La gestione dell’emergenza sanitaria in Italia ha fatto acqua sotto moltissimi punti di vista nell’ultimo anno. Dal crollo della cosiddetta “eccellenza lombarda” ai ritardi nella campagna vaccinale, la fragilità del sistema sanitario pubblico è emersa in tutta la sua drammaticità. Le intercettazioni che inchiodano alcuni funzionari dell’Assessorato alla Salute siciliana sono una nuova tragica testimonianza della logica che ha guidato in questi mesi le misure prese per arginare il contagio: non la reale salvaguardia della salute, ma la tutela degli interessi economici. Sulla vicenda e sulla situazione siciliana abbiamo intervistato Silvia, membro dell’Ambulatorio Popolare Centro Storico di Palermo.
È di ieri la notizia dell’operazione dei carabinieri di Palermo e Trapani che hanno condotto all’arresto di alcuni funzionari del Dipartimento Regionale per le Attività Sanitarie e Osservatorio Epidemiologico (Dasoe) dell’Assessorato della Salute della Regione Sicilia con le accuse di falso materiale e ideologico. Da alcune intercettazioni è emersa la possibilità che ci siano state alterazioni nei dati riguardanti il numero di positivi per evitare misure più rigide di contenimento dei contagi. Una notizia che, se verificata, dimostrerebbe la volontà di anteporre i profitti al diritto alla salute della popolazione? Si tratta di una notizia che giunge inaspettata?
Silvia: La notizia di ieri delle possibili falsificazioni dei dati sui morti di Covid, sui positivi e sui tamponi in Sicilia non è giunta a noi tanto inaspettata. Il Dipartimento per le attività della salute e Osservatorio epidemiologico della Regione Siciliana è stato accusato di falso materiale e ideologico commesso da pubblico ufficiale in atto pubblico. Anche l’assessore regionale alla salute Ruggero Razza è indagato per gli stessi reati e si è ieri dimesso. Dalle prime intercettazioni sembra siano stati falsificati i dati trasmessi al Ministero della Sanità nel periodo tra novembre e marzo con l’intento di determinare le restrizioni sanitarie in Sicilia ed evitare la zona rossa.
La pandemia sta generando un clima diffuso di panico e confusione; notizie inaffidabili, restrizioni e colori che cambiano senza seguire criteri ragionevoli, ma più come fossero estratti a sorte. Di questo clima approfittano le istituzioni – a tutti i livelli – che, con la cantilena che si ripete ormai da un anno «fidatevi di noi, stiamo lavorando per voi», riescono a garantire e assicurare gli interessi economici anche nel pieno di un’emergenza sanitaria, quando si dovrebbe pensare esclusivamente alla salute delle persone. Ci si è abituati a delegare alle autorità – presidenti, governanti, tecnici, esperti – anche l’ambito della salute.
Ed è così che i morti diventano numeri da «spalmare», che si abbassano o si alzano all’occorrenza. Si dice lo abbiano fatto per scongiurare la zona rossa e salvare i ristoratori, le attività commerciale. Ma tanto loro hanno dovuto chiudere lo stesso e in più è stata messa in pericolo la salute dei siciliani. Se tutto questo ci stupisce? Chiaramente no. E non tanto per la solita retorica per cui in Sicilia sono tutti mafiosi e corrotti. La corruzione c’è, si; ma all’interno della classe dirigente e non solo di quella siciliana. La corruzione c’è dove c’è potere, dove ci sono interessi economici da spartire e garantire.
In fondo, l’intera gestione della pandemia è in mano a governi – tanto quello di Conte, quanto quello di Draghi – sottomessi ai dettami di Confindustria che metterà sempre avanti il profitto. La poca trasparenza di chi amministra, dunque, non ci stupisce.
Un’accusa del genere è ancora più grave alla luce della situazione della sanità regionale siciliana, in ginocchio da decenni di cattiva gestione. La sindemia ha messo a nudo le carenze del sistema pubblico. La scelta di avviare un ambulatorio popolare risponde all’esigenza di colmare alcuni vuoti e di denunciare la carenza di servizi?
Silvia: La rete sanitaria in Sicilia presenta tante inefficienze da molti anni ormai. La pandemia ha messo in risalto le contraddizioni interne al sistema sanitario che esistevano già prima. Le strutture ospedaliere con l’epidemia sono collassate definitivamente a causa dell’aumento della pressione su di esse. Il problema sta nel modello sanitario su cui si basa la nostra regione, ma in generale l’italia. Un modello ospedalocentrico che prevede la concentrazione dei bisogni sanitari di tutta la popolazione nei grandi poli ospedalieri, lasciando i singoli quartieri e i piccoli comuni sprovvisti di presidi sanitari. A peggiorare la situazione si aggiungono le politiche di tagli operate da tutti i governi negli ultimi anni. Tagli che hanno inciso con più forza al Sud e in Sicilia e hanno provocato la chiusura di reparti – quando non di intere strutture – carenza di personale, posti letto, strumenti sanitari.
L’esperienza dell’Ambulatorio Popolare Centro Storico è nata per lanciare un messaggio chiaro: vogliamo rilanciare un nuovo modello di sanità territoriale, che sia vicina alle comunità che vivono i quartieri popolari di Palermo e che risponda alle esigenze di questi. Non vogliamo semplicemente offrire un servizio o sostituirci alle istituzioni: vogliamo sollevare la critica nei confronti di queste e delle loro inefficienze e proporre – mettendolo in pratica – un modello alternativo.
Dall’esperienza degli ambulatori popolari emergono particolari considerazioni che possono essere fatte sulle conseguenze sociali ed economiche della pandemia?
Silvia: La pandemia non ha creato solo una crisi sanitaria, ma una vera e propria crisi socio-economica. È evidente quanto le restrizioni sanitarie abbiano messo in ginocchio maggiormente le fasce popolari, proletarie e sottoproletarie, e il ceto medio impoverito. In Sicilia in molti svolgono lavori precari o in nero, altri hanno piccole attività commerciali o di ristorazione, o lavorano nei mercati rionali. Tutte categorie colpite da una crisi di cui ancora non si vede via d’uscita.
Sono le stesse persone che oggi non possono permettersi di pagare le cure mediche, il tampone; che non riescono ad acquistare dispositivi di protezione individuale (mascherine, gel igienizzanti, visiere, guanti). E se s rivolgono al pubblico, le liste di attesa sono interminabili.
A pagare il prezzo delle crisi sono sempre i più poveri, i piu deboli, i non garantiti da questo sistema sociale e politico. Oggi, con la pandemia, si palesato più che mai che la salute viene garantita solo a chi ha i soldi, a chi può permetterselo. E il diritto alla salute, ai più, viene negato.
I grafici e i dati sono tratti da Lab24.