Resistenza – Un esercito si arrende a un popolo

23 aprile 1945, Genova.

Ogni membro del CLN e del Comando Regionale Militare è ricercato dalle SS e dai repubblichini. Fissare una data e un luogo per le riunioni è un suicidio, metti che uno solo venga preso: lo torturano fino a farlo parlare e così li sanno ora e luogo della riunione, poi arrivano e fregano tutta la dirigenza della resistenza in città. No, niente appuntamenti a lunga scadenza. Ogni membro del Comitato ha una busta sigillata, quando arriva la convocazione della riunione con un segnale in codice apre la busta, ci trova l’effige di un santo e così sa che la riunione è convocata nella chiesa dedicata a quel santo.

«Santi, chiese… ma chi l’ha pensata ‘sta roba?»

«Pittaluga della DC mi sa».

D’altronde le chiese sono il posto più sicuro. Compagni siamo in Italia, qui pure l’insurrezione finisci per discuterla in casa dei preti. 

E difatti la riunione di stasera è convocata al collegio di San Nicola. Si preannuncia una cosa lunga. Pare siano in parecchi che vogliono evitare l’insurrezione. Il vescovo ausiliario Siri e l’arcivescovo Boetto ormai son settimane che parlano con il generale Meinohold. Il crucco per mezzo loro fa sapere che se gli diamo quattro giorni di tregua si ritira con tutte le truppe senza distruggere niente. Una roba tranquilla, escono i tedeschi entrano gli americani.

Ah si gli piacerebbe! Così abbiamo 55.000 tedeschi e 33.000 fascisti che possono andarsene in giro per il Nord Italia a fare altri danni. E poi hai visto quante mine han messo giù al porto? Centinaia e centinaia, quelli premono un bottone e badabum, ciao ciao porto di Genova.

E gli alleati che dicono? Pare che i loro servizi segreti in Svizzera stiano trattando con i generali tedeschi per farli arrendere subito. Anche a loro piacerebbe che la guerra finisse senza insurrezione, sopratutto qui a Genova. Nonostante tutti gli accordi presi con il CLN Alta Italia, l’idea di qualche migliaio ragazzi e ragazze, molti e molte con il fazzoletto rosso al collo, che scendono dai monti e arrivano qui in città non è che li renda proprio felici. E in generale più ruolo hanno i partigiani più si vede che il popolo italiano ha qualcosa da dire sul proprio futuro.

Dall’altro lato però neanche loro si fidano dei tedeschi, sanno che qui in Italia ce ne sono centinaia di migliaia, se non si arrendono e vanno a trincerarsi sulle Alpi la guerra non si sa più quando finisce. Insomma come sempre la resistenza un po’ non la vorrebbero e un po’ si rendono conto che gli serve ancora.

Comunque gli ufficiali della missione inglese e di quella americana han trovato un accordo con il comando della VI Zona. Non saranno le formazioni di montagna a calare su Genova. Loro resteranno sulle proprie posizioni, pronti a bloccare le strade se i tedeschi provano a ritirarsi. Gli americani sono a Sud in Toscana e a Nord-Ovest in Provenza, a Ovest c’è il mare, nazisti e fascisti possono ritirarsi solo verso Est, attraverso le montagne. E lì ci sono i partigiani delle divisioni garibaldine Cichero, Pinan-Cichero, Coduri e Aliotta. In un territorio del genere e con il supporto dell’aviazione alleata possono bloccare qualunque esercito. Insomma nessun tedesco uscirà vivo dalla Liguria se non con le mani bene alzate.

Il problema è cosa facciamo qui in città. Senza le formazioni della montagna l’insurrezione dovremo farla con le SAP. Vale a dire con 3.000 guerriglieri a tempo perso, gente che ha si e no sparacchiato qualche colpo nel giorno libero dal lavoro o nel dopocena, anzi che più che altro si è fatta volantinaggi, sabotaggi e cose così. Armati con pistole e qualche mitra. Anche togliendo i fascisti, che ormai son impegnati più che altro a squagliarsela, son sempre 3.000 scalzacani contro 55.000 soldati di quello che quanto ad addestramento è sempre il miglior esercito del mondo, con artiglieria e blindati. Se hanno ancora voglia di battersi qui finisce come a Varsavia, dove han spianato la città con gli abitanti dentro.

