Alcuni giorni fa Re:Common ha lanciato la pubblicazione “Stato di garanzia – il ruolo di SACE nell’agenda estrattivista italiana”. SACE è l’agenzia di credito all’esportazione del nostro Paese, un indispensabile strumento economico nelle mani del governo, che agisce ben lontano dai riflettori, nonostante negli ultimi tre anni abbia mobilitato risorse pari a 77 miliardi di euro. Nel 2020 ha effettuato operazioni per 46 miliardi di euro, più dell’ultima manovra di bilancio (40 miliardi). Il 61% del portafoglio privato di SACE è dominato da due soli settori: crocieristico (41%) e petrolifero (20%). Lì dove è forte la presenza di aziende partecipate dallo Stato, come Eni e Fincantieri.
Particolarmente preoccupante è il crescente sostegno di SACE al settore dei combustibili fossili. Dall’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi (2016) al 2020, il settore oil&gas ha ottenuto garanzie per ben 8,6 miliardi di euro. Su tutte, spiccano le due accordate a Eni e Saipem per 700 e 900 milioni di euro (e una terza in arrivo) per i progetti di estrazione di gas offshore in Mozambico, denominati Coral South e Mozambique Lng. Nell’area di Cabo Delgado, dove sono presenti gli impianti e le sedi della stessa Eni, della statunitense ExxonMobil e della francese Total, si stanno registrando continui attacchi terroristici da parte di gruppi locali. Si contano in circa 3mila le vittime e oltre mezzo milione gli sfollati, in quella che è ormai un’emergenza umanitaria tra le più gravi al mondo.
Ma, come rivelato da Re:Common nei mesi scorsi, SACE è fortemente interessata a entrare anche in Arctic Lng-2, progetto per l’estrazione di gas in una delle aree dall’ecosistema più fragile dell’intero Artico siberiano. Un’opera nemica del clima e tra le più devastanti in fase di progettazione a livello globale. Nel 2016 SACE aveva partecipato al progetto gemello, Yamal Lng, rilasciando una garanzia in favore dell’istituto di credito torinese Intesa Sanpaolo, finanziatrice dell’opera con 750 milioni di euro.
Sempre in Africa, invece, SACE non ha smentito la possibilità di un suo coinvolgimento in East African Crude Oil Pipeline (EACOP), che vede impegnate anche Saipem e Nuovo Pignone – e forse Bonatti – per l’incipiente costruzione del più lungo oleodotto riscaldato del Pianeta, con i suoi 1.443 chilometri. Un’opera che dal lago Alberta arriverà fino in Tanzania, comportando ricadute sulle popolazioni locali e sull’ambiente.
“SACE è uno snodo centrale del nesso tra pubblico e privato che troppo spesso va a detrimento dei diritti e dell’ambiente, il tutto a vantaggio di pochi soggetti” ha dichiarato Antonio Tricarico. “Per far fronte alla crisi innescata dalla pandemia, il governo ha consegnato a SACE un ruolo ancor più di rilievo. Per questo è quanto mai prioritario far luce su questa agenzia e rimetterla al centro di un’agenda politica che rivendichi il diritto a una finanza pubblica per il bene collettivo e non dei ‘soliti noti’”, ha aggiunto Tricarico.
“Il nuovo esecutivo guidato da Mario Draghi ha sbandierato ai quattro venti l’intenzione di puntare forte sulla transizione ecologica, istituendo addirittura un ministero ad hoc. Dovrebbe allora partire dal rivedere alla radice l’impegno di SACE nei confronti del comparto dei combustibili fossili, esigendo dall’agenzia un cambio di linea in merito all’erogazione dei suoi finanziamenti, per esempio facendo come il governo britannico, che ha annunciato lo stop agli investimenti pubblici in progetti fossili all’estero” ha affermato Alessandro Runci.