Estetiche inquiete. Dalla “K” alla “X”, dall’estremo all’eXtremo

di Gioacchino Toni

A distanza di un paio di decenni dalla sua prima uscita, torna in libreria, in una nuova edizione ampliata e corretta, il volume di Massimo Canevacci, Culture eXtreme. Mutazioni giovanili tra i corpi della metropoli (DeriveApprodi 2020). Entrando nel vivo dei rapporti tra giovani e metropoli, media, scena artistica e musicale, l’autore si sofferma su alcuni ambiti delle culture giovanili degli anni Novanta del secolo scorso che hanno fatto ricorso con una certa frequenza a modalità comunicative caratterizzate da un uso insistito della lettera “X”. Una costellazione sociale ed un immaginario espressioni di un mutamento radicale delle forme di vita di un periodo segnato dalla trasformazione del sistema produttivo, dalla scomparsa del Muro, dal dissolversi delle grandi narrazioni e delle strutture politiche tradizionali. Forme embrionali di una trasformazione che, in alcuni suoi tratti, sembra anticipare quell’intrecciarsi di materiale e immateriale che è tra i tratti caratterizzanti l’attualità.

Il contesto attuale si basa su una compenetrazione – ubiqua, sincretica, polifonica e metafeticista – tra materiale e immateriale, tra metropoli comunicazionale e tecnologie digitali che è stato intravisto e in gran parte anticipato in quegli anni, purtroppo senza poter affermare una visione altra rispetto a quella che successivamente sarà dominante (p. 5).

Canevacci affronta la trasformazione della “città industriale”, con le sue specifiche modalità produttive e conflittuali, nella recente “metropoli comunicazionale” attraversata da «soggettività mutanti, culture digitali, movimenti tra asfalto lacerato e social purificato, migrazioni diasporiche» (p. 5). Un nuovo panorama composto da «soggettività connettive», più che collettive, in cui l’impossibilità di distinguere nettamente uno spazio pubblico da uno privato ha sicuramente inciso sulla costruzione delle nuove identità.

Canevacci dichiara esplicitamente di essersi voluto tenere alla larga da quelle sistematizzazioni, classificazioni e comparazioni con cui molti sociologi, antropologi e giornalisti tendono a incasellare “i giovani” in quanto si dice convinto che le culture giovanili restano liquidi frammenti refrattari alle rigide catalogazioni.

Nella prima parte del volume l’autore intende ridefinire gli scenari entro cui si collocano i frammenti giovanili contemporanei e lo fa a partire dalla presa d’atto dell’obsolescenza dei concetti di «controcultura» e di «subcultura». Nato sul finire degli anni Sessanta, esplicitando un intento oppositivo e alternativo nei confronti dell’esistente, il termine “controcultura”, sostiene l’autore, esaurisce la sua parabola vitale all’inizio degli Ottanta quando le culture giovanili non sono più “contro” una cultura dominante che nel frattempo sembra essersi frammentata in una pluralità di poteri, né a favore di una “cultura contro”. «Non esiste più una controcultura perché è morta la politica come utopia che trasforma il mondo impegnando il futuro prossimo» (p. 17). Con la scomparsa dell’ideologia e della politica tradizionali scompare anche il concetto di “contro”. È proprio da tali dissolvimenti che, sostiene Canevacci, si sono liberate le culture giovanili «eXtreme».

Anche il concetto di subcultura, secondo l’autore, ha fatto il suo tempo. Se il termine controcultura ha una matrice politico-alternativa, quello di subcultura indicare invece un sottoinsieme di una cultura più generale di cui è pur sempre parte integrante e, nella sua parzialità, non manca di ereditare i limiti del più generale concetto di “cultura”.

Se non è affatto detto che le culture giovanili siano per forza eXtreme, mette in guardia Canevacci, nemmeno tutte le subculture hanno carattere antagonista.

Lungo i flussi mobili delle culture giovanili contemporanee – plurali, frammentarie, disgiuntive – le identità non sono più unitarie, ugualitarie, compatte, legate a un sistema produttivo di tipo industrialista, a uno riproduttivo di tipo familista, a uno sessuale di tipo mono-sessista, a uno razziale di tipo purista, a uno generazionale di tipo biologista. Quindi, rispetto alle culture giovanili, una subcultura non è per sua natura una controcultura, perché può essere anche una cultura pacificata, ordinata, mistica, ecc. (p. 21)

L’obsolescenza del termine subcultura deriva dalla mancanza di una cultura generale unitaria di cui una parzialità farebbe dunque parte. «Se fin dall’inizio era già difficile definire i punk un’espressione sottoculturale (Hebdige), ora la morte del carattere nazionale – che ordinava una scala gerarchica piramidale da una punta egemonica fino a una base subalterna, sui cui dislivelli si ordinavano queste “culture-sotto” – trascina con sé anche la morte delle subculture» (p. 22).

Canevacci coglie in alcune trasformazioni della comunicazione dei giovani più irrequieti i segni di importanti cambiamenti epocali. «Per un transito multi-narrativo attraverso le interzone delle culture giovanili, si potrebbero assumere come indicatori due lettere: “k” e “x”» (p. 47). La prima rimanda alle controculture giovanili di tipo antagonista degli anni Settanta: in quella “K” «si concentravano grappoli di significati che caratterizzavano il soggetto come portatore di dominio. Così “Kultura” significava che la cultura – come forma libera ed espressiva del sapere – si era trasformata in qualcosa di opposto: in trasmissione di valori autoritari» (pp. 47-48).