Il 23 aprile non si vede più un fascista in giro, si son squagliati quasi tutti. Anche i tedeschi cominciano ad andarsene e lo fanno portandosi via i prigionieri politici del carcere di Marassi. Tra loro anche il generale Rossi e Pieragostini del PCI. Riescono a portare i prigionieri fino a Pavia, ma lì il giorno dopo finiscono in mezzo ad un bombardamento americano, Rossi e Pieragostini provano a scappare ma una delle guardie li secca entrambe con una raffica.

Appena si diffonde la notizia che i tedeschi si portano via i prigionieri l’ipotesi della trattativa salta del tutto. Vedete che non c’è da fidarsi! Questi si ritirano si, ma dopo aver distrutto tutto e dopo aver portato via come ostaggi tutti quelli che hanno tra le mani. 

Già quella sera a Bolzaneto e negli altri quartieri operai a nord-ovest della città, le SAP cominciano l’attacco alle postazioni tedesche e fasciste. I piccoli presidi nemici si arrendono quasi subito, vengono occupate anche le fabbriche per evitarne la distruzione.

Intanto è cominciata la riunione del CLN nel collegio di San Nicola. I comunisti non sono riusciti ad esserci e non sono pochi quelli che vorrebbero rimandare l’insurrezione. Pittaluga (Paolo Emilio Taviani) della DC, nonostante il parere del vescovo, che è per la trattativa, spinge per dare il via all’azione. Si discute tutta la notte. È quasi l’alba quando arrivano anche Scappini e gli altri del PCI. A quel punto la bilancia pende definitivamente a favore dell’insurrezione, anche se la cosa passa a maggioranza e non all’unanimità, che invece c’era stata per tutte le decisioni precedenti. 

Il CLN diffonde il proclama che chiama alla rivolta:

«Popolo genovese! Il mondo ci guarda. Dobbiamo riscattare l’umiliazione di ventitré anni. Dobbiamo essere degni della vittoria; dobbiamo meritarci la libertà». 

Nella mattinata del 24 si inizia a combattere anche in centro e nei quartieri di levante, mentre al porto il sistema di mine predisposto dai tedeschi è stato sabotato e reso inservibile. Intanto le formazioni di montagna bloccano tutte le strade e le ferrovie per uscire dalla regione, i tedeschi sono bloccati a Genova, tra la montagna e il mare. Per di più le loro comunicazioni telefoniche sono interrotte. Non hanno più neanche elettricità e acqua corrente. Il resto della città si, loro no. Vedi che ti capita a tirarti contro l’intelligenza collettiva della classe lavoratrice che fa funzionare il mondo? 

Alle dieci di mattina municipio, questura, centrale telefonica e carcere di Marassi sono in mano agli insorti. Ma chi sta facendo tutto questo? Avevamo solo 3.000 combattenti… 

Questo ieri sera. Ora ne abbiamo 15.000, 20.000, 30.000… la città intera…

Ci sono tutti e tutte… scaricatori del porto, operai, operaie, casalinghe, impiegati. Si presentano a gruppi di vicini o di colleghi e si fanno dare le armi prese nei presidi fascisti abbandonati. Poi si mettono a sparare dove capita o curano o sfamano o portano munizioni a chi spara. 

Quelli che per vent’anni han rotto l’anima all’Italia intera con le loro menate sull’eroismo e la guerra sola igiene del mondo si son squagliati. Le loro armi se le prendono quelli e quelle che la guerra non l’han mai voluta, quelli e quelle che hanno sempre avuto paura, che hanno una famiglia da mantenere, che non arrivano a fine mese e vanno a dormire con la pancia che brontola per la fame; quelli e quelle che hanno visto la loro gente morire sotto le bombe americane o caricata sui carri bestiame per i lager nazisti. Si prendono le strade e le piazze che ora basta, cazzo basta! Basta con la guerra, con i bombardamenti, con la fame, con tutte le stronzate del fascio, basta! Facciamola finire e che sia per sempre.

Piazza De Ferrari. Un reparto tedesco prova ad aprirsi la strada puntando alzo zero tre cannoni anticarro. Fanno fuoco a volontà. È inutile. Nonostante le perdite gli insorti mettono in fuga i nazisti. I cannoni sono conquistati e due autocarri fatti saltare. 

