Succede spesso che dopo eventi tragici, come quello accaduto domenica scorsa al Mottarone, si vada in overdose di opinionismo, soprattutto sulla stampa mainstream. Questo accade soprattutto quando la fatalità, concetto che il più delle volte rappresenta una foglia di fico, viene soppiantata da chiare responsabilità che l’evidenza dei fatti fanno emergere. E i fatti legati alla funivia Stresa-Mottarone ci parlano di qualcosa di inquietante, raccapricciante, vomitevole.
Sono bastate poco più di 48 ore di indagine a Olimpia Bossi, procuratrice della Repubblica del Tribunale di Verbania, per appurare che «i freni della funivia sono stati manomessi consapevolmente per ovviare a problemi tecnici precedenti ed evitare un funzionamento lento o addirittura lo stop dell’impianto». A quanto sta emergendo, 14 persone sono morte per una scelta consapevole fatta da Luigi Nerini, titolare della società che ha in gestione l’impianto, Enrico Perocchio e Gabriele Tadini, rispettivamente direttore dell’esercizio e capo servizio della funivia – tutti e tre agli arresti da ieri – i quali avrebbero anteposto i guadagni alla sicurezza, il vile denaro alla vita delle persone.
Cosa c’è di più mostruoso di questo. Se ne accorge perfino Antonio Polito sul Corriere della Sera, che in un editoriale uscito stamattina parla di «etica perduta», rifacendosi a Max Weber e a quel rigore morale che il capitalismo storicamente avrebbe mutuato dal calvinismo e dal protestantesimo. Ci chiediamo quando mai ci sia stato un capitalismo etico o dal volto umano, ma sono interessanti le conclusioni che trae Polito nel suo editoriale, in cui legge l’episodio come «uno degli effetti collaterali del Covid, che sta nello sconvolgimento delle priorità, nella paura di restare di nuovo fermi dopo questi mesi di inattività».
Ancora più “profondo” Ezio Mauro su La Repubblica, che spiega come in questi mesi sia nata una nuova forma di egoismo, che dà al capitale uno status privilegiato. Nell’ansia di riaprire la sicurezza diventa comprimibile e i diritti di lavoratori e consumatori diventano una variabile dipendente della crisi – scrive l’ex direttore – che afferma come non si tratti solo di liberismo, ma di vero e proprio darwinismo sociale che la destra sovranista cavalca sperando che venga sfondata ogni forma di equilibrio sociale.
Tutto molto condivisibile, ma c’è qualcosa che non torna in queste critiche, di profondamente ipocrita. Non che ci aspettiamo che le principali penne del nostro Paese si debbano votare di getto all’anticapitalismo, ma è bene fare un po’ di ordine all’interno della quantità di opinioni che imperversano oggi nel tourbillon mediatico. Se è vero che, come scrive Polito, il Covid ha sconvolto le priorità, non possiamo accettare l’idea che questo sia avvenuto attraverso un meccanismo esogeno al capitalismo stesso, come una sorta di elemento alieno che rimescola caoticamente le carte di un ordine naturale preesistente.
La frenesia del profitto, la mercificazione della vita e della morte, la monetizzazione del tempo che impone il non potersi e doversi fermare mai sono le molecole costitutive del sistema di sviluppo capitalista nel quale siamo immersi, specialmente nella sua fase storica neoliberale. La crisi sanitaria ne ha, semmai, accentuato le posture e ha reso le vulnerabilità del sistema dei veri e propri mostri, in grado di palesarsi con ancora maggiore ferocia e arroganza. La strage di Mottarone mette dunque per l’ennesima volta a nudo la tragica essenza del capitalismo, che il Covid ha esasperato e peggiorato.
Il dibattito che si sta aprendo su quanto la sicurezza nei luoghi produttivi (e non) venga derubricata a mero orpello è anch’esso atavico e non bastano i continui morti sul lavoro o quelli del Ponte Morandi per farlo realmente diventare un tema degno di essere inserito nell’agenda politica. Non sono bastate neppure le migliaia di vittime che il Covid ci ha “regalato” in questo anno e mezzo, molte delle quali diretta espressione di una logica che ha voluto mantenere inalterate alcune produzioni, anche nelle fasi più acute della pandemia. Pesano ancora come macigni i continui moniti di Confindustria o le dichiarazione del suo presidente Bonomi quando la scorsa estate invitava apertamente a monetizzare il rischio sanitario. Non eliminarlo, ma quantificarlo in busta paga: vengono i brividi solo a scriverle queste parole!
Potremmo anche ampliarlo, questo dibattito sulla sicurezza. Parlare di sicurezza sociale, di diritti, di tutele; ma anche qua ci troveremmo di fronte a una porta sbarrata, visto anche le ultime decisioni prese dal governo Draghi sulla fine del blocco dei licenziamenti (tra l’altro osannate sempre stamattina sulle colonne di Repubblica da Domenico Siniscalco, ex ministro dell’economia dei governi Berlusconi ed ex direttore generale del Tesoro).
Potremmo ampliare anche citare i casi più emblematici del capitalismo che divora la vita, parlando di quello che fa ogni giorno l’industria estrattiva, le multinazionali del fossile o, volgendo lo sguardo a “casa nostra”, le migliaia di vittime fatte dall’Ilva, il “mostro di Taranto” che nessun politico o sindacalista ha mai avuto il coraggio di voler chiudere e bonificare. Ma anche in questo caso l’ipocrisia continuerebbe, perché solo estirpandone il paradigma culturale potremmo cambiarla, rivendicando fieramente giustizia per i 14 morti di Stresa e per tutte le altre vittime di quel “vampiro succhiatore” e di un’ingiustizia che dura da secoli.