A partire dagli anni Ottanta l’equazione K=dominio tende a svanire e si attesta uno slittamento di significati. La “K” non denuncia più l’autoritarismo (la stagione dei “Kossiga”) ma viene fatta propria dagli ambienti antagonisti con finalità per così dire “autocelbrative”, probabilmente per rafforzare la propria immagine di “potenza” (la stagione delle “okkupazioni”). Una transizione semantica che conduce dalla denuncia del potere alla celebrazione della (propria) potenza.

Se la “K” degli anni Ottanta è comunque figlia – cambiata di segno – del sistema politico comunicativo precedente, la “X” degli anni Novanta non sembra derivare dalla conflittualità del passato, salvo il ricorso ad essa in ambito afroamericano – Malcom X – al fine di rimarcare un necessaria riscrittura identitaria. Poi la “X” farà la sua comparsa negli ambienti punk e successivamente in Internet abbinata all’eccesso, all’irregolare, all’alieno, allo scandalo e così via.

Oltre a questa carica semantica di “contro” e di “proibito”, la “X” assume altri concentrati di senso: […] la “X” a poco a poco è divenuta una sorta di ideogramma che, grazie al suono fonetico inglese (x = ecs), ha finito con incorporare il timbro sonoro dell’irregolare. La misura extra-extra-large come incontenibile, la musica hard core come inascoltabile, le immagini-graffiti come insopportabili, il porno XXX come invisibile. Molte forme della comunicazione giovanile oppositiva assumono la “X” come codice (lemma) che salta i confini e che sta contro i confini. E in questo si trovano – e non per la prima volta – vicini, troppo vicini, ai lessici di pubblicitari, serial, siti-web. (pp. 50-51)

Convinto che nel contesto contemporaneo nessun luogo possa essere «una “sezione” di qualcosa di più vasto: un anticipo sull’utopia. Una “prefigurazione”», l’autore decide di abbandonare «metodologie estratte dal sociale per “classificare” queste culture giovanili» preferendo ricorrere a «concetti obliqui, visori-indicatori, moduli sfaccettati che emergono dalla metropoli. Uscire dal sociale ed entrare nella metropoli significa […] percepire le culture eXtreme (X-terminate) in modi mobili, irrequieti, oppositivi». Dunque, Canevacci si prodiga nel «narrare tessuti comunicativi immateriali fatti di frammenti, stili, codici, corpi, techno» (p. 53) dando vita a una ricerca che intende «focalizzare quelle schegge anomiche delle culture giovanili metropolitane che riescono a esprimere conflitti e innovazioni tra i flussi della comunicazione materiale e immateriale. Per questo sono eXtreme» (p. 54). Dunque, l’autore delimita il campo delle culture estreme giovanili

a quelle che si muovono disordinatamente tra gli spazi metropolitani e scelgono di innovare conflittualmente i codici. Di smuovere i significanti statici. Di produrre significati alterati. Di liberare segni fluidi dai simboli solidi. È questo flusso che, per differenziarlo da un generico uso di estremo (sport-sesso-politica-arte), chiamo eXtremo. Culture eXtreme sono quelle che, nel corso della loro autoproduzione, si costruiscono secondo i moduli spaziali dello sterminato. Le culture eXtreme sono sterminate: eX-terminate: nel senso che spingono a non essere terminate, a sentirsi come interminabili, a rifiutare ogni termine alla loro costruzione-diffusione processuale. Culture interminabili in quanto rifiutano di sedersi tra le mura della sintesi e dell’identità, che inquadrano e tranquillizzano. Normalizzano e sedentarizzano. (p. 54)

La parte centrale del volume è dunque dedicata ad un excursus sulle culture giovanili sterminate in un fluire di paragrafi che tratteggiano un’epoca: T.A.Z. – Rewind; Interzone; Merci-tatuate; Fucking Barbies; Fika Futura; Corpi inorganici; Toretta; Torazine; Rave; Fluid Video Crew; Luther Blissett; Cherokee; Anarcociclisti; Decoder; Link; Pirateria di Porta; Brain-Machine; Fin*techlan; Rewind; NDE.

Nella sua parte finale il volume cambia rispetto alla prima edizione: il capitolo “Concetti liquidi” lascia il posto al nuovo “Concetti anomici”: «tensioni che connettono le interzone eXtreme (le correnti differenziate delle culture sterminate) e alcune esplorazioni di senso inconcepite. Culture sterminate, interzone eXtreme, concetti anomici: sullo scorrere di queste tre differenze si articola, innalza e defluisce il testo» (p. 12). Compongono questa nuova stesura i paragrafi: Aporia; Diaspora; E-space; Nonorder; Anomia; Mediascape; Amnesia.

Le ultime pagine sono invece dedicate ad una riflessione dell’autore circa le modalità con cui ha condotto il suo lavoro di ricerca sulle culture eXtreme negli anni Novanta, sul rapporto tra spontaneità e improvvisazione, tra regole e infrazione, liberazione e regressione… sul ricorso ad una «metodologia vagante» nell’ambito della etnografica sulla gioventù contemporanea.

Piacciano o meno, gli anni Novanta hanno lasciato il loro segno sul presente. Si può essere perplessi o dissentire sull’approccio con cui l’autore ha condotto la sua disamina e su alcune sue interpretazioni ma Culture eXtreme resta un testo che a due decenni di distanza dalla sua prima stesura si rivela ancora capace di mostrare risvolti delle culture giovanili degli anni Novanta che tanti sociologi, antropologi e giornalisti non hanno saputo cogliere.


Estetiche inquiete

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