La sera un’altra colonna tedesca cerca di aprirsi il passo per uscire dal porto. Un nuovo scontro violentissimo costa ai genovesi decine di morti, ma i soldati di Hitler non passano. Altre forze nemiche riescono a spostarsi dai comandi di Catelletto alla stazione di Principe ma finiscono bloccati li. 

Se i tedeschi avessero un obiettivo chiaro e riuscissero a coordinare le proprie forze potrebbero trasformare la città in macerie fumanti e la popolazione in un ammasso di cadaveri, come hanno fatto a Varsavia. Ma in realtà sono paralizzati dal fatto che l’insurrezione è scoppiata quando avevano già iniziato a ritirarsi e ora non sanno cosa fare. Devono riprendere il controllo della città? E per farci cosa? Devono ritirarsi? E dove? Attraverso le montagne piene di partigiani che hanno già sbarrato tutte le strade?

E come coordinarsi con le comunicazioni rese impossibili o difficoltose? Come radunarsi e come muoversi in quel nido di vespe in cui appena ti muovi c’è qualcuno che ti spara o ti lancia una bomba? 

Quelli e quelle che li attaccano sono combattenti improvvisati, ma sono in tanti e in tante, per di più combattono in casa loro, nella loro città. E così i tedeschi si ritrovano intrappolati nelle loro postazioni, caserme, comandi. Al porto, alla stazione Principe, a Monte Moro, al ponte di Sturla, all’albergo Eden di Nervi… in un’infinità di altri posti tra loro divisi e che dividono tra loro i quartieri in mano agli insorti. Genova esplode in un confuso mosaico di sparatorie, imboscate, battaglie locali per tenere o conquistare una via o una piazza. Ma nella comune confusione sono i genovesi ad essere in vantaggio, perché la confusione è la morte degli eserciti regolari, mentre è la vita delle insurrezioni. 

Il problema del CLN è tentare di incanalarla questa confusione, di gestirla in qualche modo. Di difenderla da chi prova a pescare nel torbido. Un tale tenente Pisano con alcuni uomini travestiti da partigiani blocca le staffette degli insorti e ne arresta alcuni, con la scusa di voler «tenere l’ordine». Viene arrestato la mattina del 25 aprile per ordine del comando di Piazza del CLN e muore gettandosi da una finestra nel tentativo di scappare.

La sera del 24 la situazione è drammatica. Circa un migliaio di tedeschi si sono già arresi, ma il grosso continua a combattere e non si sa se ne stanno arrivando altri da La Spezia. Dall’ospedale mandano a dire che son pieni e non hanno più posto per altri feriti.

E gli americani? Dove sono? Ancora 100 chilometri più a sud. Se tutte le forze tedesche riescono a muoversi in maniera coordinata è finita, ci schiacceranno. Unica buona notizia: dalla montagna sono arrivate le volanti Severino e Balilla della Cichero, neanche cento uomini ma per addestramento e decisione valgono per mille.

Alle 18 un capitano tedesco chiede di parlamentare. Viene portato davanti ai membri del CLN. Chiede sia data alle loro truppe ila possibilità di lasciare la città. Il CLN rifiuta. Dovete arrendervi e concederemo l’onore delle armi. Arrendersi? Ai dei banditen? Impossibile. 

«Lasciateci ritirare o apriremo il fuoco sulla città con i cannoni pesanti che abbiamo sull’altura di Monte Moro».

«Fatelo e metteremo al muro come criminale di guerra ogni soldato tedesco che abbiamo prigioniero o su cui metteremo le mani in futuro».

I cannoni non sparano. La lezione delle contro-rappresaglie è servita.

Alle 20 telefona tale maggiore Arillo. Comanda il presidio della X Mas del porto, l’unico reparto fascista rimasto a Genova. Vuole parlare con Pittaluga. Forse pensa che con un democristiano si potrà accordare. Ha fatto male i suoi conti.

«Sono disposto ad arrendermi con l’onore delle armi e ad aiutarvi nella trattativa con i tedeschi».

«La resa con l’onore delle armi vale solo per i tedeschi, non per voi fascisti. Voi vi arrendete e basta se volete vivere».

