Poco più di due settimane dopo le mobilitazioni lanciate da Rise Up 4 Climate Justice nel giorno dell’assemblea degli azionisti di Eni, arriva dalla Nigeria una notizia che costringerà la multinazionale italiana e la Shell ad abbassare le pretese nel Delta del Niger, dopo decenni di devastazione forsennata. Il governo nigeriano ha infatti deciso di non autorizzare più lo sfruttamento di uno dei bacini petroliferi più grandi del mondo, che dal 2011 garantiva alle oil major Eni e Shell enormi profitti. Di seguito il comunicato di ReCommon.
ReCommon, l’organizzazione nigeriana HEDA e le britanniche Global Witness e The Corner House accolgono con favore la decisione del governo della Nigeria di non autorizzare lo sfruttamento della licenza petrolifera OPL 245 a seguito della decadenza dei diritti e del permanere di processi penali in corso in Italia e in Nigeria per stabilire se l’intera operazione è stata macchiata da corruzione. La licenza per il blocco, che con la stima di 560 milioni di barili di petrolio è uno dei più grandi non sfruttati in Africa, è scaduta lo scorso 11 maggio, dieci anni dopo che Eni e Shell l’avevano acquistata per 1,3 miliardi di dollari in quello che rimane un affare molto controverso, segnato da un ampio strascico di indagini e processi. La conferma è arrivata dalla stessa Eni (in questo documento, pag. 34 e 35), che ha risposto a una domanda posta da ReCommon in occasione dell’assemblea degli azionisti della multinazionale tenutasi lo scorso 12 maggio.
OPL 245 è stato registrato come uno degli asset iscritti al bilancio del 2020 della stessa Eni, ma la società riconosce che potrebbe essere necessario rivalutare la sua posizione il prossimo anno. La Shell ha svalutato il 50% dell’asset in suo possesso già nel suo bilancio del 2020.
Nel 2018, l’Eni aveva richiesto all’esecutivo di Abuja di convertire i diritti esplorativi in una nuova licenza mineraria per iniziare l’estrazione del greggio. il presidente Muhammadu Buhari aveva respinto la richiesta e dichiarato che nessuna ulteriore corrispondenza sarebbe stata considerata fino a quando i procedimenti giudiziari penali e civili a Milano e Londra relativi all’affare del 2011 non fossero stati conclusi. Dopo la risposta di Buhari, anche le controllate locali di Eni e Shell sono state accusate in Nigeria di corruzione in merito alla conclusione dell’affare. Le due società hanno negato ogni addebito, mentre il processo che le riguarda è ancora in corso.
In Italia, Eni e Shell e i loro manager sono stati assolti in primo grado dai giudici della VII sezione penale del Tribunale di Milano. Entro metà giugno saranno rese note le motivazioni della sentenza e si saprà, quindi, se la Procura procederà con una richiesta d’appello.
Nel frattempo, l’Eni ha presentato un reclamo al Centro Internazionale per la Risoluzione delle Controversie sugli Investimenti (ICSID) a Washington, pretendendo dalla Nigeria un risarcimento per la mancata conversione della licenza. La compagnia sostiene che “è legalmente certo che l’Eni aveva maturato il diritto alla conversione” e sostiene che la strategia legale della Nigeria è guidata da “interessi inconfessabili”.
“Con questa decisione, la Nigeria ha dimostrato che la legge è uguale per tutti”, ha affermato Antonio Tricarico di ReCommon. “Sarebbe stato sbagliato convertire la licenza con procedimenti ancora in corso a Milano e Abuja su un affare che rimane controverso. Eni e Shell devono prendere atto che la licenza è scaduta e che non possono più sfruttare il giacimento. Ci auguriamo che anche l’ICSID rispetti la sovranità delle corti italiane e nigeriane e attenda la fine dei processi in corso.”