggi più rumore che notizia.
Nel frattempo, tuttavia, il lavorio della formica prosegue indisturbato.
Nel 2019 il Governo Boliviano ha raggiunto un importante accordo con la Società cinese Xingjing TBEA Group: gli interessi degli investitori asiatici si sono concentrati, in quell’occasione, sulle meravigliose distese di sale argenteo che racchiudono inestimabili riserve di litio (4).
Il litio è l’oro bianco della Bolivia, impiegato nella produzione degli ormai diffusissimi apparecchi di alta tecnologia dotati di batterie elettriche ricaricabili. A suggellare l’accordo del 2019 furono, in allora, le trionfali parole dell’Ambasciatore cinese che, dopo uno sforzo persuasivo in merito ai grandi vantaggi che la Bolivia ne avrebbe ricavato, stimava il fabbisogno di litio per la Cina entro il 2025 in 800.000 tonnellate l’anno (5).
Quell’operazione ha, com’era prevedibile, subìto un rallentamento causa “pandemia”, ma, recentemente, il progetto sta ripartendo con regolarità su sollecitazioni del Presidente in carica Luis Arce.
Peraltro, il cheto interessamento cinese al Sud America riguarda diverse parti del continente: analogie con la questione del litio boliviano possono essere fatti sui giacimenti in Argentina, sulle miniere Cilene di Atacama, o sulle riserve di coltán – l’oro blu del Venezuela.
Cile e Venezuela, due Stati dove, nell’ultimo anno, si è manifestata un’insospettabile solidarietà cinese: dalle massicce elargizioni di vaccini CoronaVac, all’esportazione della politica intransigente sulla necessità della vaccinazione di massa (6).
Curioso notare che il paradigma professato dalla Cina per il superamento della “crisi pandemica” prevede, per mera coincidenza, un modello di società basato irreversibilmente sull’iper-tecnologizzazione della vita dei cittadini, da attuarsi con l’uso smisurato di strumenti elettronici.
Ebbene, se questo fosse l’anno in cui calerà l’inverno, la formica pare essersi già attrezzata adeguatamente. Laddove tenesse fede alla sua avarizia, al suo noto attaccamento alle ricchezze, non è difficile prevedere che a pagare pegno – a ballare, direbbe Esopo – sarebbero in molti…
La cicala, questa volta, è in buona compagnia!
Mala tempora currunt sed peiora parantur
NOTE
(1) https://valori.it/cina-storia-leadership-terre-rare/
(4) https://rebelion.org/el-poder-del-litio-boliviano/ ; https://www.reuters.com/article/us-bolivia-lithium-china-idUSKCN1PV2F7
(5) https://dialogo-americas.com/articles/chinese-companies-to-exploit-bolivian-lithium/