Il mattino del 25 gli scontri si riaccendono violenti. Gli insorti prendono alcune postazioni, tra cui la stazione radio sull’altura di Granarolo. Viene conquistata anche la postazione strategica di Castello Raggio, ora ci si può muovere in sicurezza tra Sestri Ponente e Sampierdarena.

Alle 15, presso la casa del cardinale Boetto, arcivescovo di Genova, cominciano le trattative. La sera precedente il cardinale ha mandato una lettera al generale Meinhold facendo appello alla sua coscienza e pregandolo di arrendersi. Il messaggio è chiaro: l’unica trattativa possibile è la resa, salvati l’anima all’ultimo minuto che tanto la guerra l’hai persa. Alle trattative, a sorpresa, si presenta il generale in persona, arrivato con un autoambulanza. Lo raggiungono anche il console tedesco e il suo vice, scortati dal dottor Savoretti della resistenza. Per il CLN ci sono il suo presidente, Remo Scappini, del PCI; Errico Martino, liberale, già nominato prefetto in pectore; il maggiore Mauro Aloni, comandante di piazza a Genova per la resistenza.

I colloqui vanno avanti per ore. Meinhold prende tempo, spera arrivino agli americani, non vuole arrendersi ai banditen, a questi civili straccioni. Ma ogni ora che passa aumenta il numero dei morti, morti inutili, in una guerra già persa, morti che pesano sulla sua coscienza. Alle 19,30 finalmente decide: le sue truppe consegneranno le armi alle forze del CLN a partire dalle ore 9 del 26 aprile, in cambio ottengono la garanzia di un trattamento conforme alle leggi di guerra internazionali, prima di essere consegnati alle truppe alleate appena arriveranno. 

Meinhold, generale dell’esercito di Hitler, consegna la propria resa nelle mani di Remo Scappini, operaio comunista, ex-carcerato politico, disertore, partigiano e marito di una donna torturata alla Casa dello studente dalle SS.

La notte passa tranquilla. La mattina successiva, il 26 aprile, comincia la resa dei reparti tedeschi e Taviani, può annunciare per radio che la città è libera. 

«Per la prima volta nella storia di questa guerra, un corpo d’esercito si è arreso ad un popolo».

Sembra tutto finito. Ma proprio mentre in prefettura il CLN sta insediando Errico Martino nel suo nuovo incarico di prefetto, compaiono due ufficiali tedeschi. Battono i tacchi e salutano con il braccio teso «Heil Hitler!». Poi comunicano ai presenti che i presidi del porto, di Monte Moro, di via Giordano Bruno e qualche altro sparso per la città non intendono arrendersi. Anzi i loro ufficiali hanno appena condannato a morte Meinhold in base alle disposizioni del Fuhrer. 

Il CLN si ritrova così a dover prendere sotto la sua protezione il generale tedesco per evitare che qualche nazista fanatico gli piazzi un proiettile in testa. Per di più la colonna tedesca partita La Spezia è ormai a Rapallo, può arrivare in città da un momento all’altro.

Alle 14 due cacciatorpediniere inglesi compaiono davanti a Genova ed aprono il fuoco sulla batteria tedesca di Monte Moro, che risponde al fuoco. Alcuni colpi cadono sulle case. Altro che resa! Adesso vien fuori un macello.

Ma di fronte alla minaccia di considerare criminali di guerra e fucilare i loro commilitoni prigionieri, i tedeschi di Monte Moro cessano il fuoco. Accettano di restarsene buoni in attesa che arrivi il primo soldato americano a cui arrendersi. Intanto è arrivata in città la divisione Cichero al gran completo. Ora è finita, è finita davvero. La colonna tedesca che viene da La Spezia di combattere in realtà non ne ha nessuna voglia e si arrende. A questo punto anche i nazisti fanatici asserragliati al porto e a via Giordano Bruno alzano bandiera bianca. Inquadrati tra i partigiani della brigata Jori i prigionieri tedeschi sfilano tra le vie di Genova, vengono concentrati al campo sportivo di Marassi. 

Gli insorti di Genova hanno avuto almeno 187 morti e 3.000 i feriti.

Lo stesso giorno la Pinan-Cichero di Scrivia ha liberato buona parte della provincia di Alessandria. Il commissario Curone (Mario Silla), della brigata Arzani, è il nuovo sindaco di Tortona. Era stato anche l’ultimo sindaco eletto prima del fascismo. È nato nel 1891, con i sui 54 anni è uno dei pochissimi tra i partigiani, forse il solo, ad essere più vecchio di Marzo.

