Disarmare i mercati

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di Ignacio Ramonet (Direttore di Le Monde Diplomatique 1990-2008) – Dicembre 1997

Il tifone scatenatosi sulle borse in Asia minaccia il mondo. La globalizzazione del capitale finanziario mette le persone in uno stato di insicurezza generale. Essa circonda e riduce la possibilità per le nazioni e i loro stati di essere i luoghi principali per l’esercizio della democrazia e la garanzia del bene comune.

La globalizzazione finanziaria ha creato anche un proprio stato. Uno stato sovranazionale, con i suoi dispositivi, le sue reti di influenza e i suoi mezzi di azione. Questa è la costellazione Fondo Monetario Internazionale (FMI), Banca mondiale, Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) e dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). Questi quattro istituti parlano con una sola voce – cui fanno eco quasi tutti i media principali – per esaltare le “Virtù del mercato”

Questo stato è una potenza mondiale senza società, il ruolo di queste è svolto dai mercati finanziari e da società giganti, di cui è l’agente, con la conseguenza che le aziende, che in realtà esistono, sono società senza potere (1). E la situazione continua a peggiorare.

Succeduto al GATT, l’OMC è diventato, dal 1995, un’istituzione con poteri sovranazionali e posto fuori dal controllo della democrazia parlamentare che può dichiarare “contrarie alla libertà di commercio” le leggi nazionali in materia di diritti del lavoro, ambiente o salute pubblica e richiederne la revoca(2). Inoltre, dal maggio 1995, in seno all’OCSE, e senza tener conto dell’opinione pubblica, è nato l’importante accordo commerciale “Multilaterale sugli Investimenti” (MAI), che dovrebbe essere firmato nel 1998, e mira a dare agli investitori pieni poteri sui governi.

Disarmare il potere finanziario deve diventare un grande progetto civico, se vogliamo evitare che il mondo del prossimo secolo si trasformi in una giungla in cui i predatori dettino legge.

Quotidianamente, circa 1.500 miliardi di dollari vanno e vengono sui mercati dei cambi, speculando sulle oscillazioni delle quotazioni valutarie. Questa instabilità dei cambi è una delle principali cause dell’aumento degli interessi reali che frena i consumi delle famiglie e gli investimenti delle imprese. L’elevato costo del denaro fa lievitare il deficit pubblico, oltre a indurre i fondi pensioni, che gestiscono centinaia di miliardi di dollari, a esigere dalle imprese dividendi sempre più elevati, poiché le azioni che detengono devono rendere almeno quanto le obbligazioni. Le prime vittime dell’incalzare di questa caccia al profitto sono i lavoratori dipendenti, i cui licenziamenti massicci fanno impennare le quotazioni in borsa delle imprese che li hanno estromessi. Per quanto tempo le società potranno tollerare l’intollerabile? È ora di incominciare a gettare granelli di sabbia nel meccanismo devastante di questi movimenti di capitali. In tre modi: sopprimere i “paradisi fiscali”; aumentare le imposte sui redditi da capitale e tassare le transazioni finanziarie. I “paradisi fiscali” sono aree in cui regna il segreto bancario, utile solo a coprire malversazioni e altre attività mafiose.

Miliardi di dollari vengono così sottratti a qualsiasi imposizione fiscale, a tutto vantaggio dei potenti e delle istituzioni finanziarie. Tutte le grandi banche del pianeta hanno infatti nei paradisi fiscali le loro succursali, dalle quali traggono ingenti profitti. Perché non decretare un boicottaggio finanziario, ad esempio, di Gibilterra, delle Bahamas, delle isole Cayman o del Liechtenstein, vietando alle banche che fanno affari con i pubblici poteri di aprire filiali in queste sedi?

La tassazione dei redditi finanziari è un’esigenza democratica minimale. Questi redditi dovrebbero essere tassati esattamente nella stessa misura dei redditi da lavoro. Ma ciò non avviene in nessun paese, e men che meno nell’Unione Europea. La totale libertà di circolazione dei capitali destabilizza la democrazia. Per questo si impone la creazione di meccanismi dissuasivi, il più noto dei quali è la “tassa Tobin”, dal nome del premio Nobel americano per l’economia che l’ha proposta fin dal 1972. Si tratta di tassare, sia pure moderatamente, tutte le transazioni sul mercato dei cambi, con il duplice risultato di stabilizzarli e di integrare i proventi degli stati e della comunità internazionale. A un tasso dello 0,1%, la tassa Tobin assicurerebbe ogni anno un gettito di circa 166 miliardi di dollari, il doppio della somma annua necessaria per sradicare l’estrema povertà entro l’inizio del prossimo secolo(3). Numerosi esperti hanno dimostrato che l’applicazione di questa tassa non presenta nessuna particolare difficoltà tecnica. La sua attuazione sarebbe un duro colpo per il credo liberale di tutti coloro che insistono nel sostenere l’inesistenza di soluzioni alternative al sistema attuale. Perché non creare, su scala planetaria, l’organizzazione non governativa Azione per una tassa Tobin(4) di aiuto ai cittadini? In collegamento con i sindacati e le numerose associazioni con finalità culturali, sociali ed ecologiche, un’organizzazione del genere potrebbe agire come un formidabile gruppo di pressione civica presso i governi, per spingerli a chiedere finalmente l’introduzione effettiva di questa imposta mondiale di solidarietà.

(1) Leggere André Gorz, miserie della ricchezza presente del futuro, Galileo, Paris, 1997, e la comunicazione di Bernard Cassen alla conferenza “democrazia sociale nell’era della globalizzazione”, organizzato dal Partito Quebec (PQ), Quebec City, 27 e 28 settembre 1997. Inoltre, il Gruppo di Lisbona, presieduto da Riccardo Petrella, pubblicherà presto le edizioni del Lavoro a Bruxelles, uno studio intitolato Il disarmo finanziario.

(2) Vedi François Chesnais, la globalizzazione del capitale, Syros, Parigi, 1997 (nuova edizione ampliata).

(3) Rapporto sullo Sviluppo Umano 1997, Economica, Paris, 1997.

(4) Vedi Mahbub ul Haq, Inge Kaul, Isabelle Grunberg, la Tobin Tax: far fronte volatilità finanziaria, Oxford University Press, Oxford, 1996. Leggere Le Monde diplomatique, febbraio 1997.

Photo Credits: “‘El rol de los medios públicos en el siglo XXI – Conferencia magistral de Ignacio Ramonet” by Ministerio de Cultura de la Nación is licensed under CC BY-SA 2.0

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 47 di luglio-agosto 2021:  “20 anni di lotta e di speranza”

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