Quando nella mattina del giorno dopo, il 27, le avanguardie della 92° divisione USA, composta da afroamericani, entrano a Genova, il porto e le fabbriche sono intatte, la luce elettrica è tornata in funzione e i tram sferragliano per le strade. Gli americani non devono fare altro che andare a Monte Moro a ricevere la resa del presidio tedesco. 

«Wanderful job!» è il commento degli ufficiali della missione americana Peedee ai propri superiori riguardo ai fatti di Genova. Il colonnello Hewitt delle Special Forces inglesi scrive in un rapporto che «l’azione energica dei partigiani, accoppiata alla vacillante determinazione del comando tedesco» aveva salvato il porto di Genova.

Nei giorni dell’insurrezione comincia anche la resa dei conti. Secondo la missione inglese Clover entro la metà di maggio vengono ritrovati a Genova circa un centinaio di corpi, vittime di esecuzioni sommarie. Secondo gli ufficiali britannici le uccisioni non sono ordinate dal CLN o da qualche forza politica, né a commetterle sono formazioni partigiane organizzate. Si tratta piuttosto dell’inevitabile conseguenza «dell’enorme provocazione che è stata fornita alla popolazione dagli ultimi 18 mesi di terrore e repressione super-fascista».

Nel rapporto che la polizia invia al primo ministro Alcide De Gasperi il 4 novembre 1946, si stimeranno più di 9.000 morti per motivi politici, tra «soppressi» e «scomparsi e presumibilmente soppressi», in tutta Italia, nel periodo tra l’insurrezione e la stesura del documento. A Genova e provincia ne vengono contati 569. 

In sostanza un bel po’ di gente si è messa a cercare quelli che avevano fatto le spiate, quelli avevano torturato e ucciso e se li trovava li mandava a guardar crescere l’erba dalla parte delle radici. Poi si sa, in queste situazioni vien fuori il peggio pure dalla parte nostra. E quindi si, ci son stati pure quelli che han sparato al ragazzetto che si è tolto la camicia nera un minuto troppo tardi o al caporeparto che non li lasciava andare al cesso in fabbrica. Insomma nel mucchio ci avrà lasciato la pelle pure qualcuno che si meritava magari due calci nel culo ma non un proiettile. E ci saranno stati anche quelli che han sparato al negoziante con cui avevano un debito o all’amante della moglie, o al vicino che gli stava sul cazzo. È inevitabile che succedano anche queste cose quando le armi girano e i freni inibitori di tutti son saltati.

E questo bisogna dirselo, che non vengano fuori idiozie anche dalla parte nostra, che non ci si dimentichi che la guerra è brutta pure quando vinci, che i morti per strada non son mai un bello spettacolo e non è il caso di fare l’elogio della giustizia sommaria.

Ma neanche di stracciarsi le vesti per i fascisti finiti sottoterra. Che dopo vent’anni di violenza di stato sulla nostra gente, due guerre mondiali (che anche la guerra prima l’avevano voluta sempre gli stessi) e varie atrocità in giro per il mondo, dall’Etiopia alla Spagna, che v’aspettavate? Pacche sulle spalle, come alla fine di una partita a bocce?

Invece di far la piangina i fascisti farebbero meglio a ricordarsi che la guerra può esser brutta pure per loro. Perché quando è costretta a farla anche la nostra gente è in grado di organizzarsi, rispondere al fuoco e magari vincere. 

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Note

Il testo principale che ho utilizzato è il saggio scritto da diversi autori: A wanderful job. Genova aprile 1945: insurrezione e liberazione. Roma: Carrocci, 2006.

Una testimonianza e al contempo la prima ricostruzione storica è il testo di Paolo Emilio Taviani Breve storia dell’insurrezione di Genova, pubblicata per la prima volta nel 1956.

Le cifre complessive sulla resa dei conti e il documento della polizia che le riporta sono contenuti nel libro di Nazauro Sauro Onofri Il triangolo rosso, la guerra di liberazione e la sconfitta del fascismo (1943-1947)Roma: Sapere2000, 2007. Il testo è liberamente scaricabile sul sito.

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